CALLIMACO E I TELCHINI

 

 

Riporto di seguito il testo del proemio così come si trova nei papiri, con la traduzione di Giuseppe Rosati a fianco, sottolineando i punti in cui Callimaco espone la sua poetica ed indicando a fianco le lettere che corrispondono ai princìpi di poetica prima elencati:

 

  

Un buffo giocattolo che rappresenta un Telchino

(è evidente la sua natura anfibia)

 

Spesso i Telchini mormorano contro la mia arte,

ignoranti, che della Musa non nacquero amici,

perché non un solo canto continuato o di re                         

a gloria in molte migliaia di versi ho compiuto                      

o degli eroi più valenti, ma in breve giro la mia poesia avvolgo

come un fanciullo, mentre degli anni miei non poche sono le decadi.

Ora questo io dico ai Telchini: razza spinosa

che sa soltanto consumarsi il fegato,

certo sì io ero poeta di pochi versi, ma supera

di molto la lunga *** la feconda Demetra (1).

E delle due opere, che Mimnermo fu un dolce poeta, i carmi

brevi, non la grande donna (2) ce l'hanno mostrato.

Lungi verso la Tracia dall'Egitto voli

del sangue dei Pigmei godendo la gru,

e i Massàgeti (3) lungi lancino il dardo contro

il Medo; ma più dolci così sono gli usignoli.

Alla malora, funesta stirpe della Maldicenza, e in avvenire con l'arte

giudicate, non con la pertica persiana, la mia poesia,

né da me cercate che un canto molto risonante

nasca; tuonare non spetta a me, ma a Zeus.

Quando infatti la prima volta la tavoletta posi sulle mie

ginocchia, così mi disse Apollo Licio:

«La vittima, o diletto cantore, il più possibile grassa bisogna

allevarla, ma la Musa, o mio caro, sottile.

Inoltre anche questo voglio consigliarti: le vie che non battono i carri

devi calcare, né sulle stesse orme di altri

spingere il cocchio né per largo cammino, ma per sentieri

non calcati, anche se per una via più angusta dovrai guidarlo».

A lui porsi ascolto: ché fra quelli cantiamo che l'armonioso canto

della cicala amano, non il raglio degli asini.

Al modo stesso dell'orecchiuto animale levi il suo raglio

un altro, io sia invece l'esile, l'alata (4),

ah sì in tutto, perché la vecchiaia perché la rugiada: questa (5) io canti

sorbendola, mattutino alimento, dal divino etere,

di quella (6) poi mi spogli, che con tanto peso mi sovrasta

come la tricuspide isola sullo sventurato Encelado (7).

Ma non mi curo: quanti infatti da fanciulli le Muse guardarono con occhio

benigno, da vecchi, a lor cari, non li abbandonano.

 

 

a.

b.

a., b.

a.

 

 

b.

b.

 

b.

b.

 

b.

d.

d.

b.

a.

a.

 

 

a.

a., b.

c., e., f.

c., e., f.

c., e., f.

 

b., d.

b., d.

 

b., d.

b., d.

 

a.

 

a.

 

(1) Probabile allusione alla Demetra di Filita di Cos, poeta elegiaco di poco precedente rispetto a Callimaco e molto stimato dagli Alessandrini; la lacuna conteneva il nome di un'opera non apprezzata da Callimaco, forse la Lide di Antìmaco; (2) forse la Smirneide (o la Nannò) di Mimnermo, opere comunque perdute; (3) la gru e i Massàgeti designano metaforicamente la forma "lunga" della poesia epico-ciclica; (4) la cicala, ovviamente; (5) la rugiada; (6) la vecchiaia; (7) Encèlado era un gigante che, secondo il mito, stava disteso sotto l'Etna.