Con
ciò uno
solo, benché
solo, può
e potrà
vencere,
ed
al fine arà
vinto, e trionfarà
contro l’ignoranza
generale.
(G.
Bruno, Cena
de le Ceneri)
La
filosofia di
Giordano Bruno (Nola,
1548 - Roma,
1600)
è caratterizzata
dalla simultanea
presenza di
elementi moderni
e tradizionali.
Questi ultimi
sono evidenti
nella fede
nella magia,
nel richiamo
a posizioni
animistiche
e naturalistiche,
che lo portarono
a ritenere che
in ogni cosa
fosse presente
un’anima,
fino al punto
di discutere
della natura
dell’anima delle
Terra e degli
astri.
La
Terra e gli
astri sono per
Bruno degli
animali,
con una propria
anima, perché
"ogni cosa
partecipa de
vita".
Questo tipo
di atteggiamento
era comune nei
filosofi che
nel Cinquecento
e nel Seicento
si ispiravano
all’antica tradizione
neopitagorica,
neoplatonica
o epicurea,
contrapponendola
alla tradizione
aristotelica.
Gli esiti erano
quanto mai vari,
ma in alcuni
casi fortunati
queste antiche
filosofie riuscirono
a suggerire
grandi intuizioni:
è il
caso di Keplero,
la cui cieca
fiducia nella
esistenza di
una descrizione
matematica della
natura, che
derivava da
Pitagora e Platone,
lo portò
a cercare modelli
geometrici del
sistema solare
fino a quando
riuscì
a formulare
le leggi
che portano
il suo nome
e descrivono
le orbite dei
pianeti.
Giordano
Bruno
La
fiducia nella
possibilità
di una descrizione
matematica della
realtà
è evidente
anche in Galileo,
al quale va
il merito di
avere recuperato
alla scienza
anche un’altra
componente tradizionale
del pensiero
antico: l’atomismo.
Ma
esiste un terzo
elemento che
l’autorità
di Aristotele
aveva eliminato:
l’infinità
dell’universo.
Proprio su questo
elemento, di
fondamentale
importanza,
si giocò
una partita
difficilissima,
dalle conseguenze
drammatiche,
che vide contrapposti
la Chiesa cattolica
e Giordano Bruno
e che si
concluse nel
più oscurantistico
dei modi, con
il rogo di
Bruno nel 1600.
La
grande intuizione
di Bruno fu
quella, duplice, di riportare
in auge la teoria
eliocentrica
di Copernico
e di spingerla alle
estreme conseguenze. Conseguenze,
come vedremo,
di portata epocale
per tutta l'umanità.
Copernico infatti,
vissuto molti
anni prima
(1473-1543),
era sfuggito
alla condanna
della Chiesa
non solo perché
aveva rimandato
fino alla fine
la pubblicazione
del suo De
revolutionibus
orbium celestium,
che vide la
luce il 24 maggio
1543, giorno
in cui curiosamente
morì
l'autore, ma
anche perché
il pastore
protestante
che lo pubblicò,
Andrea Osiander, aggiunse
al testo una
introduzione
nella quale
dava del copernicanesimo
un'interpretazione
esclusivamente
geometrico-matematica,
escludendo che
esso avesse
a che fare con
la realtà
fisica. Inoltre
il trattato,
in modo apparentemente
incomprensibile,
è dedicato
a Papa Paolo
III, e questo
non suscitò
il benché
minimo scandalo
all'epoca. Il copernicanesimo fu
infatti condannato
dalla Chiesa
solo cinquant'anni
dopo la morte
del suo autore,
quando Galileo
se ne fece portavoce:
come mai?
La risposta
sta proprio nelle due possibili
interpretazioni
del copernicanesimo,
geometrica
e fisica:
il copernicanesimo
si diffonde
senza problemi
finché
è
visto in chiave
geometrica,
ma sarà
duramente condannato nel
momento in cui
sarà
visto in chiave
fisica: d'altronde la
condanna era
inevitabile,
perché
le dottrine
copernicane
erano incompatibili
con alcune affermazioni
della Bibbia,
ove troviamo scritto
ad esempio che Giosuè
ordina al Sole
di fermarsi
(il Sole quindi
deve essere
in movimento,
e
non immobile
come diceva
Copernico).
Vista in chiave
geometrica,
al contrario, la
teoria copernicana
è compatibilissima
con quella ecclesiastica,
perché
tutto assume
connotazioni
assolutamente
teoriche ed
astratte:
Copernico, in
quest'ottica,
non afferma
che il mondo
va in un determinato
modo, ma che,
se ipotizzassimo
che le cose
stessero come
da lui proposto,
otterremmo dei
risultati che
spiegherebbero
perfettamente
il moto apparente
dei pianeti.
Tutto al condizionale.
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