Spesso i
Telchini mormorano
contro la mia
arte,
ignoranti,
che della Musa
non nacquero
amici,
perché
non un solo
canto continuato
o di re
a gloria
in molte migliaia
di versi ho
compiuto
o degli eroi
più valenti,
ma in breve
giro la mia
poesia avvolgo
come un fanciullo,
mentre degli
anni miei non
poche sono le
decadi.
Ora questo
io dico ai Telchini:
razza spinosa
che sa soltanto
consumarsi il
fegato,
certo sì
io ero poeta
di pochi versi,
ma supera
di molto
la lunga ***
la feconda Demetra
(1).
E delle due
opere, che Mimnermo
fu un dolce
poeta, i carmi
brevi, non
la grande donna
(2) ce l'hanno mostrato.
Lungi verso
la Tracia dall'Egitto
voli
del sangue
dei Pigmei godendo
la gru,
e i Massàgeti
(3)
lungi lancino
il dardo contro
il Medo;
ma più
dolci così
sono gli usignoli.
Alla malora,
funesta stirpe
della Maldicenza,
e in avvenire
con l'arte
giudicate,
non con la pertica
persiana, la
mia poesia,
né
da me cercate
che un canto
molto risonante
nasca; tuonare
non spetta a
me, ma a Zeus.
Quando infatti
la prima volta
la tavoletta
posi sulle mie
ginocchia,
così
mi disse Apollo
Licio:
«La
vittima, o diletto
cantore, il
più possibile
grassa bisogna
allevarla,
ma la Musa,
o mio caro,
sottile.
Inoltre anche
questo voglio
consigliarti:
le vie che non
battono i carri
devi calcare,
né sulle
stesse orme
di altri
spingere
il cocchio né
per largo cammino,
ma per sentieri
non calcati,
anche se per
una via più
angusta dovrai
guidarlo».
A lui porsi
ascolto: ché
fra quelli cantiamo
che l'armonioso
canto
della cicala
amano, non il
raglio degli
asini.
Al modo stesso
dell'orecchiuto
animale levi
il suo raglio
un altro,
io sia invece
l'esile, l'alata
(4),
ah sì
in tutto, perché
la vecchiaia
perché
la rugiada:
questa (5) io canti
sorbendola,
mattutino alimento,
dal divino etere,
di quella
(6) poi mi spogli,
che con tanto
peso mi sovrasta
come la tricuspide
isola sullo
sventurato Encelado
(7).
Ma non mi
curo: quanti
infatti da fanciulli
le Muse guardarono
con occhio
benigno,
da vecchi, a
lor cari, non
li abbandonano.
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