Nucleo
atomico
I
nuclei sono
costituiti da
protoni e neutroni,
detti nell'insieme
nucleoni.
Sono particelle
che si assomigliano
molto, ma mentre
il neutrone
è elettricamente
neutro (q =
0), il protone
ha una carica
positiva (q+ = +1).
Il
numero di protoni
presenti in
un nucleo è
detto numero
atomico (Z);
quindi la carica
elettrica nucleare
è pari
a Z volte la
carica di un
protone. Normalmente
gli atomi sono
neutri
e questo si
deve al pari
numero, Z appunto,
di protoni ed
elettroni (q- = -1)
che li compongono.
Disegno
schematico di
un atomo
Tutti
gli atomi che
hanno uguale
Z, anche se
differiscono
per il numero
di neutroni,
danno origine
allo stesso
elemento chimico,
hanno in pratica
le medesime
proprietà
e occupano lo
stesso posto
nella tavola
periodica degli
elementi. Per
questo motivo
atomi con lo
stesso numero
atomico Z sono
detti isòtopi
(= stesso posto).
Nel
nucleo è
concentrata
quasi tutta
la massa dell'atomo.
Infatti, neutroni
(m = 1.675x10-27Kg)
e protoni (m
= 1.673x10-27 Kg)
hanno masse
molto più
grandi (circa
1800 volte)
di quella degli
elettroni (m
= 9.109x10-31 Kg).
Per valutare
la massa di
un nucleo è
fondamentale
conoscere il
numero N
di neutroni
che vi compaiono.
Se si trascura
la piccolissima
differenza esistente
tra le masse
del protone
e del neutrone,
si può
concludere che
la massa di
un nucleo vale
Z + N volte
la massa del
protone.
La
quantità
Z + N s'indica
con la lettera
A ed è
chiamata numero
di massa.
Un nucleo specifico,
con il suo numero
atomico e il
suo numero di
massa determinati,
si dice nuclide.
Come
termine di
paragone
per le masse
atomiche (e
nucleari) si
è scelto
un particolare
isotopo del
carbonio, molto
abbondante in
natura: il carbonio-12.
Nel suo nucleo
sono presenti
6 protoni e
6 neutroni;
il suo numero
di massa A vale
dunque 12.
L'unità
di misura delle
masse atomiche
(uma)
è definita
come la dodicesima
parte della
massa del carbonio-12
(1 uma = 1.6605 x 10-27 Kg).
Non
sempre però
la massa di
un atomo è
pari ad un numero
intero di uma;
spesso è
un numero decimale.
La ragione di
ciò risiede
nell'esistenza,
per uno stesso
elemento chimico,
d'isotopi
di peso diverso:
essi contribuiscono
alla massa dell'elemento
in modo più
o meno accentuato
secondo la loro
abbondanza in
natura.
Stabilità
nucleare
La
valutazione
della massa
degli atomi,
e quindi dei
nuclei, ha una
grande importanza
nella fisica
nucleare. La
famosa formula
E = mc2,
scritta per
la prima volta
da Albert
Einstein nel
1905, stabilisce
che esiste un'equivalenza
tra massa ed
energia,
come se fossero
due forme sotto
cui si presenta
la stessa entità
fisica.
L'interpretazione
della formula
è semplice:
essa permette
di calcolare
a quanta energia
(E) corrisponde
una certa massa
(m); basta moltiplicare
la massa per
la velocità
della luce (c)
elevata al quadrato.
Segue
che la cessione
di energia si
accompagna sempre
a perdita di
massa. La
perdita di massa
accompagna indistintamente
tutte le perdite
di energia,
ma normalmente
è troppo
piccola per
essere rilevabile.
Se però
si considera
un nucleo atomico,
ci si accorge
che l'effetto
è assolutamente
non trascurabile:
un centesimo
della massa
dei nucleoni
si converte
in energia di
legame.
Tabella
riassuntiva
delle caratteristiche
delle tre particelle
fondamentali
costituenti
un atomo:
Particella |
Carica Unitaria |
Carica in Coulomb (C) |
Massa relativa |
Massa in Kg |
Massa in amu |
E (MeV) |
Elettrone |
-1 |
-1.602 x 1019 |
1 |
9.10 x 10-31 |
0.000549 |
0,511 |
Protone |
+1 |
+1.602 x 1019 |
1836 |
1.673 x 10-27 |
1.007277 |
938,26 |
Neutrone |
0 |
0 |
1840 |
1.675 x 10-27 |
1.008665 |
939,55 |
Se
si potessero
"pesare",
prima un nucleo
atomico e successivamente
i suoi componenti
separati, ci
si troverebbe
di fronte ad
un fatto sorprendente:
la massa del
nucleo è
leggermente
inferiore alla
somma delle
masse dei protoni
e dei neutroni
che lo costituiscono;
si ha in pratica
un difetto di
massa. Si tratta
di una delle
conseguenze
della relazione
d'equivalenza
tra massa ed
energia intuita
da Einstein.
Quando
due o più
nucleoni s'uniscono
a formare un
nucleo, parte
della loro massa
è convertita
in energia di
legame nucleare.
Il valore positivo
dell'energia
di legame (E)
indica che il
nucleo possiede
meno energia
dell'insieme
dei nucleoni
che lo costituiscono;
quanto maggiore
è l'energia
di legame liberata,
tanto minore
è l'energia
del nuclide
(nuclide più
stabile). La
straordinaria
capacità
dei nuclei atomici
di contenere,
stipati insieme
in volume estremamente
piccolo, enti
elettricamente
carichi quali
i protoni, chiarisce
perché
la forza che
tiene insieme
i nucleoni sia
stata denominata
interazione
forte (detta
anche "forza
forte"). Nonostante
le immense forze
repulsive che
si esercitano
tra tali particelle,
con carica dello
stesso segno,
la maggior parte
dei nuclei sopravvive
per un tempo
indefinito.
L'energia
di legame è
quella che si
deve fornire
ad un nucleo
per riuscire
a separare uno
dall'altro gli
Z protoni e
gli N neutroni
che lo compongono.
E'
allora evidente
che un nucleo
caratterizzato
da una grande
energia di legame
risulta particolarmente
stabile.
Maggiore
è l'energia
di legame per
nucleone, più
stabile è
il nucleo.
| Variazione dell'energia di legame nucleare a nucleone: il valore massimo si ha per Fe e Ni, i cui nuclei contengono nucleoni legati
con la massima intensità (energia nucleare minima).
|
La
stabilità
spiega anche
l'abbondanza
in natura di
certi isotopi:
alcuni sono
privilegiati
rispetto ad
altri perché
hanno un'energia
di legame maggiore.
Le
osservazioni
effettuate hanno
anche permesso
di trarre conclusioni
importanti sul
legame esistente
tra il numero
di nucleoni
presenti in
un nucleo e
la sua stabilità:
1.
Per piccoli
valori di Z
e di N le configurazioni
nucleari stabili
corrispondono
a un numero
uguale di protoni
e di neutroni
(Z = N).
2.
I Nuclei più
stabili tendono
ad avere un
numero pari
di protoni e
di neutroni;
è stata
quest'osservazione
a suggerire
che le forze
nucleari sono
forze che si
esercitano tra
coppie di corpi.
3.
Al crescere
di Z il numero
di neutroni
necessari a
garantire la
stabilità
aumenta, superando
di gran lunga
il numero di
protoni presenti
nello stesso
atomo. Essendo
i neutroni privi
di carica, essi
contribuiscono
alla forza forte,
ma non aggiungono
nulla alla repulsione
elettrostatica.
In un nucleo
di numero atomico
elevato occorrono
perciò
molti neutroni
per avere ragione
della repulsione
tra i protoni.
L'andamento
appena descritto
è reso
molto bene dalla
cosiddetta curva
di stabilità
dei nuclei,
che si ottiene
riportando tutti
i nuclei stabili
esistenti in
natura su un
piano cartesiano
i cui assi rappresentano
il numero di
protoni Z (ascisse)
e il numero
di neutroni
N (ordinate):
Curva di stabilità dei nuclei: la stabilità nucleare dipende dal numero atomico e dal numero di massa. |
|
Più
un nucleo è
lontano dalla
curva, vale
a dire più
la coppia Z-N
si discosta
dai valori ottimali,
maggiore è
l'instabilità
che lo contraddistingue.
Il rapporto
tra numero di
protoni e numero
di neutroni
che si trovano
in un nucleo
non è
dunque casuale.
Reazioni
nucleari
In
certi nuclei,
il rapporto
A/Z è
tale che le
repulsioni tra
i protoni hanno
il sopravvento,
e ciò
ne determina
la disintegrazione
tramite espulsione
di frammenti
degli stessi.
La
radioattività
è frutto
della disintegrazione
nucleare, cioè
della demolizione
parziale dei
nuclei, che tendono
a portarsi verso
configurazioni
sempre più
stabili.
Il cambiamento
della composizione
di un nucleo
avviene tramite
un processo
di reazione
nucleare.
In base alla
formula di Einstein,
se si conosce
con precisione
la massa di
un nucleo atomico
e dei suoi costituenti,
si può
valutare
l'energia che
esso emette
nel corso di
reazioni nucleari.
Ciò
che ne deriva
è spesso
un nuclide,
detto nucleo
figlio,
più leggero
e chimicamente
differente da
quello di partenza;
in questo caso
si parla di
trasmutazione
nucleare. L'identità
del nucleo figlio
dipende dalla
variazione del
numero atomico
e del numero
di massa subita
dal nucleo
progenitore
all'atto dell'emissione
radioattiva.
Non
è detto
che un nucleo
radioattivo
decada direttamente
in un nucleo
stabile; può
accadere che
esso decada
in un nucleo
instabile, a
sua volta soggetto
a decadimento
radioattivo.
Il processo
in cascata continua
finchè
non si giunge
a un nucleo
stabile. Si
parla allora
di serie radioattiva.
Vediamo
un esempio di
catena di decadimento
a partire da
uno degli svariati
isotopi instabili
(o radioattivi)
dello Xeno,
lo Xeno 140
e cioè:
54Xe140.
Dallo Xeno 140
si hanno successivamente:
Xeno
(54Xe140)
Cesio
(55Cs140)
Bario (56Ba140)
Lantanio (57La140)
Cerio
(58Ce140).
Quest'ultimo risulta
finalmente essere stabile.
Ad ogni trasmutazione
si accompagna
l'emissione
di radiazione
beta (si
veda paragrafo
seguente) di
modo che lo
schema del decadimento
è quello
di seguito riportato:
Le
radiazioni nucleari
sono dunque
emesse dai nuclei
atomici dei
materiali radioattivi
al momento della
loro disintegrazione.
La capacità
di emissione
non dipende
da variabili
macroscopiche
come temperatura
e pressione,
presenza di
campi elettrici
e magnetici,
eccetera.
E'
stato poi scoperto
che oltre agli
isotopi naturalmente
instabili o
radioattivi,
è
possibile provocare
artificialmente
la radioattività
bombardando
gli atomi di
certi elementi
con delle particelle
subatomiche
(neutroni, protoni,
etc.).
L'attività
del campione
coincide col
numero di disintegrazioni
al secondo (1
disintegrazione/secondo
= 1 bequerel,
Bq).
L'equazione
relativa al
decadimento
di un isotopo:
Nucleo
progenitore
-> nucleo
figlio + radiazione
riproduce
esattamente
quella relativa
alle relazioni
elementari unimolecolari.
Questo tipo
di disintegrazione
configura un
processo indipendente
da fattori esterni
(es. temperatura).
Come nella reazione
chimica unimolecolare,
l'equazione
cinetica della
disintegrazione
nucleare è
del primo ordine:
Attività
= tasso di disintegrazione
= k x N
dove
k è detta
costante di
disintegrazione
e N è
il numero dei
nuclei radioattivi.
La
legge dice che
quanto più
numerosi sono
i nuclei radioattivi
presenti nel
campione, tanto
maggiore sarà
la velocità
di decadimento
e, corrispondentemente,
tanto più
attivo il campione.
Tale
legge cinetica
del primo ordine
implica che
la disintegrazione
abbia un andamento
esponenziale.
La
disintegrazione
radioattiva
si discute generalmente
facendo riferimento
al tempo di
dimezzamento
(semiperiodo,
t1/2),
cioè
il tempo necessario
affinché
si disintegri
la metà
del numero iniziale
di nuclei. I
valori dei tempi
di dimezzamento
si estendono
ad un campo
assai ampio
che, a seconda
del nucleo considerato,
può oscillare
dal millesimo
di secondo al
miliardo di
anni. Il valore
di t1/2 è
un chiaro indice
della stabilità
del nucleo cui
si riferisce:
un t1/2
breve
è segno
d'instabilità
e quindi di
predisposizione
al decadimento
radioattivo;
i nuclei stabili
invece vantano
t1/2 lunghissimi.
Si
definisce invece
vita media
t di un dato
elemento o isotopo
radioattivo
il tempo
di esistenza
che mediamente
esso ha prima
che decada.
Il concetto
di vita media
è strettamente
correlato a
quello di tempo
di dimezzamento
(t1/2).
Radiazioni
nucleari
I
decadimenti
radioattivi
sono sempre
accompagnati
dall'emissione
di radiazioni
di diversa natura,
corpuscolare
e/o elettromagnetica.
Se
ne distinguono
i seguenti tipi
principali:
Radiazioni
α =
particelle costituite
da nuclei di
Elio, nHe (2
neutroni e 2
protoni), che
hanno una doppia
carica positiva.
Tramite decadimento
a, il nucleo
emettitore si
trasforma in
un nucleo diverso,
con numero atomico
(Z - 2) e numero
di massa (A
– 4).
Un
esempio è
il decadimento
dell’uranio-238
in torio-234:
Raggi
b- =
elettroni nucleari,
b-.
Quando il rapporto
neutroni/protoni
nel nucleo è
troppo elevato,
un neutrone
(bn) si trasforma
in protone (ep)
mediante emissione
di una particella
avente carica
unitaria negativa
e massa nulla,
in quanto priva
di protoni e
neutroni:
In
seguito al decadimento
b,
dunque, si ottiene
un nucleo con
numero atomico
(Z + 1), ma stesso
numero di massa
A (transizione
isobarica).
Insieme all'elettrone
viene emesso
anche un antineutrino
n- (particella
priva di massa
e di carica
elettrica che
si sposta alla
velocità
della luce e
ha una scarsa
capacità
d'interagire
con la materia);
l'energia totale
di disintegrazione
si ripartisce
in varia misura
tra le due particelle.
Un
esempio di decadimento
b- si
ha nel caso
della generazione
del Tecnezio, 99mTc,
scoperto da
Carlo Perrier
ed Emilio Segrè
(uno degli
ex-ragazzi di
Via Panisperna) nel
1937: si tratta
del radionuclide
attualmente
più usato
in medicina
nucleare
e si origina a
partire dal
Molibdeno, 99Mo, per
emissione ß,
con tempo di
dimezzamento
di 2.3 giorni:
Ecco
lo schema della sezione di un tipico generatore di 99mTc
usato in
medicina nucleare, le cui dimensioni reali sono di
circa 30x15x15 cm.:
Il
meccanismo di
funzionamento
è relativamente
semplice: si
tratta di identificare
una resina "a
scambio ionico"
con caratteristiche
tali da legare
in modo indissolubile
il Molibdeno,
lasciando invece
completamente
libero il Tecnezio.
Una
colonnina sterile
di tale resina
è il
"cuore"
del generatore
99Mo→99mTc;
essa, dopo che
è stato
assorbito il
99Mo,
viene introdotta
in un contenitore
di piombo (in
grigio nello
schema) di spessore
adeguato (alcuni
cm) per frenare
le radiazioni
gamma (vedi
sotto) emesse
dal 99Mo,
che sono di
energia elevata
(fino a 1 MeV).
Il 99Mo decade,
con una emivita
di 67.7 ore,
a 99mTc,
che a sua volta
decade a 99Tc (cessando
di essere radioattivo)
con un'emivita
di 6 ore.
Sulla
colonnina, in
mancanza di
interventi esterni,
sono quindi
presenti, in
equilibrio fra
loro, sia il
99Mo (in
rosso nello
schema) sia
il 99mTc (in
verde nello
schema).
Fotoni
(raggi γ,
raggi X) =
onde elettromagnetiche
ad altissima
frequenza (superiore
a 1020 Hz),
corrispondente
a lunghezze
d'onda inferiori
al picometro
(1 pm = 10-12
m).
Esse
prendono il
nome di raggi
gamma quando
si producono
a seguito di
fenomeni di
disintegrazione
di nuclei atomici
(decadimento
gamma); prendono
invece il nome
di raggi X quando
traggono origine
dai processi
di rimaneggiamento
degli elettroni
orbitali (conversione
interna). Dal
momento che
non posseggono
né carica
né massa,
la loro emissione
non comporta
un cambiamento
delle proprietà
chimiche dell'atomo
(transizione
isomerica),
ma solo la perdita
di una determinata
quantità
di energia sotto
forma di radiazione:
Esempio
di transizione
isomerica è
la già
citata emissione
gamma del 99mTc che,
derivante dal
decadimento
beta del 99Mo,
decade a sua
volta a 99Tc,
con un'emivita
di 6 ore:
Decadimento
beta seguito
da transizione
isomerica
In
genere gli elementi
pesanti hanno
probabilità
di emettere
radiazioni alfa,
mentre quelle
beta sono più
caratteristiche
degli elementi
leggeri.
La
radiazione gamma
accompagna solitamente
una radiazione
alfa o
una radiazione
beta: infatti,
dopo l'emissione
alfa o
beta, il nucleo
è ancora
eccitato, perché
i suoi protoni
e neutroni non
hanno ancora
raggiunto la
nuova situazione
di equilibrio:
di conseguenza,
il nucleo si
libera rapidamente
del surplus
di energia attraverso
l'emissione
di radiazione
gamma.
Per
esempio il cobalto-60
si trasforma
per disintegrazione
beta in nichel-60,
che raggiunge
il suo stato
di equilibrio
emettendo una
radiazione gamma:
Decadimento
beta accompagnato
da emissione
di raggi gamma
In
alcuni casi
lo stato di
eccitazione
permane per
un tempo più
o meno lungo
dopo l'emissione
delle particelle,
come se qualcosa
ostacolasse
il successivo
decadimento
gamma. Si forma
così
un nucleo metastabile
(es. il predetto 99mTc),
che è
un isomero del
nucleo finale
derivante dalla
disintegrazione
e che si comporta
in pratica come
un g-emittente
puro.
Altri
tipi di radiazioni
nucleari sono
stati riconosciuti
dagli scienziati.
Il positrone,
b+,
per esempio,
possiede la
stessa massa
dell'elettrone,
ma è
positivo; esso
viene emesso,
insieme ad un
neutrino n,
in conseguenza
della trasformazione
di un protone
in neutrone,
che si verifica
quando il rapporto
neutroni/protoni
nel nucleo è
troppo basso:
L'emissione
di positroni
corrisponde
dunque ad una
transizione
isobarica, in
seguito alla
quale il nuovo
nucleo presenta
numero atomico
inferiore di
un'unità,
ma numero di
massa uguale
a quello del
progenitore;
ad esempio:
Una
volta perduta
la sua energia
nell'interazione
con la materia,
il positrone
si combina con
un elettrone;
le due particelle
allora scompaiono
dando origine
a due fotoni
di 511 KeV ciascuno
(l'energia equivalente
appunto alla
massa di un
elettrone e
di un positrone)
che si allontanano
nella stessa
direzione ma
in senso diametralmente
opposto. Queste
radiazioni,
dette di annichilazione,
vengono talora
sfruttate per
esami scintigrafici
(PET) e per
altre misurazioni
in vivo con
l'impiego di
speciali apparecchiature
basate sulla
tecnica del
conteggio in
coincidenza:
Annichilazione
Un'altra
forma di transizione
isobarica che,
come la precedente,
dà origine
a un nuovo nuclide
con numero atomico
inferiore di
un'unità,
è la
cosiddetta cattura
elettronica.
Anch'essa si
verifica con
nuclei particolarmente
ricchi di protoni:
quando un elettrone
orbitale attraversa
uno di questi
nuclei viene
catturato e
va a neutralizzare
la carica positiva
di un protone,
che si trasforma
così
in neutrone;
contemporaneamente
viene espulso
un neutrino,
che porta con
sé l'energia
perduta nel
processo di
trasmutazione.
A seguito di
quest'evento
l'atomo si viene
a trovare in
stato di eccitazione;
per tornare
allo stato basale
l'atomo emette
perciò
una o più
radiazioni X
caratteristiche.
Anche queste,
essendo di bassa
energia e non
accompagnate
da particelle
beta, possono
essere vantaggiosamente
utilizzate per
applicazioni
mediche.
Principali
modalità
di decadimento
dei radionuclidi
(Fonti:
http://lem.ch.unito.it/didattica/infochimica/2007_Tecnezio/radiochimica.html
http://www.unipd.it/nucmed/TF/TF.pharm.ita.html)
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