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SENECA: IL SAGGIO E GLI
AMICI
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Presunto
ritratto
di
Seneca
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Forse
però
la
concezione
dell'amicizia
più
equilibrata
e
condivisibile
del
mondo
antico
proviene
da
Seneca.
Da
un
punto
di
vista
filosofico
egli
abbraccia
pienamente
la
tesi
aristotelica:
non
è
dall'interesse
e
dall'utilità
che
nasce
l'amicizia,
ma
da
un
vero
e
proprio
istinto
dell'uomo
in
quanto
politikòn
zòon.
L'uomo
è
infatti
anche
per
Seneca
un
animale
congenitamente
sociale
("hominem
sociale
animal
communi
bono
genitum
videri
volumus",
De
clementia,
I,
3,
2)
e
gli
amici
veri
sono
come
membra
di
uno
stesso
corpo,
tutti
per
natura
vincolati
da
un
rapporto
di
reciproco
sostegno,
così
come
le
pietre
che
costituiscono
una
volta,
che
cadrebbe
se
esse
non
si
sorreggessero
a
vicenda
(Epistole
a
Lucilio,
95).
Tuttavia
Seneca
va
ben
oltre
la
definizione
aristotelica
e
si
lascia
andare
ad
una
commossa
esaltazione
dell'amicizia.
Questo
avviene
soprattutto
nel
contesto
di
un'opera
che
appunto
dall'amicizia
è
nata:
le
Lettere
a
Lucilio.
Era
costui
un
personaggio
di
origini
modeste,
proveniente
dalla
Campania,
assurto
al
rango
equestre
e
a
varie
cariche
politico-amministrative,
di
buona
cultura,
poeta
e
scrittore,
di
parecchio
più
giovane
di
Seneca,
che
aveva
stretto
con
lui
un
profondo
rapporto
di
amicizia,
rafforzato
dallo
scambio
epistolare.
In
Epistulae
IX.
8-11
Seneca
replica
a
Lucilio,
che
gli
ha
sottoposto
una
lettera
di
Epicuro
sull’amicizia:
egli
non
è
d'accordo
con
la
tesi
del
filosofo
greco
circa
l'origine
dell'amicizia,
perché
questa,
esattamente
come
l’amore,
deriva
da
un
istinto
naturale
e
non
da
un
calcolo
opportunistico:
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Qui se spectat et propter hoc ad amicitiam venit
male cogitat. Quemadmodum coepit,
sic desinet: paravit amicum adversum vincla laturum opem; cum primum crepuerit
catena, discedet. Hae sunt amicitiae quas temporarias populus appellat; qui
utilitatis causa adsumptus est tamdiu placebit quamdiu utilis fuerit. Hac re florentes amicorum turba
circumsedet, circa eversos solitudo est, et inde amici fugiunt ubi probantur;
hac re ista tot nefaria exempla sunt aliorum metu relinquentium, aliorum metu
prodentium. Necesse est initia
inter se et exitus congruant: qui amicus esse coepit quia expedit, et desinet
quia expedit; placebit aliquod pretium contra amicitiam, si ullum in illa
placet praeter ipsam. “In quid amicum paras?” Ut habeam pro quo mori possim, ut
habeam quem in exilium sequar, cuius me morti et opponam et inpendam: ista quam
tu describis negotiatio est, non amicitia, quae ad commodum accedit, quae quid
consecutura sit spectat. Non dubie habet aliquid simile amicitiae adfectus amantium; possis
dicere illam esse insanam amicitiam.
Chi pensa solo a se stesso e per questo motivo stringe
un’amicizia, sbaglia i suoi calcoli. Come ha iniziato il rapporto, così lo
concluderà. Si è procurato un amico perché gli portasse aiuto in caso di
prigionia: bene, al primo cigolìo di catene l’amico se ne andrà. Queste sono
le amicizie che la gente chiama “di circostanza”; colui che è stato scelto come
amico in vista di un tornaconto, sarà apprezzato finché sarà utile. Per questo
motivo una folla di amici circonda chi si trova nella buona sorte, mentre
intorno a chi è caduto in disgrazia c'è il deserto, e gli amici se ne vanno quando
sono messi alla prova; per questo motivo ci sono tanti infami esempi di uomini
che abbandonano per paura, di uomini che tradiscono per paura. E’ inevitabile
che la fine sia coerente con l’inizio: chi ha cominciato ad essere amico per
convenienza, per convenienza smetterà anche di esserlo; non disdegnerà qualche
compenso per andare contro l'amicizia, se in essa ricerca qualche compenso che
non sia l’amicizia stessa. “Ma allora, per quale scopo ti fai un amico?”. Per
avere uno per cui poter morire, per avere uno da seguire in esilio, alla cui morte io
possa oppormi con tutte le mie forze: è una speculazione, non un’amicizia,
codesta che tu mi descrivi, che tende all’utile, che mira ai vantaggi che
otterrà. Senza dubbio l’amore ha qualcosa di simile alla vera amicizia; si
potrebbe definirlo un’amicizia impazzita.
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