Ed
ecco il commento
(tratto da Opere
di Luciano voltate
in italiano da Luigi
Settembrini,
Volume Primo, Firenze,
1861, Introduzione):
"Il
titolo del Filopseude
è la prima
piacevolezza di
questo dialogo piacevolissimo,
nel quale Luciano
deride coloro che
facendo professione
di sapienti, non
erano vaghi della
sapienza, ma della
bugia, non filosofi,
ma filopseudi; e
andavano perduti
dietro la medicina
empirica, gl'incantesimi,
la ciarlataneria,
ed ogni specie di
superstizioni religiose.
Essendo
venuta meno quella
forza d'intelletto
che cercò
la verità
nel mondo della
ragione e vi fece
sì grandi
conquiste, si cercava
la verità
nel mondo della
natura e nel mondo
dell'immaginazione.
Onde questo dialogo,
quantunque sia una
satira dei filosofi
del tempo, pure
tratta di argomento
religioso, e per
dire più
corretto, della
superstizione
religiosa. La
quale non è
dipinta in persone
del volgo, ma in
uomini di una certa
intelligenza e conoscenza,
cosicchè
più spiccato
è il contrasto
che produce il ridicolo.
Ecco
adunque in casa
di un filosofo,
uomo assai riputato
e dabbene, che giace
in letto ammalato,
una conversazione
di filosofi di varie
sètte, i
quali ragionano
di malattie risanate
con rimedi strani
e ridicoli, con
parole ed incantesimi.
In mezzo a questo
mazzo di sapienti
capita un uomo di
buon senso che ride
di tali sciocchezze,
e quelli, come suole
questa gente, dicono
che egli non crede
negli Dei. Or uno,
or un altro raccontano
di maghi ed incantatori
che camminavano
per l'aria e sull'acqua
e sul fuoco, e risuscitavano
morti, e facevano
uscir dell'inferno
le ombre, e scendere
la luna dal cielo,
e liberavano indemoniati:
poi della virtù
d'un anello; e dei
prodigi che fa una
statua che ogni
notte scende del
piedistallo, e va
per la casa, e risana
ogni specie di malattie.
Non
sono impostori che
vogliono ingannare,
ma uomini ignoranti
e fanatici, che
credono pienamente
alle loro fantasie,
ed affermano di
aver veduto con
gli occhi loro quei
prodigi che narrano,
e che sono stati
veduti da altri
che essi allegano
a testimoni. Specialmente
il filosofo padron
di casa racconta
come in una selva
ei vide la terribile
figura di Ecate,
e chiama in testimone
un servo; e narra
innanzi a due figliuoli
giovanetti, come
la madre loro e
sua moglie già
morta gli apparve
una volta, e gli
ragionò.
Il
medico presente
a questo racconto
dice, che anch'egli
ha una statuetta
d'Ippocrate, che
la notte gli va
camminando per la
casa; e che egli
conosce un uomo
il quale morì
e dopo venti giorni
resuscitò.
Il
più leggiadro
di questi racconti
è quello
dell'Egiziano,
che sapeva fare
d'un palo o d'un
pestello un servitore
che andava in piazza,
spendeva, portava
acqua, faceva il
cotto, e tutte le
faccende di casa:
favola che il Goethe
in una delle sue
poesie ha saputo
anche più
illeggiadrire, e
mettervi dentro
un sentimento più
vero.
Wolfgang
Goethe
Insomma
costoro che insegnavano
sapienza ai giovani,
ed erano fiori di
senno e di dottrina,
raccontano le più
matte fole di fantasmi,
di anime, di miracoli,
con la maggior fede
e serietà.
Quell'uomo di senno
che sta ad ascoltare,
li rimbecca e li
punge con frizzi
e motti; ma infine
non potendo più,
e parendogli scortesia
contraddire più
oltre, e motteggiare,
vassene, lasciandoli
liberamente scialare
delle loro corbellerie.
Il
dialogo è
fatto con arte assai
fina; i racconti
sono schietti ed
efficaci per modo
che ti pare di essere
in mezzo a quei
vecchi, e udirli
parlare, e vedere
le cose che raccontano.
Quanto è
vero il guizzare
del giovanetto,
quando il padre,
parlando della mamma
già morta,
gli mette una mano
su la spalla! Io
crederei quasi che
Luciano fosse stato
presente a simili
discorsi in casa
di qualcuno: tanto
al naturale ei ritrae
le persone ed i
discorsi, e con
quella sobrietà
e snellezza che
è tutta greca,
e tutta sua."
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