L'ERUZIONE DEL VESUVIO DEL 79 D.C.

 

 

Intanto però il cortile da cui si accedeva alla sua camera si era tanto alzato di livello per la precipitazione di cenere e pomici che, se egli vi avesse ulteriormente indugiato, gli sarebbe stato impossibile uscirne.
Lo si sveglia, dunque; egli esce e raggiunge Pomponiano e gli altri che avevano vegliato. Tengono consiglio per decidere se restare in casa al coperto o fuggire per la campagna. Infatti i caseggiati traballavano sotto la spinta di frequenti scosse ad ampio raggio e, quasi rimossi dalle loro fondamenta, sembrava che sbandassero ora da una parte ora dall'altra per poi tornare in sesto; d'altra parte, stando all'aperto, c'era da temere la caduta di pomici, per quanto leggere e corrose.
Tuttavia il confronto dei due pericoli indusse a preferire quest'ultima soluzione: in mio zio una ragione prevalse sull'altra, nei suoi amici una paura vinse l'altra. Si mettono sopra la testa dei cuscini e li legano con strisce di tela: questo fu il loro riparo contro i materiali che piovevano dall'alto. Altrove era ormai giorno, ma là persisteva una notte più scura e più fitta di tutte le notti, benché punteggiata di numerose fiaccole e luci di vario genere.
Si decise di uscire sulla riva del mare per controllare da vicino se permetteva qualche tentativo, ma lo si constatò ancora sconvolto e impraticabile. Là mio zio fece stendere un drappo per terra e vi si sdraiò, domandò a più riprese acqua fresca e ne bevve. Ma ben presto fiamme e puzza di zolfo, preannunzio di fiamme, inducono tutti gli altri alla fuga e lo ridestano; egli riuscì a sollevarsi appoggiandosi a due giovani schiavi, ma nello stesso istante stramazzò: immagino che l'aria sovraccarica di caligine gli abbia arrestato la respirazione occludendogli la gola che egli aveva debole già per costituzione, gonfia e spesso infiammata.

Pietro Fabris, Veduta della grande eruzione del monte Vesuvio nella notte di domenica dell'8 agosto, 1779