MARSILIO FICINO, PICO DELLA MIRANDOLA E L'EROS PLATONICO

 

 

Abbiamo visto, dunque, come il concetto di amicizia nell'antichità oscilli costantemente tra tre polarità ben diverse, per non dire opposte, che ne rendono difficilissima la definizione precisa; e cioè:

1) l'ἔρως (èros), inteso in questo caso come attrazione fra due persone dello stesso sesso, senza esclusione della componente passionale; Platone (Simposio, Fedro) propende evidentemente per questa tesi;

2) l'interesse, che secondo Epicuro è la molla fondamentale da cui scaturisce l'amicizia, anche se in seguito questo movente si sublima in qualcosa di molto più alto e spirituale;

3) la naturale socialità dell'essere umano in quanto πολιτικὸν ζῷον, secondo la tesi di Aristotele, un istinto primario che, nella visione di alcuni pensatori (Seneca), conduce ad una forma di solidarietà reciproca definibile come συμπθεια.

I dubbi espressi da Platone nel Liside sono dunque perfettamente fondati: forse l'amicizia, in quanto sentimento a sé stante, semplicemente non esiste; o forse essa deriva dal contemperamento di tutti e tre gli elementi.

Non manca tuttavia chi, estremizzando il precedente platonico, identifica e sovrappone ἔρως (èros) e φιλία (philìa), ritenendo che la seconda in sostanza non esista e che l'unico istinto dotato di una indubitabile consistenza sia il primo.

L'amicizia quindi non sarebbe altro che la sublimazione dell'istinto erotico, privato della componente sessuale.

Il principale teorico di questa concezione dell'amicizia, nota come amore platonico, è Marsilio Ficino (1433-1499), fondatore del neoplatonismo quattrocentesco: sulle sue orme essa fu ripresa e rielaborata in infiniti trattati d'amore del Cinquecento.

Marsilio Ficino ritratto da Leonardo da Vinci (ca. 1490)

Marsilio fu uno dei maggiori protagonisti della grande stagione che vide le menti più illuminate del tempo impegnate nel tentativo di salvare la cultura classica dalla distruzione e dall'oblio: egli aveva soltanto vent'anni quando, nel 1453, l'Impero Romano d'Oriente cadde sotto il dominio degli Ottomani; tuttavia, pur così giovane, ricevette da Cosimo de' Medici l'incarico di tradurre alcuni dei principali testi che erano stati resi noti agli Occidentali nel 1438, allorché una delegazione di dotti bizantini era venuta in Italia in occasione del concilio tenutosi a Firenze nel tentativo di sanare lo scisma d'Oriente: in quella data, veramente epocale per la cultura dell'Occidente, erano giunti in Italia ben 650 studiosi, eruditi e ecclesiastici al seguito dell'imperatore Giovanni VIII di Bisanzio e del patriarca di Costantinopoli Gennadio II. Uno di essi era il cardinale Giovanni Bessarione, uno dei principali responsabili della sopravvivenza della cultura classica, che nel 1440 si trasferirà definitivamente in Italia e nel 1453 si prodigherà in ogni modo per soccorrere i dotti bizantini sfuggiti alla cattura degli Ottomani.

Fra i testi resi noti in Occidente nel 1438 c'erano il Timeo di Platone e, con ogni probabilità, il Corpus Hermeticum attribuito ad Hermes Trismegisto. A quell'epoca il Ficino aveva solo 5 anni, ma sarà appunto lui a tradurre il Corpus Hermeticum, per volontà di Cosimo de' medici, tra il 1460 e il 1463, con conseguenze incalcolabili per la cultura fiorentina ed europea. Forse proprio a questo "passaggio di consegne" tra il Bessarione e Marsilio adolescente allude uno dei dipinti più misteriosi del Quattrocento: la "Flagellazione di Urbino" di Piero della Francesca.
Marsilio divenne ben presto una figura di primissimo piano della cultura mondiale: dal suo pensiero trasse i suoi stimoli più vivi l'ambiente intellettuale della Firenze medicea, dove la filosofia del Ficino è la principale fonte d'ispirazione del Poliziano e del Botticelli; sicché non è esagerato affermare che alla base della grande arte figurativa fiorentina quattrocentesca e del suo fascino enigmatico, che l'ha resa celebre nel mondo, ci sia ancora e sempre lui, Marsilio.