Punto 3

 

Quali sono le condizioni, i vantaggi e gli svantaggi dell'introduzione

di una moneta per i paesi Ue più forti e di una per quelli più in difficoltà.

 

 

1) La risposta di Economia 5 Stelle

 

2) La risposta di Epic (Economia per i cittadini)

 

 

N.B.: i documenti completi, scaricabili, sono reperibili qui:

http://economiaepotere.forumfree.it/

 

 

 

 

La risposta di Economia 5 Stelle

 

 

 

Premessa

 

Adottando l'Euro, l'Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera, con tutti i danni che ciò implica”.

Sono parole di Paul Krugman, Premio Nobel 2008 per l'Economia, ed è un’affermazione che condividiamo in pieno. Non riusciamo dunque a comprendere per quale motivo si dovrebbe andare in cerca di soluzioni per mantenere in piedi l’euro a tutti i costi.

E’ quindi non senza riluttanza che ci accostiamo al punto 3, dal momento che, a parere di tutti noi, l’“euro a due velocità” è un’ipotesi priva di senso macroeconomico tanto quanto l’euro stesso, benché caldeggiata di recente da personaggi vicini al Movimento 5 Stelle come Loretta Napoleoni e Paolo Becchi[1] e proposta dallo stesso Beppe Grillo[2]. Vero è che il prof. Becchi, nell'articolo citato, si limitava a formulare una semplice ipotesi, evitando di scartare aprioristicamente una prospettiva che nelle sue intenzioni doveva creare solidarietà e compattezza proprio  tra i paesi deboli della zona euro:  il suo euroscetticismo di fondo traspare però chiaramente dal suo recentissimo libro "Nuovi scritti corsari" (Casaleggio Associati, 2013).
Riteniamo tuttavia opportuno, data la destinazione del presente scritto, approfondire maggiormente la questione, onde dissipare ogni dubbio circa una proposta più volte presentata come una possibile soluzione alla "crisi".

 


 

I - L’euro “a due velocità”: in che cosa consiste

 

Si tratterebbe in sostanza, per i tedeschi, di mantenere l'euro sotto forma di marco, ma con nuovi compagni di viaggio. “L'idea, fortemente sponsorizzata dalla Confindustria tedesca e appoggiata ancora con prudenza dalla Bundesbank e dalla cancelliera Angela Merkel, è quella di creare nel Vecchio Continente una riedizione di quello che fu lo Sme. Sì, proprio il vecchio serpentone monetario, all'interno del quale per anni hanno oscillato le varie valute europee. Come si ricorda, nella banda stretta si era di fatto legati al marco, mentre in quella larga, dove finì l'Italia con la svalutazione del '92, si era liberi di far fluttuare oltre il 25% la propria valuta di riferimento.”[3]
In prima classe sederebbero tutti i Paesi «in difficoltà ma con i conti in ordine» (parole di Mario Monti): Germania, Paesi Bassi, Francia, Austria, Finlandia. In seconda classe, come ammesso candidamente dall'ex premier Silvio Berlusconi, vi sarebbero presumibilmente Portogallo, Grecia, Irlanda, Belgio e Spagna.

E l’Italia? Nelle intenzioni di Mario Monti avrebbe dovuto viaggiare in prima classe, ma sono in molti, sensatamente, a dubitarne.

Gli analisti di Milano Finanza commentano: “La selezione tra euro A e euro B sarebbe poi di fatto naturale: il Paese con i conti in ordine [...] ad ogni rialzo dello spread sopra una certa soglia avrà assicurato l'intervento del Fondo salva-Stati (Efsf) e dell'Esm attraverso la Bce, che, acquistando titoli di Stato, riporterebbe sotto il livello di guardia i tassi d'interesse. Un meccanismo che nella sua versione per ora solo abbozzata ricorda appunto da vicino gli interventi delle varie banche centrali nel vecchio Sme, quando acquistando una valuta piuttosto che un'altra riportavano in equilibrio la banda stretta di oscillazione di marco, fiorino, franco francese e lira (quando ancora c'era).
Per i Paesi della zona B, evidentemente, gli interventi potrebbero scattare solo sopra un diverso tetto, che di fatto spingerà fuori dalla moneta unica le capitali europee non più in grado di reggere il passo con le altre.

Si tratta di un progetto ambizioso e anche drammatico per certi versi, made in Germany, studiato dagli sherpa tedeschi e da quelli italiani, che probabilmente non troverà un facile cammino, ma che rappresenta, secondo quanto risulta a più fonti diplomatiche, l'unica concessione di Berlino per arrivare alla condivisione del debito pubblico[4].

Superfluo aggiungere che il punto di vista degli analisti di Milano Finanza è ovviamente condizionato dalla loro appartenenza a quell’ortodossia economica che ha sempre giustificato le storture dell’euro: nei confronti di organismi come il MES[5] (o ESM) essi sembrano soffrire di una curiosa cecità unilaterale che impedisce loro di vedere che gli “aiuti” della BCE e del MES sono prestiti ad interesse, fonte di ulteriore indebitamento, e sono subordinati all’imposizione agli Stati che li ricevono di politiche economiche particolarmente odiose (licenziamenti, tagli piatti alla spesa pubblica, cessione di aziende e beni pubblici, privatizzazioni dei servizi esenziali, etc.): quindi essi comporterebbero non solo tutti gli svantaggi che si avevano con la rigidità del cambio, ma sarebbero accompagnati da ingerenze sempre più pesanti nella vita economica del Paese.

 


 

II - L’euro “a due velocità”: chi lo vuole e perché

 

Proprio nella pagina sopra linkata del blog di Grillo si leggono queste parole di Eugenio Benetazzo: “L'Euro è un marco travestito, una moneta che hanno preteso e voluto i tedeschi perché la Germania era un Paese con potenzialità in termini di export rivolte soprattutto ai Paesi europei, quindi aveva la necessità di una valuta forte e di un rapporto di cambio fisso che consentissero stabilità negli scambi commerciali.
Paesi come l’Italia, la Spagna e la Grecia hanno potenzialità diverse da quelle della Germania, pensiamo all’Italia che esporta molto di più rispetto alla Germania, al di fuori dei confini europei e avrebbe la necessità di una valuta competitiva, un po’ quello che sta facendo la Cina nei confronti delle altre divise, tenendo lo Yuan svalutato per rendere appetibili le esportazioni cinesi.
In questi termini dovremmo ripensare alla politica monetaria per alcuni Paesi europei, ed è per questo motivo che comincia a emergere l’ipotesi del cosiddetto Euro 2, una spaccatura all’interno dell’Euro che faccia nascere una seconda divisa.

Ricordiamoci però che proprio per questa ragione uno dei primi Paesi che si dovrebbe opporre sarebbe la Germania, che si ritroverebbe a avere partner con potenzialità e appeal valutari che la metterebbero in difficoltà."[6]

Al di là della scarsa attendibilità di Benetazzo, che si manifesta tra le altre cose nell’ignorare che la Germania è il principale esportatore dell’Eurozona (siamo nell’ordine del 50% del suo PIL) in atto e non solo in potenza, la sua cautela dovrebbe far riflettere; ma soprattutto dovrebbe far riflettere, e mettere in allarme, il fatto che il FMI e la stessa Germania stiano da tempo lavorando al progetto dell’ “euro a due velocità”: e sarebbe una novità assoluta che lo facessero per  avvantaggiare i PIIGS.

Scrive l’economista Giuseppe Pennisi: “Già nel giugno 2012, subito dopo i primi “salvataggi” della Grecia, alti dirigenti del Fondo monetario internazionale parlavano di un ‘euro a due velocità’ come “via d’uscita” di un problema europeo che minacciava di contagiare il resto del mondo. Da diversi mesi una squadra di economisti (per lo più tedeschi, finlandesi, austriaci, estoni e slovacchi, ma non manca qualche presenza italiana) stanno lavorando ad una riforma dell’eurozona che la renderebbe simile a quell’unione monetaria latina (che ha, bene o male, funzionato dal 1865 al 1927) in cui le monete avevano parità fisse e convertibilità con l’oro e l’argento. L’euro resterebbe tale e quale ma verrebbe affiancato da un guldenmark che leghi i Paesi più competitivi dell’area. L’euro sarebbe agganciato al secondo da un crawling peg, ossia un cambio con piccolissime variazioni attorno alla parità centrale. Un progetto ‘accademico’? Certamente sino alle elezioni tedesche del prossimo settembre. Ciò pone un vincolo temporale serio al Governo italiano (quando ce ne sarà uno solido e duraturo); può esercitare la ‘put option’ di uscire dall’euro sino ad allora. Successivamente, se nasce il guldenmark non avrebbe più carte da giocare (dato che nella nuova moneta, l’Italia non entrerebbe in nessun caso a ragione della scarsa competitività multifattoriale).”[7]

Stefano Cingolani osserva su Panorama: “Proprio in Germania sta aumentando il consenso attorno all’ipotesi di una divisione in due dell’eurozona: insomma un euro di serie A e uno di serie B. Non sono più solo i conservatori a coltivare questo proposito, ma anche i socialdemocratici. La Fondazione Ebert, pensatoio della Spd, ha condotto una serie di seminari in tutta Europa per snidare opinioni di autorevoli analisti di vario orientamento. Agli italiani, i due euro non piacciono, l’opinione è divisa in due: o una piena integrazione fiscale e monetaria o tanto vale farla finita. Nemmeno i francesi sono apparsi molto convinti. Tra i tedeschi, invece, è considerata l’opzione più realistica e più probabile tenendo conto che la fine dell’euro sarebbe rovinosa e l’integrazione e piena appare utopistica.” [8]

La fine dell’euro sarebbe certo costosa e rovinosa: ma rovinosa per chi?

Il 23 settembre 2011 il colosso bancario svizzero Credit Suisse ha diffuso un allarmato e allarmante studio sul prossimo crollo dell’eurozona. L’istituto svizzero quantifica i danni così: 1.080 miliardi di euro. Questa è quanto potrebbe costare un break-up della zona euro. A patire maggiormente sarebbero le banche dei Paesi periferici che, esclusa l’Italia, potrebbero subire perdite per 630 miliardi di euro. Gli istituti di credito dell’Europa più forte (Germania, Olanda, Austria, Lussemburgo) patirebbero invece almeno 300 miliardi di euro di perdite. Ma a soffrire sarebbe anche la Banca centrale europea (Bce), con almeno 150 miliardi di euro di possibili svalutazioni da compiere. Il tutto senza considerare i costi sociali e politici dell’eventuale fallimento dell’eurozona.”[9]

Al di là delle cifre assurde e prive di qualunque fondamento empirico sparate da Credit Suisse sui danni e destinatari degli stessi da uscita dell’euro (cifre infatti contraddette abbondantemente in letteratura estera, ma stranamente non dai media italiani), per l’Italia, come abbiamo visto nel punto 1 del documento, la fine dell’euro comporterebbe vantaggi assai superiori agli svantaggi, e soprattutto sottrarrebbe la grande ricchezza privata italiana alle mire degli speculatori stranieri. Di qui, probabilmente, tutte le preoccupazioni della Germania e la conseguente ipotesi dell’euro “di serie A” (o Guldenmark) e “di serie B”, ad esclusiva tutela dell’economia tedesca: spiace pertanto vedere economisti come Loretta Napoleoni prendere abbagli circa la valutazione del fenomeno. Va comunque detto che la Napoleoni auspicherebbe un euro a due velocità in cui l’euro dei paesi “deboli” funzioni in maniera del tutto diversa da quello dei Paesi forti, un euro cioè più equo e vicino a quanto abbiamo proposto al punto 2 del documento.

Molto più drastico in proposito, ma probabilmente più realista, il giornalista Paolo Barnard: “E’ la BCE che deve intervenire per fermare il collasso dell’Europa dell’Euro (ma anche del resto), ma Draghi si rifiuta categoricamente. Il suo rifiuto scatena la bocciature delle agenzie di rating, che scatenano altro panico dei mercati che ci affosseranno sempre più velocemente. Il rifiuto di Draghi è voluto e oculatamente servito proprio nei momenti cruciali. L’Europa collassata, l’esplosione del sistema Euro, il crollo di tutte le economie più deboli come Italia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Grecia, Francia, Belgio, riporteranno il Vecchio Continente alla situazione precedente il 1999, ma a condizioni da sogno per la Germania. Essa, con un Euro a due velocità o anche col suo ritorno al Marco, sarà vista dai mercati come l’unica scialuppa di salvezza su cui saltare con tutti i suoi soldi, mentre noi rimarremo a secco e agonizzanti. In più, i veri manovratori della Merkel, e cioè le mega industrie dell’export Neomercantile della Germania, si troveranno con decine di milioni di lavoratori europei a due passi da casa disposti a lavorare a ritmi da lager e a stipendi da Cina per loro. E l’impero germanico dell’export si presenterà al mondo dei grandi mercati del domani, Brasile, Cina, India, Est asiatico, con prodotti a prezzi competitivi. Egemonia teutonica in trionfo. Là dove Hitler fallì.”[10]
E se la prospettiva di Paolo Barnard può apparire troppo complottista, il parere di una fonte di tutt’altra area ideologica conferma i suoi timori. Fabrizio Goria, infatti, commentando lo studio del Credit Suisse citato sopra, analizza le alternative a un collasso dell’euro proposte dal colosso bancario, una delle quali è per l’appunto la creazione di un euro «a due velocità», e scrive: “Da un lato Germania, Austria, Olanda e Lussemburgo. Dall’altro troveremmo la Francia a guidare Italia, Belgio, Spagna e tutti gli altri. Del resto, ricorda Credit Suisse, c’è un precedente storico. Fra il 1865 e il 1927 si era formata l’
Unione monetaria latina, un tentativo di armonizzazione delle valute di tra Francia, Belgio, Italia e Svizzera.”
Ebbene, avvertono gli analisti svizzeri, “nel caso di una spaccatura in due ci sarebbe un vero e proprio blocco: congelamento dei depositi, guerra commerciale, enorme contrazione del mercato dei prestiti bancari. In pratica, qualcosa di molto simile al periodo dopo il fallimento di Lehman Brothers.”

Può bastare questo allarmante scenario per togliere di mezzo un’ipotesi che, oltre ad essere di difficilissima realizzazione, è anche molto pericolosa, e soprattutto oltraggiosa nei confronti di un’economia come la nostra, che - ricordiamolo - prima dell’ingresso nell’euro era tra le prime sette potenze industriali del mondo.

 


 

III - Perché diciamo “no” all’euro “a due velocità”

 

Alla fine di questa sintetica disamina, una sola cosa è evidente: il progetto non è chiaro a nessun analista: c’è chi lo valuta positivamente e lo presenta come una graziosa concessione della Germania ai PIIGS, come gli analisti di formazione neoclassica di Milano Finanza, chi come Benetazzo solleva quanto meno il dubbio circa i problemi che alla stessa Germania deriverebbero dal recupero di una certa flessibilità del cambio da parte dei Paesi della periferia, domandandosi per quale motivo i tedeschi dovrebbero volere una cosa del genere, e chi addirittura, come Paolo Barnard, non esita a considerare il tutto come parte di un disegno volto a consegnare definitivamente alla Germania l’egemonia su tutta l’Europa.
Ammesso e non concesso che i due (o più) nuovi euro funzionino come l’attuale, con due banche centrali differenti ma dallo statuto analogo alla BCE, avremmo comunque grossi problemi anche qualora i vincoli di bilancio posti ai Paesi membri dell’euro debole fossero meno stringenti. Facendo riferimento ad analisi come quella di A. Bagnai[11] infatti è possibile notare che il grosso problema dell’euro non è tanto la moneta in sé, la dimensione dei debiti pubblici dei Paesi coinvolti o altri parametri del genere, ma sono gli squilibri regionali dei Paesi membri, i differenziali di inflazione fra di essi che determinano nefaste conseguenze sul cambio reale e quindi la competitività dei Paesi stessi.
Altra concausa è la libera circolazione dei capitali che sono defluiti senza controllo dalle economie centrali “forti” a quelle deboli, in un circolo vizioso che ha reso le economie periferiche, sinché è stato possibile, dipendenti da un meccanismo perverso che le ha indebitate con l’estero oltre la soglia di sostenibilità. Senza parlare del dogma dell’indipendenza delle banche centrali dell’eurozona dai vari ministeri del tesoro, che quindi non hanno alcun tipo di controllo sui tassi di interesse sui propri titoli di Stato, che restano appannaggio dei mercati.

In queste condizioni, stando al vari studi fra cui cito quello del prof. Gustavo Rinaldi[12], lo spread e quindi la spesa per interessi di uno Stato dipende dalla sua posizione netta sull’estero, che in questo scenario sarà sempre e irrimediabilmente negativa. Creare due euro di questo tipo (in cui l’Italia finirà verosimilmente e auspicabilmente nell’area debole) darebbe un qualche sollievo iniziale al nostro cambio reale e all’export verso l’area forte e l’esterno dell’eurosistema, ma di fatto tramuterebbe noi nella “Germania della periferia”, dal momento che il cambio della nuova valuta sarebbe ancora troppo forte per i fondamentali delle altre economie coinvolte. Stando inoltre alle conseguenze documentate da molti studi keynesiani dell’applicazione letterale della teoria neoclassica delle Aree Valutarie Ottimali, vincolare sul piano valutario un’economia forte a economie deboli può determinare solo una progressiva depressione e un progressivo indebitamento dei deboli, con ricadute sociali, salariali e di occupazione pesantissime.

Ma anche qualora la banca centrale del nuovo euro funzionasse in maniera diversa, come garante dei debiti pubblici (ovvero dei titoli di Stato) dei Paesi membri (cosa che peraltro troverebbe l’opposizione compatta dei Paesi “forti” che non vogliono certo concorrenza), questa resterebbe comunque una cattiva idea. Il motivo è evidente dallo studio di A. Bagnai precedentemente nominato.

Nel suo saggio “Ecco perché nel lungo periodo i “salvataggi” falliranno, come nel breve sono fallite le "manovre", Bagnai spiega che "manovre" e "salvataggi" intervengono sulla finanza pubblica, a valle di uno squilibrio reale privato, lasciando inalterato quest’ultimo. Che l’acquirente sia un fondo “salva-Stati” o la Bce cambia poco: l’acquisto di titoli pubblici è un palliativo che non risolve i problemi di competitività (causati da diversità strutturali dei mercati del lavoro), né quelli del debito privato (causato dagli sbilanci esteri). Anzi: visto che i Paesi periferici hanno tassi di inflazione più elevati, il livellamento dei tassi nominali porterebbe in questi Paesi a tassi reali più bassi di quelli del nucleo, e al limite negativi, con il rischio di innescare ulteriori bolle immobiliari o comunque una ulteriore espansione del debito privato.

Insomma, nessun problema di indebitamento privato e squilibri commerciali verrà mai risolto da interventi sulla finanza pubblica. Non ci sentiamo di consigliare una soluzione mal posta, insufficiente e che non risolve i veri problemi dell’Eurozona.

Comunque, già la mancanza di chiarezza su questo scenario ci sembra una ragione necessaria e sufficiente per dire di no al progetto, anche se appunto, bisognerebbe capire su quali presupposti si baserebbe questo “secondo euro”. Senza conoscere questi, è impensabile azzardare previsioni su come evolverebbero le KPI considerate dalla nostra analisi.

Non a caso l’opzione considerata «più interessante» dagli stessi analisti di Credit Suisse sopra citati (ma anche dai premi Nobel Krugman e Stiglitz) è l’uscita volontaria dell’Italia dalla zona euro. Sebbene sia considerata come “un caso di studio”, i vantaggi per Roma, afferma la banca svizzera, non sarebbero pochi. La base industriale italiana è considerata positivamente da Credit Suisse, come anche l’avanzo primario che attualmente sta producendo l’Italia. Il problema maggiore è legato al carattere dell’economia italiana, prevalentemente esportatrice di beni: se Roma decidesse volontariamente di uscire dall’euro, con conseguente svalutazione della nuova lira, è probabile che il resto dell’Europa periferica finirebbe sotto i colpi di «una imponente pressione deflazionaria», spiega ancora Credit Suisse. Ma non solo. Data l’importanza politica dell’Italia nel progetto di formazione europea, “è difficile pensare non ci possano essere altre nazioni della periferia a non optare per la stessa soluzione.”

Del resto, parliamoci chiaro: già dalla crisi cipriota in avanti non esiste più un euro unico: “Un euro a Nicosia - scrive ancora Stefano Cingolani - vale come un euro a Roma, a Parigi o a Berlino? In apparenza sì, il valore facciale è sempre lo stesso. Ma, dopo l’accordo raggiunto [il 16 marzo 2013], nei fatti non è più così. [...] Tutti sapevano che Cipro sarebbe stata una miccia in grado di far esplodere l’intera santabarbara. Ma nessuno ha fatto nulla finché il governo non ha alzato bandiera bianca chiedendo l’intervento dell’Unione europea, che ha mostrato ancora una volta di non avere una strategia chiare e univoca per affrontare le crisi. Il primo accordo faceva acqua da tutte le parti. E contraddiceva anche almeno due dei tre principi sui quali dovrebbe essere basata la futura unione bancaria europea: l’assicurazione unitaria dei depositi e un meccanismo omogeneo di risoluzione delle crisi bancarie. Quanto al terzo (la vigilanza unificata) è stato vanificato dalla Germania che non vuole far controllare le proprie banche locali, dove s’annida buona parte del marcio che infetta i bilanci. L’intesa raggiunta domenica sancisce che l’unione monetaria non è uguale per tutti. Da oggi c’è di fatto un euro a più velocità.”
Qualcuno più bravo di noi dovrebbe spiegarci, a questo punto, in che senso si possa ancora parlare di “moneta unica europea” e per quale motivo dovrebbe essere auspicabile rimanere all’interno di trattati le cui regole sono disattese unilateralmente da alcuni dei contraenti.
Dalla crisi di Cipro in avanti il vero volto dell’Unione Europea, guidata da un’oligarchia finanziaria che persegue interessi del tutto incompatibili con la democrazia, si è rivelato chiaramente. Vogliamo continuare ad assecondare i progetti di questa oligarchia, fra cui rientra appunto il disegno dell’“euro a due velocità”?

 


 

L’andamento dei Key Performance Indicators

 
        Crescita del PIL:  Dubbia. Un secondo euro gestito come il primo non darebbe alcuna speranza per la crescita. Se l’Italia fosse collocata nell’euro A con i paesi del centro, il nostro cambio reale verrebbe ulteriormente penalizzato, perché la moneta si rivaluterebbe ulteriormente. Già ora è almeno un 20% più forte di quanto ci serve. Se invece l’Italia fosse collocata nell’euro B, come sarebbe “auspicabile”, ci sarebbe un input iniziale all’export dovuto all’aggiustamento del cambio reale (un euro “PIIGS” si svaluterebbe di sicuro), che trainerebbe la crescita come ora traina la crescita tedesca. In seguito, è plausibile che gli altri PIIGS diverrebbero i nostri mercati di sbocco, il che ci renderebbe la Germania dell’eurozona B. Sarebbe una crescita breve (perché i PIIGS sono già economicamente al collasso) e che si baserebbe sulla sofferenza altrui. Invece un secondo euro gestito come suggeriamo nel Punto 2 risolverebbe tutti i problemi di crescita e sviluppo.
        Spesa pubblica: vedi crescita PIL. Se il secondo euro fosse gestito come il primo, nessun aumento di spesa pubblica si verificherebbe. Diversamente, gestendo la cosa come suggeriamo al punto 2, i limiti di oggi saranno superati.
        Occupazione/disoccupazione/rassegnati: vedi spesa pubblica, dal momento che una politica di prima occupazione sarà possibile solo con un aumento della spesa pubblica finalizzato ad assunzioni e programmi di Job Guarantee.
        Equità sociale: Resta sempre conseguenza di scelte politiche, ma come al solito il liberismo dell’Eurozona applicato all’equità sociale è garanzia di fallimento.
        Impatto su welfare, istruzione e sanità: vedi spesa pubblica.
        Bilancia commerciale: è plausibile un miglioramento a breve termine direttamente collegato alla svalutazione del tasso di cambio. Poi si avrebbero gli stessi problemi odierni della Germania. Nessun problema nel caso di un euro totalmente riformato.
        Debito pubblico: senza riformare del tutto il nuovo euro, non sarà possibile ridurre il debito pubblico senza distruggere la nostra economia con provvedimenti stile Fiscal Compact.
        Debito privato: solo in un contesto di secondo euro totalmente riformato il debito privato delle famiglie scenderà, in virtù della crescita dei redditi. Diversamente, è destinato ad aumentare come ora.
        Dipendenza dai “mercati”: la dipendenza dai mercati nel breve periodo diminuirà solo se il secondo euro prevederà per i suoi membri la non obbligatoriatà di rifinanziarsi sugli stessi. Diversamente, resteremo dipendenti come ora.
        Emigrazione: vedi disoccupazione, di cui l’emigrazione è conseguenza.
        PMI: vedi spesa pubblica. Senza una riforma complessiva del secondo euro, nessun aiuto alle imprese sarà introducibile.
        Politiche di basso impatto ambientale: vedi spesa pubblica.
        Democrazia: un secondo euro uguale all’attuale avrebbe gli stessi problemi. Un euro riformato potrebbe presentare uno scenario migliore.
        Rapporti con l’estero: è altamente probabile che un secondo euro funzionante come il primo non cambi nulla dei rapporti internazionali odierni in Europa, anche perché è una soluzione valutata anche dai Paesi più forti. Invece, un secondo euro PIIGS indipendente e che funzioni con tutti i crismi di un’area valutaria funzionale, potrebbe essere fonte di tensioni simili a quelle di un’uscita unilaterale, perché sarebbe la dimostrazione concreta della fallacia dell’attuale sistema, e la probabile causa di disgregazione dell’euro “forte”. Specialmente la Germania difficilmente avallerebbe una situazione in cui i suoi vecchi mercati di sbocco divengano i suoi principali concorrenti, e in cui la probabile maggiore inflazione nel secondo euro comporti una perdita di valore dei suoi crediti verso tali Paesi. La diplomazia sarà fondamentale, ma va detto che i paesi forti NON possono in nessun modo permettersi di rinunciare all’export verso i PIIGS, e dovranno perciò venire a patti.

 

 


 

La risposta di Economia 5 Stelle

 

In nome del concetto caro al Movimento “Nessuno deve rimanere indietro”, ci rifiutiamo di consigliare uno scenario che, nella migliore delle ipotesi, ci renderebbe complici e imitatori delle stesse politiche vessatorie perpetrate dalla Germania nei riguardi dei suoi vicini, politiche che stanno provocando miseria, emigrazione e morte.

Riteniamo inoltre offensiva la stessa idea di una doppia corsia, con l’Italia “guidata” dalla Francia e costretta a stare sulla corsia più lenta. Noi non vogliamo un’Italia in serie B, non vogliamo vivacchiare o sopravvivere: vogliamo ritrovare la dignità e l’orgoglio di essere italiani.

Condividiamo le parole del “Memento” leggibile in apertura del “Programma di salvezza economica” di Warren Mosler e Paolo Barnard [13]: “L'Italia uscì dalla seconda guerra mondiale povera, distrutta, semianalfabeta, ma ricca di tre doti immense: la Costituzione del 1948, lo Stato democratico a Parlamento sovrano, una propria moneta. Nell'arco di meno di trent'anni, questa penisola priva di grandi risorse, senza petrolio, finanziariamente arretrata, diventa la settima potenza economica del mondo, prima fra tutte per risparmio delle famiglie. Fu il 'miracolo italiano' scaturito dalle tre immense doti di cui sopra. Oggi quelle doti sono state distrutte, e il Paese è sprofondato nella vergogna dei PIIGS, i 'maiali' d'Europa. I Trattati europei, in particolare quelli associati all'Eurozona, ci hanno tolto la sovranità costituzionale, quella parlamentare e quella monetaria. Ci hanno tolto tutto.”

Non dobbiamo ridurci al rango di servi striscianti che pietiscono dalla BCE e dalla Germania la concessione di poter continuare a trascinare in qualche modo la loro grama esistenza.

Noi dobbiamo lottare per riprenderci tutto quello che ci hanno tolto.

 

[5] Per una disamina piuttosto esauriente di che cos’è il MES e cosa comporta, si veda questo contributo di Alfredo Cosco:

http://arjelle.altervista.org/Economiaascuola/mes/mes.htm

 

[10] http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=282

[13] http://paolobarnard.info/docs/programma_memmt_orig.pdf

 

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