Sul
senso della
spiazzante
ironia implicita
nell'uso dell'immagine
della pipa associata
alla sua contemporanea
negazione verbale
molto si è
detto e scritto,
attribuendo
ai dipinti-con-pipa
di Magritte
un significato metafisico
che forse non
hanno; potrebbe
trattarsi semplicemente
di un geniale
scherzo, di
un divertissement
senza troppi
sovra- o sotto-significati.
Forse Magritte,
sornione come
sempre, se la
rideva dello
sconcerto dei
critici e dei
loro tentativi
di decrifrare
il "mistero",
anzi, il "doppio
mistero".
Non
bisogna dimenticare
una famosa affermazione
dello stesso
Magritte a tale
proposito: "il
mistero è
la banalità che accomuna tutte le cose"
egli scrive
nel 1955; e
ancora: "l'amore per l'ignoto equivale all'amore per
la banalità: conoscere significa scoprire la banale conoscenza, agire
significa conoscere la banalità dei sentimenti e delle sensazioni". Anche
questa affermazione
è in
sé enigmatica:
che significa
che il mistero
è la
banalità?
Probabilmente
l'opposto di
quello che sembra
significare:
banale non è
il mistero in
sé, ma
il nostro considerarlo
tale e la pretesa
di penetrarlo. E'
un tema, quello del banale, su cui Magritte torna per precisare che la
natura non deve essere conosciuta. E' la conoscenza che è banale (ed erronea),
mentre l'intuizione e l'evocazione mantengono intorno a loro un'aura
di mistero che è propria della natura, la quale può essere vista
solo con l'occhio
dell'irrazionalità.
René
Magritte, L'inganno
delle immagini
(1935)
Si
capisce dunque
quanto poco
opportuni possano
essere i tentativi
di "decifrare"
Magritte in
chiave razionalizzante.
Tuttavia è
il caso di vedere
almeno una di
queste interpretazioni
critiche, contenuta
in un articolo
specificamente
dedicato a
«Ceci
n'est pas une
pipe» dalla
rivista on line
Surrealismo.
Lo riporto di
seguito.
"La dichiarazione,
del tutto superflua
per quanto riguarda
una qualsiasi
riflessione
sul linguaggio
(chi non sa,
da sempre, che
il linguaggio
non combacia
con la realtà?),
ha tuttavia
una violenza
disarmata tanto
più efficace
quanto più
sotterranee
potevano sopravvivere
le tradizioni
consolatorie
del naturalismo.
Peraltro la
sua flagrante
banalità,
nonché
la negazione
di un qualcosa
che si nega
da solo, veicolano
sull'immagine
una carica di
mistero e di
"suspence"
interpretativa
che ne alimentano
la magia. La
pipa di Magritte
nasce dal presupposto
di non poter
essere una pipa,
e nello stesso
tempo ha ragione
di essere solo
per il fatto
di evocare l'oggetto
reale cui si
riferisce.
René
Magritte, L'inganno
delle immagini
(1952)
Michel
Foucault sostiene
che l'opera
vada interpretata
come un calligramma
di cui
Magritte sveli
la frantumazione
e la frattura
interna. In
altre parole
l'artista avrebbe
preso spunto
dalla caratteristica
organizzazione
visiva del calligramma,
in cui la disposizione
dei segni che
formano il testo,
e che "dicono"
la cosa di cui
si parla, coincide
con la forma
della cosa stessa:
«In quanto
segno, la lettera
permette di
fissare la parola;
in quanto linea,
essa permette
di raffigurare
la cosa».
La conseguenza
più immediata
è data
dal fatto che
al cospetto
del calligramma
il risultato
del guardare
e del leggere
coincidono perfettamente.
Tuttavia tra
loro vi è
un insopprimibile
disaccordo e
rimane latente
un potenziale
conflitto, non
del tutto scongiurato
dall'occasionale
convergenza
tra lo stilema
generale della
forma e quello
della parola.
L'uno tende
inevitabilmente
a prendere il
sopravvento
sull'altro,
schiacciandolo
sul fondo e
riducendolo
a fantasma,
a realtà
volatilizzata.
|