La risposta di Economia 5 Stelle
4a. Proposte per
rendere più sostenibile la permanenza nell’euro.
I - Distribuzioni
monetarie su base “pro capite”[1]
Come ampiamente dettagliato nel documento di Epic (al quale rimandiamo per questo
argomento), gli economisti Warren Mosler
e Marshall Auerback hanno proposto a
più riprese delle forme di distribuzioni monetarie di grande entità erogate
annualmente ai Paesi membri su base
demografica “pro capite”[2],
a cura ovviamente dell’unica istituzione centrale sovrana che attualmente può
operare un’emissione di moneta: la BCE.
Il difetto di questa
soluzione, a nostro parere, è che,
essendo evidentemente nell'interesse di tutti prendere denaro in prestito, si
determinerebbe una probabile esplosione
di ulteriori bolle speculative, a tutto svantaggio dell’economia reale già
duramente provata. Un altro difetto è che essa non impatta sui tassi di cambio reali, il problema centrale degli
squilibri intra-eurozona. La nuova liquidità potrebbe scaricarsi in gran parte
nell'acquisto dei beni esteri (meno costosi), peggiorando ancora di più la
bilancia delle partite correnti e le condizioni del nostro settore industriale.
E’ importante comunque sottolineare, specialmente
nell’ottica di una collaborazione con i Parlamentari del Movimento 5 Stelle,
che tali erogazioni di contributi non dovrebbero a nostro parere configurarsi
come semplici iniziative di sostegno economico: condividiamo infatti la
prospettiva MMT là dove si esprime a favore della realizzazione di un progetto di piena occupazione, e non della
erogazione di un sussidio di disoccupazione (o reddito di cittadinanza): non si rende un buon servigio né ai
disoccupati né alla società mantenendoli in una condizione di estraneità al
mondo del lavoro e di effettiva subalternità rispetto a chi ha un impiego.
Senza parlare degli effetti psicologici che ricevere un sussidio di
disoccupazione può comportare, e del fatto che in periodo di grave crisi molti
potrebbero decidere di rinunciare ad un posto di lavoro incerto per mantenere
un sussidio magari inferiore ma “sicuro”. Una controprova è che lo stesso vate
del liberismo Milton Friedman era favorevole al reddito di cittadinanza, perché
dava mano libera alle imprese nell’imporre condizioni di lavoro sempre più
disagevoli onde massimizzare profitto e produttività. Qualora ci fossero risorse sufficienti per un reddito del genere, siamo
perciò assolutamente favorevoli ad impiegarle in qualcosa di più affine ad un
programma di lavoro garantito piuttosto che in un pericoloso reddito di
cittadinanza (le ricadute inflazionistiche di una simile incauta tecnica
sono ora un grosso problema per Paesi come l’Argentina che, pur animati da ottime
intenzioni, la stanno applicando).
II - Revisione dei
vincoli alla politica fiscale
Come ormai lampante a tutta la comunità
accademica internazionale, i vincoli di
Maastricht (60% del rapporto debito/PIL e 3% del rapporto deficit/PIL) rinforzati dal Fiscal Compact e dal Patto
di Stabilità non hanno alcun fondamento teorico e stanno costringendo i
vari governi ad un’operazione di macelleria sociale sconclusionata ed anti
economica di per sé[3].
Il deficit, come s’è detto, dovrebbe essere almeno raddoppiato[4]
e tutto l’apparato giuridico-economico dovrebbe essere orientato al pieno
impiego (dovrebbe quindi anche essere modificato lo statuto BCE che, come
già affermato, subordina dichiaratamente
l’obiettivo del pieno impiego al mantenimento della stabilità dei prezzi). Solo
l’aumento della spesa pubblica può portare l’Italia a pagare i debiti della
pubblica amministrazione puntualmente e senza imporre nuove tasse, il che
comporterebbe un grosso incentivo occupazionale, un aumento considerevole del
gettito fiscale e della domanda aggregata, e un impatto positivo
considerevolissimo sul PIL, pari secondo le stime più autorevoli a 1.7 volte la
somma stanziata. Riassume molto bene il concetto l’insigne giurista Luciano Barra Caracciolo dal suo blog[5],
quando asserisce che: “[...] rinunziando a distinguere tra moltiplicatore della
spesa corrente e quello del public investment, e al periodo, breve o medio, di
rilevazione, avevamo ipotizzato[6],
focalizzando sui criteri "consolidati di attuazione dell'austerity, un moltiplicatore
di circa 1,5 per ogni punto di riduzione del deficit via tagli della spesa. Sapir, usando lo stesso metro -
riferimento al punto di PIL di minor indebitamento, però senza troppo distinguere nel mix di tagli&tasse -, ci dice che
il moltiplicatore è 1.4, se non di più[7]".
Quindi diamo per buono l'1,5 "medio" in
relazione al tipo classico di mix in cui sono FINORA consistite normalmente le
manovre e potremmo accreditare, sempre per semplificazione empirica, un
moltiplicatore, ad origine FMI, di
0,9 per le misure di imposizione fiscale (nuove tasse o tagli delle stesse) e
di 1,7 per la spesa pubblica.”
Riassumendo, l’effetto
moltiplicatore sul PIL, in caso di aumento/diminuzione di spesa pubblica, è di
gran lunga il più vantaggioso, nemmeno paragonabile a quello basato sulla
correzione dell’imposizione fiscale. Per la stessa ragione, tagliare la spesa pubblica senza
ricollocare altrove le risorse risparmiate, anche con le migliori intenzioni di
ottimizzazione, è una misura fortemente recessiva.
III - Forme di
finanziamento tramite la Cassa Depositi e Prestiti
Un’altra delle proposte più discusse dal
dibattito politico italiano riguarda l’utilizzazione
della Cassa Depositi e Prestiti come mezzo di finanziamento della spesa
pubblica. Similmente a quanto avviene in Germania, dove la banca Kreditanstalt fur Wiederaufbau
(KfW), partecipata all’80% dalla Federazione tedesca, è in grado di finanziare
progetti d’investimento pubblico, la CDP potrebbe disporre di fondi provenienti
dalla BCE come una qualunque banca
commerciale[8]
(si veda anche il punto 2 del presente documento) e finanziare così attività
con un minor “peso” sulle regole di stabilità imposte dai trattati.
IV - La banca centrale italiana deve diventare acquirente
residuale dei nostri titoli di Stato sul mercato primario, come la Bundesbank
Innumerevoli
commentatori hanno da tempo riscontrato una chiara anomalia nel comportamento
della Bundesbank in occasione delle aste dei bund[9]. Anzitutto
una definizione: un titolo si definisce collocato quando viene sottoscritto per
la prima volta. L’ufficio governativo responsabile dell’emissione dei titoli
del debito pubblico tedesco è l’Agenzia
per il debito (Finanzagentur), la
quale gestisce le procedure d’asta e poi trattiene i titoli non collocati
presso quella platea di investitori privati che hanno l’accesso riservato al
mercato primario, platea costituita da una quarantina di banche e società
finanziarie tedesche ed internazionali.
La
Bundesbank agisce per conto dell’Agenzia per il debito tedesca in qualità di
“banca custode e non di prestatore di ultima istanza”, come sostiene Isabella
Bufacchi sul Sole 24 Ore del 26 Novembre 2011: i titoli trattenuti risultano in
sostanza congelati presso la banca centrale tedesca, senza che questa
corrisponda al governo alcuna somma di denaro in cambio, ossia senza che quei
titoli risultino effettivamente sottoscritti. Spiega ancora la Bufacchi:
“L’agenzia del debito tedesco riprende poi quei titoli invenduti e li ricolloca
in tranche sul secondario, nell’arco
di qualche giorno o in casi di mercati ostici di qualche settimana.”
Dunque
sembra, a prima vista, che la Germania non stia procedendo alla cosiddetta
‘monetizzazione’ del debito pubblico. La pratica dell’Agenzia tedesca per il
debito, consistente nel trattenere una quota dell’emissione, viene dunque
presentata dalla Germania, molto semplicemente, come un metodo per
procrastinare il collocamento di quei titoli, in attesa di più favorevoli
condizioni sui mercati finanziari: una mera questione di tempo, poiché i titoli emessi ma non anche collocati saranno, prima
o poi, effettivamente collocati.
Ma la cosa
non è affatto limpida, poiché il problema non è tanto sul ‘quando’ i titoli
trattenuti verranno sottoscritti, quanto piuttosto sul ‘dove’ quei titoli
verranno poi, effettivamente, collocati.
La struttura
istituzionale conferita generalmente agli odierni processi di emissione dei
titoli del debito pubblico si fonda su una netta distinzione tra il mercato
primario, dove i governi collocano i titoli di nuova emissione, ed il mercato
secondario, dove i titoli già emessi possono essere liberamente scambiati. Tale
distinzione è rilevante, all’interno della cornice istituzionale dell’eurozona,
poiché il Trattato di Maastricht (comma
1 art. 101) vieta esplicitamente alle banche centrali dell’eurozona l’acquisto
di titoli del debito pubblico dei Paesi membri solamente sul mercato primario:
la BCE e le banche centrali dei Paesi membri sono dunque lasciate libere di
acquistare titoli del debito pubblico dei Paesi membri dell’eurozona sul
mercato secondario, e siamo certi che stiano operando in questo senso
quantomeno a partire dal Maggio 2010. Si noti come la chiara distinzione tra
mercato primario e mercato secondario, ovvero la regola per cui sul mercato
secondario possono essere scambiati solamente titoli già emessi sul mercato
primario, sia il presupposto della logica seguita dalle istituzioni europee, le
quali prevedono contemporaneamente il divieto imposto da Maastricht, che si
riferisce al mercato primario, ed il Securities Markets Programme, che limita
al mercato secondario la libertà di intervento delle banche centrali. Nelle
parole dell’allora Governatore della BCE Trichet: “le nostre azioni sono
pienamente conformi al divieto di finanziamento monetario [del debito pubblico]
e dunque alla nostra indipendenza finanziaria. Il Trattato vieta l’acquisto diretto, da parte della BCE, dei titoli
del debito emessi dai governi. Noi
stiamo acquistando quei titoli solamente
sul mercato secondario, e dunque restiamo ancorati ai principi del
Trattato”.
Il problema
è quindi che la distinzione tra mercato primario e mercato secondario in
Germania è quantomeno labile: tramite la
quota di titoli di nuova emissione regolarmente trattenuta dall’Agenzia del
debito, infatti, la Germania è in grado di collocare i propri titoli del debito
pubblico direttamente sul mercato secondario. Ciò è rilevante perché se il
mercato primario dei titoli pubblici è esplicitamente riservato, in tutti i
paesi dell’eurozona, ad un gruppo di investitori privati, sul mercato secondario operano – accanto agli investitori privati –
anche le banche centrali dei Paesi membri. Questo significa che il tasso di
interesse che si determina sul mercato primario può essere spinto al rialzo da
una carenza di domanda di titoli che non ha ragione di esistere sul mercato
secondario, laddove l’azione della banca
centrale implica una domanda potenzialmente infinita per i titoli pubblici.
La particolare struttura istituzionale del processo di emissione dei titoli
pubblici tedeschi sopprime di fatto la distinzione tra mercato primario e
mercato secondario, aprendo lo spazio per il finanziamento del debito pubblico
tramite la banca centrale – spazio negato agli altri Paesi membri dell’eurozona[10].
Il complesso
meccanismo di emissione dei titoli pubblici appena descritto consente alla
Germania di proporre, in asta, un tasso d’interesse molto basso: se gli investitori privati si rifiutano di
sottoscrivere i titoli del debito pubblico tedeschi a quei tassi, giudicati
poco remunerativi, lo Stato trattiene la quota dell’emissione non collocata e
procede, successivamente, al collocamento di quei titoli sul mercato secondario,
dove l’azione della banca centrale è in grado di orientare i livelli del tasso
dell’interesse vigente, o addirittura di tradursi in un intervento diretto, con
la Bundesbank che sottoscrive i titoli del debito non collocati sul mercato
primario. In assenza di un simile meccanismo, i governi sono costretti ad
accettare il tasso di interesse che gli investitori privati pretendono sul
mercato primario, laddove la loro disponibilità a sottoscrivere i titoli
pubblici rappresenta l’unica possibilità che lo Stato ha di finanziare il
proprio debito. L’“eccezione tedesca”
può essere concepita come un metodo che permette di aggirare i divieti imposti
dal Trattato di Maastricht, e viene da chiedersi per quale motivo gli altri
Paesi dell’eurozona non si siano dotati di un simile dispositivo, capace di
arginare le pretese dei mercati finanziari internazionali sui rendimenti dei
propri titoli pubblici. Si intende che
l’Italia dovrebbe fare quanto in suo potere per imitare questa strategia.
V - Deprezzamento del
cambio reale italiano e accollo della spesa per interessi da parte della BCE
L’economista Gustavo
Rinaldi propone, anche nell’ottica provocatoria di vagliare la buona fede
dei nostri partner europei, un accorgimento che potrebbe portare un enorme
beneficio alla nostra nazione senza bisogno di abbandonare l’UE[11].
Citeremo direttamente il suo contributo:
“Partiamo da un
presupposto: in Italia la spesa pubblica non dovuta ad interessi sul debito è
minore delle entrate fiscali, e perciò abbiamo un avanzo primario pari a circa 2% del PIL (in aumento N.d.R.):
Lo Stato sottrae quindi al sistema il 2% del PIL,
e di questo quasi la metà va all’estero (interessi
pagati a stranieri).
Noi dobbiamo potere avere conti con l’estero in
pareggio strutturale o in lieve surplus, ed abbiamo bisogno di avere tasse
equivalenti ai servizi ed ai trasferimenti che lo Stato eroga: nulla più di un
bilancio primario in pareggio. In queste condizioni non ci sarà il Paese della
cuccagna, non ci sarà un’improvvisa forte crescita, ma ci saranno i presupposti
per ripartire.
L’avanzo di 2 punti di
PIL significa 30 miliardi di euro,
che potrebbe venire speso in gran parte
per ridurre le tasse ed i contributi sui redditi più bassi oppure per eliminare
l’IRAP. Ciò renderebbe le assunzioni di disoccupati più facili, aiuterebbe le famiglie, creerebbe posti di lavoro e
darebbe un po' di fiato alla domanda.
Come ottenere questo
risultato?
Per quanto riguarda la domanda estera, occorre
ridurre l’import ed aumentare l’export: per far ciò noi dobbiamo deprezzare il cambio reale. Dobbiamo ricuperare il 18%
perso dal 1999 ad oggi.
Come si può ottenere
il deprezzamento del cambio reale italiano in una situazione come quella
dell’euro?
a) Con
l’uscita della Germania dall’euro per una giornata ed il rientro con una
diversa parità del marco tedesco con l’euro.
b) Con un
decreto tedesco che stabilisca dalla sera alla mattina che tutti i prezzi,
conti bancari ed i salari tedeschi andranno aumentati del 6-7 % all’anno
per tre anni consecutivi.
c) Favorendo
l'inflazione in Germania (più salari, meno ore di lavoro, più vacanze).
d) Trasferendo
denaro dalla Germania ai Paesi periferici, in modo tale che questi possano
fortemente ridurre le tasse sul lavoro ed i contributi sociali, i loro costi di produzione e prezzi. In
Italia detto vantaggio andrebbe accentuato al sud ed attenuato al nord.
e) Con la
creazione di un bilancio dell’eurozona
considerevolmente maggiore (10% del PIL dell’eurozona).
f) Con
la creazione di un euro della periferia
ed un euro del centro (punto 3 del presente documento); detta misura
richiederebbe comunque una forte unione fiscale tra i paesi periferici ed un
sostanziale bilancio comune (10% del PIL della zona periferica).
Per quanto riguarda la spesa pubblica, l’Italia
potrebbe anche mantenere il bilancio primario in pareggio, ma per farlo
avrebbe bisogno che la BCE si accollasse tutta la spesa per interessi, come già
fa in parte la Bank of England nel
Regno Unito[12].
A tal fine abbiamo bisogno che la BCE inizi le sue operazioni di
acquisto titoli SENZA RICHIEDERE LA FIRMA DI PROTOCOLLI AGGIUNTIVI O CON LA
FIRMA DI UN PROTOCOLLO CHE PARLI DI BILANCIO
PRIMARIO IN PAREGGIO.
La parola “primario”
vale 80 miliardi di euro, più di 5 punti di PIL. In queste condizioni sarebbe perfino possibile
rispettare il Fiscal Compact senza fare
macelleria sociale.
Il Governo dovrebbe
urgentemente aprire una trattativa con i partners europei su questi temi, facendo presente che se detta trattativa non
desse risultati tangibili entro un anno,
l’Italia sarebbe costretta a lasciare
l’euro, perché priva di alternative.”
E noi concordiamo su tutto.
VI - Trasformazione
dell’euro in “euro sovrano”
La soluzione ottimale nel migliore dei mondi
possibili, anche a detta dello stesso Warren Mosler, sarebbe la trasformazione dell'euro in euro sovrano
del neo-stato Europa Unita.
Questo però implicherebbe un tale stravolgimento
dell’impostazione della BCE e dell'Unione Europea e dei suoi trattati, che è da
considerare totalmente irrealistica.
Problemi ironicamente esacerbati proprio
dall’assurdità sistemica dell’euro stesso.
4b. Immissione di valuta complementare.
I - Utilizzo di
crediti d’imposta e “tax-backed bonds”
Per questa soluzione, elaborata da Warren Mosler
e Philip Pilkington[13],
si rimanda al Documento di Epic. Qui precisiamo solo che questi
BTP "a valenza fiscale" ("tax backed bonds"), definiti
da Giovanni Zibordi "BTP a prova di default",
all’atto della loro emissione includono nel loro contratto o statuto una
clausola del seguente tenore: "In caso di dichiarazione di default, di
mancato pagamento da parte dello Stato italiano di parte del capitale di questo
titolo, questo bond continuerà a
pagare interesse, e il suo valore nominale e gli interessi dovuti su di esso
potranno essere usati per effettuare pagamenti di qualunque genere verso lo
Stato italiano."
Tuttavia, in
seguito ad una discussione chiarificatrice con lo stesso Warren Mosler[14],
il prof. Zibordi è in grado di aggiustare
il tiro sul possibile utilizzo dei "Mosler bonds".
I "BTP
basati sulle tasse" possono essere emessi da subito, ed è facoltà dei
singoli governi decidere:
- che vengano
accettati dallo Stato per saldare pagamenti nei suoi confronti solo nella
malaugurata ipotesi che esso dichiari un default;
oppure:
-
che vengano
accettati in ogni caso per saldare pagamenti verso lo Stato anche prima e
indipendentemente da un default.
In entrambi
i casi, come detentore di questi BTP, il compratore sa che avranno sempre un
valore molto vicino al valore nominale (100) perché qualunque residente
italiano potrà usarli per pagamenti nei confronti dello Stato al loro valore
nominale.
II - La proposta di
Marco Cattaneo: Certificati di Credito Fiscale combinati con BOT acquistati
dalle banche italiane [15]
Con questa soluzione (leggibile separatamente
e scaricabile anche qui)
si riducono di 100 miliardi
le tasse sulle aziende e di 50 miliardi le tasse sul lavoro, agendo
direttamente sul cuneo fiscale
e creando 150 miliardi di potere d’acquisto immediatamente. Questo senza uscire
dall’Euro, senza cancellare o rinegoziare i trattati europei, utilizzando solo
i poteri attuali del governo italiano nell’ambito dell’Eurozona.
Come
funziona? Molto semplicemente, il dipendente riceve
un’integrazione di reddito sotto forma di Certificati.
La misura proposta è il 10%. Se il tuo netto
mensile è 2.000 euro, continui a percepire 2.000
euro e, in aggiunta, un Certificato dell’importo di
200 euro (ogni mese).
Il
datore di lavoro riceve a sua volta un contributo, sotto
forma di CCF, pari al 10% del suo costo totale.
Per dare 2.000 euro netti a un dipendente, l’azienda
sostiene un costo totale di circa il doppio, 4.000 euro
(netto + tasse + contributi sociali ecc.): l’azienda
continua a versare 4.000 euro al mese, parte al dipendente,
parte al fisco, parte all’INPS. Gli viene però
nello stesso tempo assegnato un Certificato di 400 euro
di importo.
I
CCF assumono valore per chi li percepisce perché
sono un equivalente della moneta statale. Lo Stato si
impegna ad accettarli, a partire da due anni dopo la
loro emissione, per qualsiasi tipo di pagamento dovutogli:
tasse, imposte, ticket sanitari, multe ecc.
E se
ho bisogno di monetizzarli in anticipo? Il progetto
prevede di emettere ogni anno circa 150 miliardi di
CCF, che verranno poi utilizzati due anni dopo l’emissione.
Ci saranno quindi costantemente in circolazione circa
300 miliardi di CCF: quelli emessi nell’anno in corso
e quelli dell’anno precedente. Hanno un valore di utilizzo
finale certo, in quanto lo Stato li accetterà
illimitatamente. Potranno essere monetizzati in anticipo
perché si verrà a creare un mercato,
esattamente come per i titoli di Stato: vado in banca
e li vendo con un piccolo sconto calcolato con tassi
analoghi a quelli di un BOT a due anni.
Il
compratore sarà un soggetto che li utilizza,
alla data finale, per soddisfare oneri che avrà
nei confronti dello Stato.
Ma
perché è previsto un utilizzo differito,
dopo due anni? Perché se l’utilizzo fosse
immediato, sarebbe come attuare subito una forte riduzione
delle imposte. Questo graverebbe sul deficit pubblico.
Con il differimento, invece, lo sgravio fiscale produce,
a parità di condizioni, un aumento del deficit
solo dopo due anni: ma a quel punto, proprio grazie
alla maggiore disponibilità economica, si
è prodotta una forte ripresa e quindi maggiori
entrate fiscali, che compensano l’utilizzo dei CCF.
Si
produrrà una forte ripresa dell’economia perché
circolerà molto più potere d’acquisto,
da un lato, e i costi delle aziende si abbasseranno
fortemente, dall’altro. Quindi più domanda
interna, più competitività nelle esportazioni,
possibilità di proporre beni e servizi a condizioni
migliori ai clienti sia italiani che esteri.
Soprattutto, i
Certificati emessi non sono un incremento
del debito pubblico perché non esiste un
impegno di rimborso. Lo Stato italiano non darà,
alla scadenza, euro a rimborso dei CCF: li accetterà
a pagamento delle sue spettanze, esattamente come avviene
per la moneta.
I certificati proposti da Cattaneo puntano al
fatto che in due anni il reddito
nominale dell’Italia cresca di almeno 300 miliardi circa, per cui anche se lo
Stato perde 150 miliardi di tasse a regime lo si compensa con l’incremento di
reddito (di cui quasi metà finisce in tasse). Semplificando, dopo due anni
lo Stato si ritrova 150 miliardi in meno di incassi (tasse): Cattaneo calcola
che l’iniezione choc di 150 miliardi l’anno nell’economia produca un reddito
nominale addizionale anche di 400 miliardi (in ogni caso più del doppio dei 150
miliardi annui persi di tasse).
Questo discorso sulla riduzione di tasse tramite
i CCF va integrato con una adeguata
strategia per quanto riguarda i titoli di Stato: infatti il mercato
finanzario può ugualmente attaccare l’Italia, poiché vede lo Stato italiano
rinunciare a 150 miliardi su 714 di entrate "scommettendo" sul
rimbalzo dell’economia per recuperarli in due anni. Si può dunque avere un
attacco speculativo sui BTP.
Bisogna dunque smettere, per un certo periodo
(indicativamente due anni), di emettere BTP, sostituendoli con BOT, e stipulare
un accordo con le banche italiane perché li acquistino all’1% o ad un
rendimento leggermente superiore al loro costo medio di raccolta. Questo riduce
automaticamente il costo dell’indebitamento e taglia fuori il “mercato”, perché
per due anni sono le banche italiane ad acquistare i BOT.
Possono farlo? Certo che sì: i BOT non richiedono
capitale addizionale, secondo gli accordi di Basilea.
Per ovviare al potenziale problema di mancanza di
fondi per finanziare il rimborso dei CCF dopo 2 anni, potrebbe essere previsto
un meccanismo "revolving", che consentisse un "premio" sul
nominale in caso di rinnovo del CCF anziché di richiesta di rimborso. In parole
povere, a scadenza si può offrire l'opzione di utilizzare i CCF oppure
rinnovarli "a premio" (esempio: invece di "incassare" un
CCF di 100 €, si può dare l'opportunità di scegliere tra il rimborso o il
rinnovo a 110 €, con un premio del 10% sul nominale nel caso in oggetto).
A detta
dello stesso Marco Cattaneo, che di recente ha avuto un interessante e costruttivo
confronto con Warren Mosler in proposito,
il ricorso ai CCF non è da considerare un semplice palliativo, ma una vera e
propria alternativa all'uscita dall'euro ove questa non risultasse praticabile,
quasi altrettanto efficace sul piano economico. Infatti, "grazie al fatto
che una parte significativa delle emissioni di CCF riduce il costo del lavoro
effettivo per le aziende italiane, è possibile riportarne la competitività
ai livelli della Germania. Più in generale, l’emissione di CCF può essere
effettuata da tutti i Paesi appartenenti all’eurozona la cui
competitività è oggi peggiore rispetto a quella dell’ex area marco. In questo
modo, otteniamo effetti di riequilibrio analoghi a quelli che, in un regime
di cambi flessibili, sono conseguiti mediante un riallineamento valutario.
I CCF
sono quindi uno strumento che:
I.
dà alle economie in situazione di domanda depressa
la possibilità di espanderla, e quindi di produrre una forte
ripresa dell’attività economica, mediante emissione di uno strumento di natura
monetaria;
II.
consente di eliminare le differenze di
competitività dei vari Paesi appartenenti all’eurozona, senza
passare tramite manovre di deflazione salariale e compressione dei
redditi."
In tal
senso, osserva ancora Cattaneo, essi sono "una soluzione sostenibile nel
tempo, appunto in quanto rimuovono le due principali cause di inefficienza del
sistema euro.
E’ vero
che, successivamente all'introduzione dei CCF, saranno necessarie azioni di
“fine tuning” per tener conto dell’evoluzione delle variabili economiche - tra
cui future ulteriori differenze di competitività che venissero a determinarsi
all’interno dell’eurozona: per esempio modificando la dimensione delle
emissioni di CCF, l’allocazione tra imprese e lavoratori, le caratteristiche di
progressività, eccetera; ma questo rientrerà in un normale processo di gestione
della politica economica italiana (e degli altri Paesi che adotteranno lo
strumento CCF).
Resta
peraltro aperta anche la possibilità che, nel giro di qualche anno, l’utilizzo
dei CCF si incrementi (ad esempio, quote di spesa pubblica potrebbero essere
pagate con CCF di nuova emissione, via via che aumenterà la consuetudine e
l’accettazione del pubblico). I CCF possono quindi anche essere uno
strumento propedeutico all’uscita dall’eurozona, mediante un meccanismo
graduale e senza le complicazioni organizzative, tra cui la necessità di
procedere in segretezza, che un break-up “secco” necessariamente implica."
La
conclusione di Cattaneo è che "il progetto CCF risolve entrambi i
problemi fondamentali dell’attuale assetto dell’eurozona: permette di
attuare, nei Paesi in difficoltà, politiche di sostegno della domanda
finanziate da espansione monetaria; e riallinea la competitività dei vari Paesi
con un’efficienza simile a quella consentita da un regime di cambi flessibili.
Inoltre,
lascia aperta la strada dell’uscita dell’eurozona, e
consente di attuarla in forma “morbida” e non caotica."
III - Emissione di
soli BOT acquistati dalle banche italiane all’1%
L’accorgimento è suggerito da Giovanni Zibordi[18]. Come
noto, i BOT costano sempre un quinto dei BTP a lunga scadenza, per cui
automaticamente riducono il costo degli interessi dell’80%. In base agli
accordi di Basilea, i BOT non richiedono capitale addizionale alle banche, e se
si offre un rendimento appena sopra il costo della raccolta non si aggravano i
loro bilanci. La logica è che, poiché
oggi le banche di fatto sono garantite in tre o quattro modi diversi dagli
Stati, possono ricambiare il favore aiutando ad aggirare il vincolo del
mercato finanziario.[19]
IV - Finanziamento
diretto dei deficit pubblici con prestiti bancari (come in Cina)
Anche questo accorgimento è suggerito da Giovanni Zibordi. La Cina finanzia i
deficit pubblici (dei governi locali, che però rappresentano il 50% del PIL)
direttamente con prestiti bancari all’1%. Questo era il sistema che usava in
realtà anche la Germania negli anni ’70.
In pratica il
Tesoro italiano dovrebbe farsi erogare prestiti all’1% circa[20],
con scadenza due-tre anni, da Intesa, Unicredit, Ubi Banca o anche
semplicemente dalla Cassa Depositi e Prestiti. Si veda in proposito l’articolo
del 2011 di Richard Werner[21],
l’economista che ha inventato nel 1996, quando era in Giappone, la politica di
"Quantitative Easing" (Alleggerimento Quantitativo) che adottano ora
Inghilterra, America e Giappone.
V - “Moneta dei cittadini” da affiancare all’euro
La proposta, caldeggiata fra gli altri dai nostri esperti Guido Grossi, Valentino De Santi, Davide
Gionco, è quella di dotare per legge i Comuni singoli o associati del
potere di utilizzare una “Moneta
Complementare” (La Moneta dei Cittadini), da affiancare all’Euro.
Tale moneta dovrebbe avere circolazione
esclusivamente territoriale, per rendere evidente che non è in competizione
o in sostituzione dell’Euro, che resta (fino all’uscita) l’unica moneta a corso
legale.
La Moneta dei Cittadini potrà essere utilizzata per soddisfare le esigenze che sono oggi precluse dal patto di stabilità.
Gli enti locali potrebbero quindi utilizzare tale moneta nei pagamenti
territoriali, in misura che, a seconda dei casi, può essere integrale o
parziale (100% oppure x%, con la restante percentuale in Euro). Essa
svolgerebbe fra l’altro una importante
funzione educativa nei confronti delle comunità territoriali chiamate a
gestire una loro moneta, facendo toccare con mano ai cittadini quanto sia
assurdo aver consegnato la gestione della finanza ad un sistema privato ed
internazionale, lontanissimo dal considerare e soddisfare i bisogni della
collettività.
I campi in cui può essere utilizzata sono:
- pagare lavoro e investimenti produttivi nel proprio territorio
- sostenere un livello minimo di servizi sociali essenziali
- raccogliere tasse e tributi, anche di scopo.
La gestione deve avvenire in maniera partecipata fra le amministrazioni e
le realtà associative del territorio.
Deve essere chiaro che le comunità locali possono raggiungere egualmente
questo obiettivo per via legale utilizzando il potere negoziale dei privati,
creando cioè apposite realtà associative di scopo nelle quali gli associati si
impegnano ad accettare la moneta complementare.
E’ peraltro evidente che una legge
nazionale che riconosca ufficialmente questa possibilità e di fatto la
incentivi, sarebbe di grande aiuto soprattutto per superare gli ostacoli di
ordine psicologico e lo scetticismo che oggi rende di difficile attuazione tali
iniziative.
4c. Immissione di nuova lira sovrana a fianco
dell’euro.
I - Circolazione parallela di due valute
Anche per questo provvedimento, suggerito dall’economista Luca Fantacci[22]
e da molti altri osservatori economici, si rimanda al Documento di Epic.
L’andamento dei Key Performance Indicators
Anche qui, impossibile a dirsi con certezza, dal momento che dipenderebbe
da quali e quante riforme di quelle elencate verrebbero implementate. Di sicuro
ogni soluzione che comporti il non uscire dall’euro e dai trattati europei
avrebbe le stesse limitazioni viste al punto 1 in termini di democrazia, spesa
pubblica e rapporti con l’estero.
Tuttavia, le soluzioni basate su
moneta alternativa, ccf, barter etc. consentirebbero di alleviare i problemi di
credit crunch delle aziende e di calo della domanda interna, con effetti
benefici sul PIL e sull’occupazione, che non aumenterebbero ma neppure
calerebbero, visto che le aziende riuscirebbero a reggere meglio al credit
crunch e a scambiarsi beni e servizi anche senza disponibilità finanziaria.
Chiaro, sarebbe un aiuto di poco conto (perché la moneta alternativa comunque
potrebbe rappresentare una piccola percentuale delle transazioni, 5 o 10% al
massimo), però certamente sarebbe una misura che proteggerebbe i prodotti e
servizi nazionali. Tuttavia ciò potrebbe
darci sollievo al max per un paio d’anni, prima del crash totale, oppure
accompagnare la procedura di uscita dall’eurozona per un periodo limitato.
Dopo, tale misura perde completamente di significato in presenza di una vera
politica monetaria per piena occupazione e welfare, gestita con i crismi descritti
nel punto 2 e nel punto 5 del documento.
Per le KPI post uscita dall’euro si rimanda al punto 5 del documento.
La risposta di Economia 5 Stelle
Va specificato che qualsiasi
proposta di moneta complementare o di doppia circolazione non può essere risolutiva
del problema principale, ma va vista solo come uno strumento utile a
rafforzare la capacità di resistenza del tessuto economico durante la fase di
decisione e di transizione dalla situazione attuale, che è insostenibile e
destinata a peggiorare senza interventi che la traghettino verso un diverso
equilibrio. Questa fase potrebbe infatti essere non brevissima.
Si tratta dunque di palliativi, che acquisirebbero molto più senso se
visti come provvedimenti-salvagente per proteggerci dalle incertezze e rigori
di un’eventuale procedura di uscita dall’euro. Diversamente si teme che concentrarci su queste proposte
ci faccia perdere di vista l’obiettivo principale, che vediamo essere una
riforma sostanziale dei trattati europei con l’uscita dall’eurozona come unica
alternativa. La sola
proposta che tenga conto di questo obiettivo è quella dei CCF di Marco
Cattaneo, che, come detto, può configurarsi anche come strumento propedeutico
all’uscita dall’eurozona.
Una situazione di doppia circolazione lira sovrana-euro
potrebbe essere invece un valido transitorio verso il ritorno alla completa
sovranità monetaria, con l’euro che verrebbe trattato come una qualunque valuta
straniera.
[1] Warren Mosler -
Marshall Auerback:
http://www.huffingtonpost.com/warren-mosler/greece-debt-crisis_b_887540.html
http://www.nakedcapitalism.com/2011/09/marshall-auerback-the-ecb-v-germany.html
[2] Redistribuzione in funzione del numero di persone in
un Paese.
[3] L’economia dovrebbe tendere al pieno impiego per
poter ottenere un maggior quantitativo di redditi redistribuibili. Sull’abbandono
del pieno impiego Kalecki ha scritto molto:
[4] Warren Mosler: http://www.youtube.com/watch?v=pQmUZJ0NkTA “In un mondo
perfetto, se la BCE garantisse il debito e se fossero consentiti deficit per
combattere la disoccupazione, se il patto di stabilità imponesse deficit del
6-7%, allora consiglierei di restare nell’euro [...]”.
[8] art.123 comma 2 del TFUE “Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”:
[10] L'atteggiamento della BCE (e della Bundesbank), che
distinguono fra mercato primario e mercato secondario, sostenendo che se la
banca centrale compra sul primario viola i trattati, ma se compra sul
secondario non li viola più, è una sonora ipocrisia. Che compri sul primario,
oppure dopo qualche giorno sul secondario, la sostanza è che la moneta della
Banca Centrale sostiene la spesa dello Stato.
In realtà dovremmo "godere" anche noi di
questa interpretazione, ed obbligare la Banca d'Italia ad acquistare sul
secondario bot, btp e cct.
[16] Il cuneo fiscale o cuneo contributivo è rappresentato dalla differenza
tra l'onere del costo del lavoro e il reddito effettivo percepito dal
prestatore d'opera o lavoratore. In pratica è la differenza tra quanto pagato
dal datore di lavoro e quanto incassato effettivamente dal lavoratore, essendo
il restante importo versato al fisco e agli enti di previdenza e pensionistici
(INAIL, INPDAP, INPS) tramite imposte contributive.
[18] http://www.truccofinanza.it/finanza/la-soluzione-al-problema-del-debito/
[19] Facciamo tuttavia notare che sostituire i BTP con
BOT può presentare una serie di problemi: essi infatti riducono la durata media
del debito, per cui si devono fare aste più spesso e di valore più elevato.
Circa il fatto che le banche possano ricambiare i favori ricevuti, occorre
sottolineare che oggi esse sono in forte difficoltà a causa del costante
aumento delle sofferenze: bisogna tenere conto della salute dei loro asset
prima di procedere. Il rischio sarebbe un crack, con annesse spese di
nazionalizzazione, e una misura del genere impatterebbe fortemente sui
requisiti di liquidità di Basilea 3. Una cosa è ciò che dovrebbe essere, altra
cosa è ciò che si può fare. Un'eventualità del genere potrebbe portare alla
necessità di salvataggi pubblici di molte banche italiane. E, ammesso che una
nazionalizzazione forzosa sia quello che vogliamo, all'interno dell'euro
semplicemente non abbiamo i soldi per poterla fare.
[20] L'articolo di Werner citato di seguito parla in
verità di 3%, una percentuale più ragionevole, considerati i costi di raccolta
e la necessità di riparare le balance sheet del settore bancario.
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