Intanto però
il cortile da cui
si accedeva alla
sua camera si era
tanto alzato di
livello per la precipitazione
di cenere e pomici
che, se egli vi
avesse ulteriormente
indugiato, gli sarebbe
stato impossibile
uscirne. Lo si sveglia,
dunque; egli esce
e raggiunge Pomponiano
e gli altri che
avevano vegliato.
Tengono consiglio
per decidere se
restare in casa
al coperto o fuggire
per la campagna.
Infatti i caseggiati
traballavano sotto
la spinta di frequenti
scosse ad ampio
raggio e, quasi
rimossi dalle loro
fondamenta, sembrava
che sbandassero
ora da una parte
ora dall'altra per
poi tornare in sesto;
d'altra parte, stando
all'aperto, c'era
da temere la caduta
di pomici, per quanto
leggere e corrose.
Tuttavia il confronto
dei due pericoli
indusse a preferire
quest'ultima soluzione:
in mio zio una ragione
prevalse sull'altra,
nei suoi amici una
paura vinse l'altra.
Si mettono sopra
la testa dei cuscini
e li legano con
strisce di tela:
questo fu il loro
riparo contro i
materiali che piovevano
dall'alto. Altrove
era ormai giorno,
ma là persisteva
una notte più
scura e più
fitta di tutte le
notti, benché
punteggiata di numerose
fiaccole e luci
di vario genere. Si decise di
uscire sulla riva
del mare per controllare
da vicino se permetteva
qualche tentativo,
ma lo si constatò
ancora sconvolto
e impraticabile.
Là mio zio
fece stendere un
drappo per terra
e vi si sdraiò,
domandò a
più riprese
acqua fresca e ne
bevve. Ma ben presto
fiamme e puzza di
zolfo, preannunzio
di fiamme, inducono
tutti gli altri
alla fuga e lo ridestano;
egli riuscì
a sollevarsi appoggiandosi
a due giovani schiavi,
ma nello stesso
istante stramazzò:
immagino che l'aria
sovraccarica di
caligine gli abbia
arrestato la respirazione
occludendogli la
gola che egli aveva
debole già
per costituzione,
gonfia e spesso
infiammata.
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Pietro Fabris,
Veduta della grande eruzione del
monte Vesuvio nella notte di domenica
dell'8 agosto, 1779
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