La
crisi
dei
"ragazzi
di
via
Panisperna"
Quando
Hitler
prese
il
potere,
il
30
gennaio
1933,
l'entusiasmante
avventura
dei "ragazzi di via Panisperna" era
ormai
giunta
alla
fine:
il gruppo si disperse a
partire dal 1935, con il trasferimento di Rasetti e poi,
uno a uno, di tutti gli altri scienziati, chiamati a
mettere il proprio ingegno al servizio dei più
prestigiosi istituti d'Europa e d'America
o
costretti,
come
Fermi,
a
fuggire
per
sottrarsi
alle
leggi
razziali
emanate
in
Italia
da
Mussolini.
Uno
degli
aspetti
più
dolorosi
di
questa
vicenda
consiste
proprio
nella
rottura di
quella
che
era
sembrata
un'amicizia
solidissima
fra
menti
elette,
cementata
dalla
comunanza
degli
interessi
e
dai
lunghi
anni
di
ricerche
condotte
insieme,
con
risultati
di
incredibile
rilievo
scientifico.
Eppure
quest'amicizia
così
solida
non
era:
a
partire
dal
1933,
anzi,
essa
mostra
tutta
la
sua
fragilità
ed
inconsistenza,
ed
il
catalizzatore
di
questa
crisi
è
senza
dubbio
Ettore
Majorana.
Si
suole
mettere
l'accento
sulle
vere
e
proprie
"provocazioni"
che
Ettore
pose
in
atto
nei
confronti
di
Fermi,
Segré
ed
altri,
ma
la
situazione
non
è
affatto
così
semplice:
ripercorrendo
la
vicenda
ci
si
accorge
infatti
che
gli
amici sono
tutt'altro
che
innocenti
nei
confronti
di
Majorana,
che
per
molti
versi
cercarono
di
emarginare
(con
l'eccezione,
direi,
di
Fermi)
ed
al
quale
perfino
il
suo
amico
più
caro
e
fraterno,
l'amico
d'infanzia
Giovanni
Gentile
jr.,
cercò
di
precludere
l'accesso
all'insegnamento
universitario.
L'invidia
nei
confronti
del
più
dotato
fra
di
loro,
Ettore,
quello
che
Fermi
stesso
definì
l'unico
genio
universale
del
gruppo,
giocò
un
ruolo
primario
in
tal
senso;
ed
insieme
all'invidia
l'interesse
economico,
legato
all'occupazione
di
una
lucrosa
cattedra
universitaria.
La
grande
assente,
in
tutto
questo,
è l'amicizia.
Nella foto alcuni dei "ragazzi di via Panisperna":
da sinistra a destra,
Oscar D'Agostino, Emilio Segré, Edoardo Amaldi,
Franco
Rasetti ed Enrico Fermi
Comunque
siano
andate
le
cose,
Ettore
fu
quello
che
pagò
il
prezzo
più
alto:
probabilmente
proprio
la
cocente
delusione
legata
al
tradimento
dell'amicizia
fece
sì
che
si
isolasse
progressivamente
dal
mondo,
fino
a
prendere
la
drammatica
decisione
di
scomparire
per
sempre.
A
tutt'oggi
non
si
ha
la
minima
idea
di
che
fine
abbia
fatto,
sebbene
le
ipotesi
in
proposito
si
sprechino.
Senza
dubbio però
Majorana,
dal
punto
di
vista
del
tradimento
dell'amicizia,
ha
le
sue
responsabilità,
e
anche
pesanti:
alla
base
di
tutto
sta
l'atteggiamento
ambiguo
che
egli
tenne
a
partire
dal
suo
soggiorno
in
Germania
del
1933:
si
tenga
conto,
infatti,
che
alcuni dei
suoi
amici
erano
ebrei.
Dal
loro
punto
di
vista
il
suo
tiepido
avallo al
nazifascismo
non
poteva
che
apparire come
un tradimento,
un
vero
e
proprio
voltafaccia,
analogo
a
quello
che
troviamo
descritto
ne
L'amico
ritrovato
di
Fred
Uhlman.
Ecco
come
Ettore
si
esprime
in
una
lettera
alla
madre
del
20
gennaio
1933
a
proposito
della
rivoluzione
nazista:
«Il
nazionalismo
tedesco
consiste
in
gran
parte
nell'orgoglio
di
razza.
In
realtà
non
solo
gli
ebrei,
ma
anche
i
comunisti
e
in
genere
gli
avversari
del
regime
vengono
in
gran
parte
eliminati
dalla
vita
sociale.
Nel
complesso
l'opera
del
governo
risponde
ad
una
necessità
storica:
far
posto
alla
nuova
generazione
che
rischia
di
essere
soffocata
dalla
stasi
economica».
Al
suo
maestro Fermi
(la
cui
moglie
era
ebrea)
tali
idee
e
concezioni
non
dovevano
certo fare piacere,
senza
contare
che,
come
ricorda
Erasmo
Recami
in Il Caso Majorana (Di Renzo Editore) Segrè
era
ebreo
anch'egli.
Si
immagini
quindi
la
sua
irritazione
quando
Majorana,
in
una
sua
lettera
del
22
maggio
1933,
gli
scrisse:
«non
è
concepibile
che
un
popolo
di
sessantacinque
milioni
[la
Germania
di
quel
tempo]
si
lasciasse
guidare
da
una
minoranza
di
seicentomila
[gli
ebrei]
che
dichiarava
apertamente
di
voler
costituire
un
popolo
a
sé».
Affermazione
di
una
tale
inopportunità
ed
indelicatezza,
in
quanto rivolta
ad
un
ebreo
e
per
di
più
ad
un
amico,
da
poter
essere
concepita
soltanto
come
una
provocazione
intenzionale,
a
meno
di
non
voler attribuire
ad
un
genio
come
Majorana
una
non
comune storditaggine.
Tuttavia,
in
un'altra
lettera
spedita
a
Giovanni
Gentile
jr.
(il
figlio
del
filosofo
Giovanni
Gentile),
Majorana
parla
di
"stupida
teoria
della
razza";
e
nell'ultimo articolo
da
lui pubblicato egli
esprime,
sia
pure
in
modo
indiretto,
un'opinione
positiva
del
libero
arbitrio,
opinione
che
pare
incompatibile
con
il
nazismo.
Non
si
riesce
dunque
a
comprendere
quale
fosse
in
realtà
l'opinione
di
Ettore
sul
nazionalsocialismo;
quel
che
è
certo
è
che
egli
tornò
da
quel
viaggio
segnato
nel
fisico
(aveva
contratto
una
terribile
gastrite)
e
nello
spirito.
Ma,
a
dire
il
vero,
le
avvisaglie
non
erano
mancate:
vediamo
di
ripercorrere
la
vicenda.
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