SCHOPENHAUER: LA NATURA "DEMONIACA"

 

 

E' noto che la filosofia di Arthur Schopenhauer (1788-1860) prende le mosse dall'opposizione all'identificazione hegeliana tra realtà e razionalità. Schopenhauer riprende, pur con alcune differenze, la concezione kantiana secondo la quale i fenomeni esistono solo in quanto oggetti della percezione, dissentendo però da Kant sul fatto che la "cosa-in-sé" sia un limite irraggiungibile, posto oltre l'esperienza; egli la identifica invece con la volontà (Wille).

La volontà non si identifica affatto con l'azione consapevole, come nell'accezione corrente del termine: tutta l'esperienza del sé, comprese le inconsapevoli funzioni fisiologiche, è volontà. La volontà è l'intima natura del proprio corpo, che è "rappresentazione", cioè apparenza fenomenica nel tempo e nello spazio. Schopenhauer concluse che l'essenza del mondo materiale, cioè della natura, è un'unica volontà universale.

L'uomo può percepire soltanto i fenomeni nel mondo e non la "cosa in sé", ovvero come il mondo realmente è, a causa del velo di Maya, il velo dell'illusione che ottenebra le pupille dei mortali.

Sollevato il velo di Maya dei sensi ingannatori, ciò che si rivela allo sguardo, dietro l'apparenza razionale del fenomeno, cioè del mondo come rappresentazione, è lo spettacolo di una volontà cieca e irrazionale, che non si propone altro scopo che la propria autoaffermazione. La volontà vuole se stessa: è una volontà di vivere cieca e astuta, che sfrutta ogni occasione per affermarsi, senza avere di mira uno scopo razionale.

È questo per Schopenhauer il volto vero e demoniaco del mondo, il mondo come volontà.

 

 

Ludwig Sigismund Ruhl, Ritratto di Schopenhauer, 1815

 

Per Schopenhauer il tragico dell'esistenza scaturisce dalla caratteristica della volontà di vita di spingere l'individuo al raggiungimento di mete successive senza potersi mai placare, poiché la volontà è infinita. Essa conduce pertanto l'individuo al dolore, alla sofferenza e alla morte e in un ciclo infinito di nascita, morte e rinascita.

L'attività della volontà può essere portata alla cessazione mediante un atteggiamento ascetico, nel quale la ragione governa la volontà cercando di placare la lotta. Questo atteggiamento viene definito noluntas, termine che sta ad indicare la condizione della volontà liberata, non più cieca volontà di vivere, ma sua catarsi definitiva, non più propriamente "volontà", ma "non volontà".

Il tema della morte in Schopenhauer ci introduce nel più chiaro dei modi a questa visione della natura come concretizzazione del Wille. Questa visione oscilla tra due polarità opposte: la concezione della natura come produttrice di forme di bellezza e la denuncia della sua essenza demoniaca e cannibale.

Egli parte dalla considerazione che l'atteggiamento quotidiano dell'uomo nei confronti della morte altalena tra noncuranza e terrore. Di questi stati affettivi Schopenhauer propone una notevole spiegazione psicologico-metafisica.

La morte incombe su ciascun individuo come un evento che può intervenire in ogni istante in modo più o meno inatteso, più o meno fortuito. Eppure ciascuno, nella misura del possibile, vive lietamente «come se la morte non ci fosse» (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1985, p. 324). Non appena però ci si trova realmente faccia a faccia con la morte o anche soltanto ci si immagina di esserlo, a questa noncuranza subentra il terrore di essa: l'individuo cerca allora con ogni mezzo di fuggirla.