IL CONCETTO DI δαίμων

 

 

Di etimologia incerta, il termine δαίμων è forse legato al verbo δαίομαι, "spartire", "distribuire", e quindi significherebbe "chi assegna o distribuisce il destino"; Platone invece, nel Cratilo (398 b), lo fa derivare da δαήμων, "sapiente", ma l'etimologia è improbabile; la verità è che si tratta di un termine dal significato oscuro e spesso ambiguo.

Già in Omero si nota una differenza nell'uso di questo vocabolo; esso infatti nell'Iliade designa al plurale (δαίμονες) l'insieme degli dei olimpici, oppure singole divinità come Afrodite; nell'Odissea, invece, individua talvolta una potenza oscura e malvagia che si impossessa dell'uomo.

Più frequentemente e genericamente, esso esprime però un potere divino che, anche se in certi casi viene a coincidere con qualche specifica divinità, non può essere con quella confusa: δαίμων non è intercambiabile con ϑεός, "dio". Forse per la sua stessa genericità e nebulosità semantica, la nozione di δαίμων descrive una potenza anonima che suscita angoscia, invisibile e non rappresentabile plasticamente.

La religione orfica, erede di tradizioni antichissime, probabilmente di origine mediorientale, considera il dèmone come l'essenza stessa dell'anima, imprigionata nel corpo per una colpa compiuta e da cui cerca di liberarsi; vedremo come anche Platone sia portavoce di una concezione dell'anima simile a questa (è il famoso concetto di σῶμα-σῆμα, "corpo-tomba", ovvero corpo come carcere dell'anima, espressa soprattutto nel Fedone).

A partire da Esiodo i δαίμονες cominciano a configurarsi come potenze intermedie tra gli dei, gli eroi e i mortali, e tale concezione si mantiene pressoché invariata fino a Socrate e a Platone, dove viene però ulteriormente sviluppata: il δαίμων è anche il compagno scelto nell'Ade dall'uomo prima di cominciare la sua esistenza terrena e che, dopo la morte, guida l'anima sino al luogo in cui deve essere giudicata.

Inoltre Socrate parla di un δαίμων o spirito-guida che lo assiste in ogni sua decisione (si veda ad esempio l'Apologia di Socrate platonica). Si discute da tempo sull'esatto significato di questo termine: secondo Paolo De Bernardi (Socrate, il demone e il risveglio, in «Sapienza», vol. 45, editrice Domenicana Italiana, Napoli 1992, pagg. 425-43) esso sembra essere metafora dell'autentica natura dell'anima umana, della sua ritrovata coscienza di sé, mentre per Gregory Vlastos (Socrate il filosofo dell'ironia complessa, Firenze, La Nuova Italia, 1998; ed.originale: Socrates: Ironist, and Moral Philosopher, 1991) il δαίμων ha la funzione di stimolare la ragione di Socrate a fare la scelta più opportuna; Giovanni Reale ritiene che il δαίμων esprima il sommo grado dell'ironia socratica anche nella dimensione religiosa (Socrate, Milano, Rizzoli, 2000).

Phanes, l'Eros orfico, nascente dall'Uovo cosmico

Tutto questo non solo non illumina la figura del dèmone socratico, ma rende, se possibile, ancor più oscura la materia; tanto più che Platone afferma chiaramente che si tratta di una presenza che si fa avvertire non già per indurre Socrate a compiere certe azioni, ma solo per distoglierlo: «C'è dentro di me non so che spirito divino e demoniaco; quello appunto di cui anche Meleto, scherzandoci sopra, scrisse nell'atto di accusa. Ed è come una voce che io ho dentro sin da fanciullo; la quale, ogni volta che mi si fa sentire, sempre mi dissuade da qualcosa che sto per compiere, e non mi fa mai proposte» (Apologia di Socrate, 31 d).