APOLLONIO DI TIANA E LA VAMPIRA

 

 

Fra i contatti "paranormali" dell'antichità classica i più noti sono senz'altro l'incontro ravvicinato del filosofo Atenodoro con un fantasma, narrato da Plinio il Giovane in una sua lettera (leggibile qui), e la storia del lupo mannaro raccontata da uno dei commensali della Cena di Trimalcione nel Satyricon di Petronio (leggibile qui).

Meno nota, ma non meno interessante, è la storia della vampira narrata da Filostrato II, uno dei principali rappresentanti della Seconda Sofistica, nella biografia elogiativa del celebre santone e taumaturgo Apollonio di Tiana, esponente del neopitagorismo.

Questi, vissuto nel I secolo d.C., ebbe fama di uomo straordinariamente buono e giusto, in grado di compiere veri e propri miracoli, alcuni dei quali analoghi a quelli di Gesù Cristo: si dice ad esempio che abbia risuscitato una ragazza morta a Roma.

Nel quarto capitolo della Vita di Apollonio di Tiana Filostrato narra la storia incredibile di un tal Menippo di Licia, un bellissimo venticinquenne che fu concupito da un dèmone di sesso femminile, una vampira, tecnicamente una Làmia.

Le Làmie, nel mito greco, erano figure in parte umane e in parte animalesche, rapitrici di bambini; fantasmi seduttori che adescavano giovani uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne.

Lamia era la bellissima regina della Libia, figlia di Belo, amata da Zeus, dal quale ebbe il dono di levarsi gli occhi dalle orbite e rimetterli a proprio piacere. Era si vendicò del tradimento uccidendo quasi tutti i figli che suo marito ebbe da Lamia. Questa, lacerata dal dolore, iniziò a divorare i bambini delle altre madri, dei quali succhiava il sangue. Così facendo si trasformò in un essere di orribile aspetto, capace però di mutare forma e apparire attraente per sedurre gli uomini, allo scopo di berne il sangue. Per questo motivo la lamia viene considerata una sorta di vampiro ante litteram.

 

 

Herbert James Draper, Lamia, 1909

 

Le Làmie venivano spesso chiamate anche Empuse, sebbene queste ultime, figlie o serve di Ecate, fossero alquanto differenti: erano infatti mostri soprannaturali femminili, che terrorizzavano i viaggiatori divorando coloro che percorrevano i sentieri o le strade da esse frequentati. Le Empuse potevano assumere qualsiasi forma: le più ricorrenti erano quelle di cagna o di vacca e, per attirare le proprie vittime, potevano mutare l'aspetto in quello di donne deboli o seducenti; in quest'ultimo caso si potevano intrufolare nei letti dei giovani. L'aspetto più inquietante del mito è il fatto che, se le si osservava attentamente, le Empuse rivelavano ancora caratteri mostruosi o bizzarri, come una gamba di sterco d'asina e una di bronzo, oppure il retro d'asina e sandali di bronzo.