HENRI TOULOUSE-LAUTREC, "ESSERE LAIDO"

 

 

Così il “Lion Republicain” del 15 settembre 1901 saluta la scomparsa di Henri Toulouse-Lautrec: "Abbiamo perduto qualche giorno fa un artista che si era acquistato una celebrità nel genere laido… Toulouse-Lautrec, essere bizzarro e deforme, che vedeva tutti attraverso le sue miserie fisiche… È morto miseramente, rovinato nel corpo e nello spirito, in un manicomio, in preda ad attacchi di pazzia furiosa. Fine triste di una triste vita” (“Lion Republicain” del 15 settembre 1901).

Lo stesso giorno "Le Courrier Francais" scrive: “Come ci sono gli amatori entusiasti delle corride, delle esecuzioni capitali e di altri spettacoli desolanti, vi sono amatori di Toulouse-Lautrec. È un bene per l’umanità che esistano pochi artisti di questo genere”.

Giudizi del genere, così astiosi ed ottusi, dimostrano bene l'incapacità della società borghese di comprendere il genio di Toulouse-Lautrec; di lui viene còlto solo l'aspetto più superficiale, la volontà-capacità di suscitare scandalo, e questo fa scattare immediata la censura dei benpensanti.

Ma chi era questo "essere bizzarro e deforme"? Ripercorriamone la vita.

 

 

Henri de Toulouse-Lautrec

 

È la notte del 24 novembre 1864. Un uragano imperversa sulla Linguadoca nella Francia meridionale, infuriando particolarmente sulla città di Albi. Nel castello dei Toulouse-Lautrec, casato di antichissima nobiltà, la contessa Adele è alle prese con le doglie del parto: un fatto assolutamente naturale, ma che nel caso della giovane donna si carica anche di altri significati. Il suo, infatti, non è stato fino a quel momento un matrimonio felice. Il cugino che la contessa Adele Taple de Celeyran ha sposato, forse affrettatamente invaghitasi della divisa del brillante ufficiale di cavalleria, si è rivelato un individuo fatuo e superficiale e un marito certo non all’altezza dell’impegnativo nome della famiglia.

Il parto, sebbene laborioso, avviene regolarmente: è un maschio, e mentre il marito esulta, Adele sospira sollevata. Al bambino, cui ignaro toccava il difficile compito di riunire due genitori già divisi per gusti, sensibilità e interessi diversi, viene assegnato il nome Enrico Maria Raimondo di Toulouse-Lautrec. Più familiarmente Henri, in onore di Enrico V di Borbone, pretendente legittimista al trono di Francia, nipote di quel Carlo X con la cui cacciata nel luglio 1830 i parigini e i francesi avevano definitivamente chiuso con l’età della Restaurazione.

Passano alcuni anni. Il bambino cresce bene, allegro, intelligente e in buona salute: studia il latino e il greco, impara a cavalcare, segue i genitori nei loro continui vagabondaggi di oziosi benestanti. Ma i contrasti tra i due coniugi si accentuano e la separazione si rende inevitabile: quando dalla provincia decidono di stabilirsi a Parigi, la loro vita in comune è ormai ridotta a poco più che una formalità. Li tengono uniti le convenzioni sociali e il piccolo Henri, da educare e a cui preparare nella capitale un futuro degno del prestigio familiare.

Nel 1872 il ragazzo viene iscritto al Liceo Fontanes dove stringe una fraterna amicizia con il cugino Louis Pascal e con Maurice Joyant, che gli sarà vicino e fedele per tutta la vita e oltre, autore di un’opera fondamentale sull’artista e fondatore del museo di Albi.

Ma lo sviluppo fisico di Henri non è normale. Intorno ai dieci anni comincia a manifestare una salute cagionevole e, soprattutto, non cresce. E se in casa tentano di consolarlo vezzeggiandolo e chiamandolo petit bijou, i compagni di scuola parigini, crudeli come solo i bambini sanno essere, non gli perdonano né l’origine provinciale, né la disarmonia fisica che comincia a palesarsi. Così lo ribattezzano petit bonhomme, attribuendogli il nomignolo che per secoli in Francia ha designato il contadino francese tonto, sgraziato, sempliciotto.

Nonostante la madre preoccupata per le sue condizioni fisiche lo abbia ritirato da scuola per ricondurlo ad Albi, la sua salute non migliora, anzi subisce un duro colpo. Il 30 maggio 1878 Henri si trova nella sua città natale: mentre tenta di sollevarsi da una sedia a sdraio dove è disteso, cade e si frattura il femore sinistro, la cui riduzione risulterà assai difficile per i medici a causa dell’eccessiva fragilità delle ossa. È un brutto colpo per quest’adolescente pensoso e sensibile che aveva già dimostrato una straordinaria vocazione per il disegno riempiendo quaderni e margini di libri di immagini di animali e caricature di insegnanti e compagni di scuola: “non state a piangere sui miei guai” dice con grande fermezza d’animo a chi lo circonda, “me lo sono meritato perché mi sono dimostrato troppo malaccorto”.