ITALO SVEVO E JAMES JOYCE

 

 

Italo Svevo (pseudonimo di Aron Hector Schmitz) e James Joyce furono notoriamente grandi amici. A questo proposito mi piace riportare un articolo di Sergio Falcone leggibile qui, contenente uno stralcio delle memorie di Letizia Svevo, figlia dello scrittore italiano.

Un grande amico di papà fu James Joyce. Mio padre, che si recava spesso a Londra per curare da vicino gli interessi della filiale inglese della ditta Veneziani, decise di studiare bene l’inglese e di prendere una serie di lezioni da Joyce, allora giovanissimo professore alla Berlitz School di Trieste (eravamo, credo, nel 1907). Joyce cominciò a venire in villa Veneziani e a dar lezioni a mio padre e a mia madre. Durante una delle prime lezioni disse loro che era uno scrittore, che aveva pubblicato una raccolta di poesie, Chamber Music (1907), e che aveva composto un romanzo, A Portrait of the Artist as a Young Man (o Dedalus) e i racconti Dubliners. I miei genitori ne furono subito entusiasti: mamma si recò in giardino e portò a Joyce un mazzo di rose. Allora papà timidamente gli disse: ‘Sa, anch’io ho scritto; ma ho scritto due libri che non sono stati riconosciuti da nessuno’.

Così ebbe inizio l’amicizia tra Joyce e mio padre, che durò, attraverso frequenti contatti personali, sino al 1915, allorché Joyce, come cittadino inglese, dovette lasciare Trieste, dato lo stato di guerra fra l’Austria e l’Inghilterra. Egli si recò dapprima in Svizzera, a Zurigo, con la moglie Dora Barnacle e i due figli, e quindi, nel ’20, a Parigi. Ma tale amicizia durò, per così dire, a distanza, anche negli anni successivi alla prima guerra mondiale”.

 

 

Italo Svevo

Sono degli stralci di memorie di Letizia Svevo Fonda Savio, 85 anni, curatrice insieme a Bruno Maier dell'opera Iconografia sveviana. Scritti, parole e immagini della vita privata di Italo Svevo (1861–1928), ed. Studio Tesi.

Segue un'intervista alla figlia di Svevo:

 

1907-1915: come viveva Joyce, scrittore allora sconosciuto, a Trieste?

 

“Andava sempre in osteria ed era sempre senza un soldo. La moglie Nora, ancora più strana di lui, non conosceva le regole dell’economia domestica neppure per gli abiti dei bambini. Cambiavano spesso di abitazione. A Parigi invece (diceva mio padre) vivevano bene, poiché una miliardaria americana sosteneva il lavoro letterario di Joyce con tutti i mezzi”.

 

Dunque era un po’ matto Joyce, ma un grande amico di Svevo; il quale aveva, all’inizio della loro amicizia, 46 anni, mentre Joyce meno di 25 anni.

 

Joyce ragazzo aveva sofferto per l’alcoolismo del padre. Episodi nascosti, come ce ne sono in tutte le vite. Nell’Ulisse si avverte questa assenza o mancanza del padre, ovvero una nostalgia della figura paterna, dalla psicologia del giovane Stephen. Credo si sia ispirato a mio padre per il personaggio di Bloom. Mentre mia madre dava vita non so a quanti personaggi femminili, se l’irlandese ripeteva che i capelli di Livia Veneziani gli ricordavano il fiume biondo che passa per Dublino.

Lo ricordo alto, magro, con grandi occhi azzurri e interrogativi oltre le lenti. Spesso litigavamo per questioni politiche, poiché noi eravamo irredentisti (Trieste apparteneva all’Impero austro-ungarico), e quindi a favore dell’Italia a fianco della Francia e Inghilterra, mentre Joyce, di nascita irlandese (l’Irlanda territorio del Regno Unito), era ostile agli inglesi”.