LUCANO,
Bellum
civile,
I 1-66
Bella
per Emathios
plus quam
ciuilia
campos
iusque
datum sceleri
canimus,
populumque
potentem
in
sua uictrici
conuersum
uiscera
dextra
cognatasque
acies, et
rupto foedere
regni
certatum
totis concussi
uiribus
orbis 5
in
commune
nefas, infestisque
obuia signis
signa,
pares aquilas
et pila
minantia
pilis.
quis
furor, o
ciues, quae
tanta licentia
ferri?
gentibus
inuisis
Latium praebere
cruorem
cumque
superba
foret Babylon
spolianda
tropaeis
10
Ausoniis
umbraque
erraret
Crassus
inulta
bella
geri placuit
nullos habitura
triumphos?
heu,
quantum
terrae potuit
pelagique
parari
hoc
quem ciuiles
hauserunt
sanguine
dextrae,
unde
uenit Titan
et nox ubi
sidera condit
15
quaque
dies medius
flagrantibus
aestuat
horis
et
qua bruma
rigens ac
nescia uere
remitti
astringit
Scythico
glacialem
frigore
pontum!
sub
iuga iam
Seres, iam
barbarus
isset Araxes
et
gens siqua
iacet nascenti
conscia
Nilo. 20
tum,
si tantus
amor belli
tibi, Roma,
nefandi,
totum
sub Latias
leges cum
miseris
orbem,
in
te uerte
manus: nondum
tibi defuit
hostis.
at
nunc semirutis
pendent
quod moenia
tectis
urbibus
Italiae
lapsisque
ingentia
muris 25
saxa
iacent nulloque
domus custode
tenentur
rarus
et antiquis
habitator
in urbibus
errat,
horrida
quod dumis
multosque
inarata
per annos
Hesperia
est desuntque
manus poscentibus
aruis,
non
tu, Pyrrhe
ferox, nec
tantis cladibus
auctor 30
Poenus
erit: nulli
penitus
descendere
ferro
contigit;
alta sedent
ciuilis
uolnera
dextrae.
quod
si non aliam
uenturo
fata Neroni
inuenere
uiam magnoque
aeterna
parantur
regna
deis caelumque
suo seruire
Tonanti
35
non
nisi saeuorum
potuit post
bella gigantum,
iam
nihil, o
superi,
querimur;
scelera
ipsa nefasque
hac
mercede
placent.
diros Pharsalia
campos
inpleat
et Poeni
saturentur
sanguine
manes,
ultima
funesta
concurrant
proelia
Munda, 40
his,
Caesar,
Perusina
fames Mutinaeque
labores
accedant
fatis et
quas premit
aspera classes
Leucas
et ardenti
seruilia
bella sub
Aetna,
multum
Roma tamen
debet ciuilibus
armis
quod
tibi res
acta est.
te, cum
statione
peracta
45
astra
petes serus,
praelati
regia caeli
excipiet
gaudente
polo: seu
sceptra
tenere
seu
te flammigeros
Phoebi conscendere
currus
telluremque
nihil mutato
sole timentem
igne
uago lustrare
iuuet, tibi
numine ab
omni 50
cedetur,
iurisque
tui natura
relinquet
quis
deus esse
uelis, ubi
regnum ponere
mundi.
sed
neque in
Arctoo sedem
tibi legeris
orbe
nec
polus auersi
calidus
qua uergitur
Austri,
unde
tuam uideas
obliquo
sidere Romam.
55
aetheris
inmensi
partem si
presseris
unam,
sentiet
axis onus.
librati
pondera
caeli
orbe
tene medio;
pars aetheris
illa sereni
tota
uacet nullaeque
obstent
a Caesare
nubes.
tum
genus humanum
positis
sibi consulat
armis 60
inque
uicem gens
omnis amet;
pax missa
per orbem
ferrea
belligeri
conpescat
limina Iani.
sed
mihi iam
numen; nec,
si te pectore
uates
accipio,
Cirrhaea
uelim secreta
mouentem
sollicitare
deum Bacchumque
auertere
Nysa: 65
tu
satis ad
uires Romana
in carmina
dandas.
Canto
guerre più
atroci di
quelle civili,
combattute
sui campi
d'Emazia
(= Tessaglia),
e il delitto
divenuto
diritto,
e un popolo
potente
che ha rivolto
la destra
vittoriosa
contro le
sue stesse
viscere,
le opposte
schiere
dello stesso
sangue,
e - infranto
il patto
della tirannia
- tutte
le energie
del mondo
sconvolto
che lottano
per un misfatto
comune,
e le insegne
che vanno
contro le
insegne
avversarie,
e le aquile
opposte
alle aquile
e i giavellotti
minacciosi
contro i
giavellotti.
Quale
follia,
o cittadini,
quale sfrenato
abuso delle
armi offrire
il sangue
latino alle
genti nemiche?
Mentre
si sarebbero
dovuti strappare
alla superba
Babilonia
i trofei
italici,
mentre l'ombra
di Crasso
continuava
ad errare
invendicata,
si decise
di intraprendere
guerre che
non avrebbero
avuto alcun
trionfo!
Oh,
con il sangue
che venne
versato
nelle guerre
civili,
quanto spazio
in terra
e in mare
si sarebbe
potuto conquistare,
là
donde sorge
il sole,
dove la
notte occulta
gli astri,
dove il
mezzogiorno
arde di
ore infuocate,
dove il
rigido inverno,
incapace
di sciogliere
il suo freddo
anche in
primavera,
stringe
il mare
glaciale
con il freddo
scitico:
sarebbero
già
stati sottomessi
i Seri,
il barbaro
Arasse e
la popolazione,
se esiste,
che conosce
le sorgenti
del Nilo!
Allora,
o Roma,
se brami
tanto una
guerra empia,
- una volta
che avrai
sottomesso
l'orbe intero
alle leggi
latine -
allora rivolgi
la mano
contro te
stessa:
fino ad
ora non
ti sono
mancati
i nemici.
Adesso invece,
del fatto
che, nelle
città
d'Italia,
le mura
delle case
diroccate
minacciano
di cadere
e, crollate
le pareti,
grandi massi
giacciono
a terra
e non c'è
più
alcuno che
custodisca
le abitazioni
e soltanto
qualche
raro abitante
vaga per
le antiche
città
e, ancora,
del fatto
che l'Esperia
sia irta
di rovi,
senza che
l'aratro,
per molti
anni, abbia
lavorato
e che mancano
le braccia
per i campi
che le richiedono,
di così
grandi sciagure
non sei
responsabile
né
tu, o feroce
Pirro, né
il Cartaginese:
a nessuno
è
toccato
in sorte
di penetrare
così
all'interno
con il ferro:
le ferite
inferte
dalla guerra
civile sono
le più
profonde
e inguaribili.
Se
però
il Fato
non ha trovato
altro mezzo
per l'avvento
di Nerone,
e se a caro
prezzo si
apprestano
gli eterni
regni per
gli dèi,
e se il
cielo poté
servire
al suo Tonante
(= Giove)
solo dopo
le guerre
combattute
contro i
crudeli
Giganti,
noi, o numi,
non ci lamentiamo
più:
approviamo
questi nefandi
delitti,
giacché
essi hanno
avuto tali
conseguenze.
Farsàlo
sommerga
pure di
sangue i
campi maledetti
e se ne
sazino i
Mani cartaginesi;
gli estremi
combattimenti
abbiano
luogo nella
funesta
Munda; a
questi tristi
destini
si aggiungano,
o Cesare,
la fame
di Perugia
e il travaglio
di Modena
e le flotte
che si trovano
sotto la
rocciosa
Lèucade
e le guerre
servili
sotto l'Etna
infuocato:
ciononostante
Roma deve
molto alle
guerre civili,
dal momento
che tutto
ciò
si è
realizzato
per te (=
Nerone).
Te,
allorquando,
completato
il periodo
del tuo
soggiorno
terreno,
salirai
- il più
tardi possibile
- verso
gli astri,
accoglierà
la sede
del cielo
che avrai
scelto,
fra il tripudio
dell'universo:
sia che
ti piaccia
impugnare
lo scettro,
sia che
tu voglia
montare
sul carro
fiammeggiante
di Febo
e percorrere
con il fuoco
errante
la terra
che non
avrà
timore del
nuovo sole,
ogni nume
si ritirerà
dinanzi
a te e la
natura ti
lascerà
il diritto
di decidere
quale dio
vorrai essere
e dove collocare
il tuo regno
sull'universo.
Ma
non scegliere
la tua sede
nella zona
dell'Orsa
(= il Polo
Nord), né
in quella
opposta,
dove si
trova il
caldo polo
australe,
donde vedresti
la tua Roma
con una
traiettoria
obliqua:
se tu graverai
su una sola
parte dell'etere
immenso,
l'asse dell'universo
sentirà
il tuo peso.
Equilibra
con un'orbita
centrale
la massa
del cielo:
quella zona
dell'etere
sereno sia
libera del
tutto e
nessuna
nube sia
di ostacolo
dalla parte
di Cesare.
Allora il
genere umano,
deposte
le armi,
pensi a
se stesso,
e ogni popolo
si ami vicendevolmente:
la pace,
diffusa
per il mondo,
chiuda le
ferree porte
del tempio
di Giano
portatore
di guerra.
Ma
tu per me
sei già
un dio,
e se io,
accogliendoti
nel mio
petto, divengo
poeta, non
desidero
sollecitare
il dio che
rivela i
segreti
di Cirra
né
distogliere
Bacco da
Nisa: basti
tu a dare
forza e
ispirazione
per un poema
romano.
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