Abbiamo
visto,
dunque,
come
il
concetto
di
amicizia
nell'antichità
oscilli
costantemente
tra
tre
polarità
ben
diverse,
per
non
dire
opposte,
che
ne
rendono
difficilissima
la
definizione
precisa;
e
cioè:
1)
l'ἔρως
(èros),
inteso in
questo
caso
come
attrazione
fra
due
persone
dello
stesso
sesso,
senza
esclusione
della
componente
passionale;
Platone
(Simposio,
Fedro)
propende
evidentemente
per
questa
tesi;
2)
l'interesse,
che
secondo
Epicuro
è
la
molla
fondamentale
da
cui
scaturisce
l'amicizia,
anche
se
in
seguito
questo
movente
si
sublima
in
qualcosa
di
molto
più
alto
e
spirituale;
3)
la
naturale
socialità
dell'essere
umano
in
quanto
πολιτικὸν ζῷον, secondo la tesi di Aristotele,
un
istinto
primario
che,
nella
visione
di
alcuni
pensatori
(Seneca),
conduce
ad
una
forma
di
solidarietà
reciproca
definibile
come
συμπάθεια.
I
dubbi
espressi
da
Platone
nel
Liside
sono
dunque
perfettamente
fondati:
forse
l'amicizia,
in
quanto
sentimento
a
sé
stante,
semplicemente
non
esiste;
o
forse
essa
deriva
dal
contemperamento
di
tutti
e
tre
gli
elementi.
Non
manca
tuttavia
chi,
estremizzando
il
precedente
platonico,
identifica
e
sovrappone
ἔρως
(èros)
e
φιλία
(philìa),
ritenendo
che
la
seconda
in
sostanza
non
esista
e
che
l'unico
istinto
dotato
di
una
indubitabile
consistenza
sia
il
primo.
L'amicizia
quindi
non
sarebbe
altro
che
la
sublimazione
dell'istinto
erotico,
privato
della
componente
sessuale.
Il
principale
teorico
di
questa
concezione
dell'amicizia,
nota
come
amore
platonico,
è
Marsilio
Ficino
(1433-1499),
fondatore
del
neoplatonismo
quattrocentesco: sulle sue orme essa
fu ripresa e
rielaborata in infiniti trattati d'amore del Cinquecento.
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