Ne discende coerentemente che neanche il pentimento in Don Giovanni ha
diritto di cittadinanza. Pur «affaticato» dagli stessi intrighi che
costituiscono l'ordito della sua vita erotica, Don Giovanni è
tutt'altro che pentito del proprio operato. Lo stesso banchetto che precede
l'entrata del Commendatore - entrata su cui Kierkegaard significativamente
sorvola - suona come un atto di sfida contro quella «coscienza» che il
Commendatore incarna, la conferma che il credo di Don Giovanni non è mai la
meditatio mortis - ciò che piuttosto si potrebbe dire di Faust -,
ma, nonostante egli sia ora «stato spinto fino alla punta estrema della
vita», una «"gaiezza esuberante di vita"» di cui sono altrettanti
simboli «l'inebriante conforto dei cibi, il vino spumeggiante, le note
festose della musica sullo sfondo […]».
In tal senso si può ben dire che Don Giovanni è non solo il
discrimen tra l'immediatezza e la mediazione, ma anche l'estremo
baluardo dell'innocenza della natura (cfr. R.Cantoni, La coscienza inquieta. Sören Kierkegaard,
Milano, Il Saggiatore, 1976, pp. 39-40).
Don Giovanni è, sì, angosciato, ma quest'angoscia - precisa Kierkegaard -
non è mai «disperazione», bensì, ancora, la sostanza stessa del «demoniaco
desiderio di vivere». Don Giovanni, insomma, è la stessa forza cosmica,
perciò naturale, della sensualità: in lui c'è piuttosto l'immediatezza della
natura che il peccato della coscienza e la coscienza del limite.
Di qui la differenza tra
Don Giovanni e Faust,
chiaramente delineata
da Kierkegaard nel
Diario ed
in Silhouettes
all'interno
di Enten-Eller,
e il possibile accostamento di Faust al
seduttore psichico. Anzitutto, afferma Kierkegaard, «Faust […] è il dubbio personificato»; «maestro del dubbio», e perciò «scettico», Faust
quindi «nel sensuale non tanto cerca il godimento quanto una distrazione […]
dalla nullità del dubbio.
La sua passione non ha perciò la
Heiterkeit [serenità] che distingue un Don Giovanni. Il suo volto non è
sorridente, la sua fronte non è senza nubi, e la gioia non è sua compagna».
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Tony Johannot,
Faust e Mefistofele,
1845-7 |
Per di più Faust coltiva un dubbio che conduce alla disperazione
poiché non si tratta di un dubbio puramente intellettuale, ma d'un autentico
«dubbio della personalità». Ne consegue che in Faust
«l'erotico è già riflesso, qualcosa a cui egli s'abbandona spinto dalla
disperazione». Non a caso Faust - a dispetto della sua irrequietezza -
è seduttore statico e cerebrale: non solo seduce una sola donna, ma compie
la sua opera attraverso la sola forza del «discorso» e della «menzogna». Di contro, Don Giovanni è seduttore dinamico e istintivo: non solo
seduce tutte le donne, ma compie la sua opera attraverso la sola forza del
«desiderio sensuale».
Da queste premesse si comprende in che senso Kierkegaard consideri
Faust espressione del demoniaco spirituale - che, come tale, è una
sorta di variazione del seduttore psichico, del quale anzi ribadisce la
peculiarità -, laddove Don Giovanni è l'espressione del demoniaco
sensuale.
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