Bruno
e la fine dell'antropocentrismo
Va
precisato che
Bruno, a differenza
di Galileo e
Keplero, non
era interessato
agli esisti
scientifici
della teoria
copernicana,
ma alle sue
conseguenze
filosofiche.
In un tale modello
di universo,
che diritto
hanno gli abitanti
della Terra
di considerarsi
i detentori
della vera religione?
E come può
la Chiesa credere,
in un universo
infinito, dove
la Terra è
un insignificante
granello di
polvere, che
solo a lei è
stata rivelata
la vera parola
di Dio?
Giacomo
Leopardi
Finché
la Terra è
creduta al centro
dell’universo
è quasi
logico che Dio
ci abbia concesso
di conoscere
la sua vera
natura. Ma nell’universo
ipotizzato da
Bruno, che in
questo
differisce sostanzialmente
dall’universo
di Copernico,
tutti gli infiniti
pianeti hanno
il medesimo
diritto di considerarsi
al centro e
i loro abitanti
hanno i nostri
stessi privilegi.
E se riconosciamo
ciò, siamo
costretti a
vedere nei seguaci
di altre religioni
non già
dei nemici della
nostra unica
e vera fede,
ma degli uomini
come noi, che
con noi condividono
la nostra stessa
piccolezza:
altra cosa evidentemente
inaccettabile
per la Chiesa,
specie se si
considera che
Giordano Bruno
era un sacerdote.
E'
proprio intorno
a questa problematica
che Giacomo
Leopardi costruisce
il già
citato dialogo
Il
Copernico:
infatti la
rilevanza morale
di un universo
infinito sta
proprio nel
costringerci
a prendere atto
della nostra
piccolezza,
dell’insignificanza
del ruolo della
Terra e dei
suoi abitanti;
siamo obbligati
a ridimensionarci,
a non credere
più di
essere al centro
dell’universo.
La prospettiva
antropocentrica
svanisce, e
con essa l’assurda
pretesa che
tutto sia stato
creato intorno
all’uomo e per
l’uomo (come
affermato, peraltro,
già da
Epicuro),
senza che però, nella
prospettiva
di Leopardi,
questo dia luogo
al benché
minimo progresso
morale: non tutti, infatti, nella storia della modernità che
da Copernico
discende direttamente, saranno per Leopardi così forti, come si
affermerà nel Dialogo di Tristano e un amico, da «sostenere
la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della
vita, non dissimularsi nessuna parte dell’infelicità umana, ed
accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera»
(pp. 502-503). Gli autoinganni si ripeteranno nel corso dei secoli come
una ridicola caricatura, tanto più ripugnante perché incredibilmente
distante dalla realtà dei destini. Gli uomini continueranno a chiudere
gli occhi davanti alla loro piccolezza e «andranno raziocinando a
rovescio, e argomentando in dispetto della evidenza delle cose; come
facilissimamente potranno fare; e in questo modo continueranno a
tenersi per quel che vorranno, o baroni, o duchi o imperatori o altro
di più che si vogliano» (p. 454).
(Fonti:
http://www.murzim.net/notiziario/000307.htm
http://www.filosofico.net/copernico.htm
http://italies.revues.org/905)
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