Punto 2

 

In che modo il governo italiano potrebbe chiedere

di riformare i trattati europei in materia economica.

 

 

1) La risposta di Economia 5 Stelle

 

2) La risposta di Epic (Economia per i cittadini)

 

 

N.B.: i documenti completi, scaricabili, sono reperibili qui:

http://economiaepotere.forumfree.it/

 

 

La risposta di Economia 5 Stelle

 

 

Quadro riassuntivo.

 

Gli Italiani hanno una concezione idealistica dell’Europa. E’ legata al bisogno di immaginare qualcosa di alternativo alla pessima politica italiana. Non conoscono la realtà. Il contenuto dei Trattati, e le conseguenze delle scelte, non sono mai stati illustrati dal sistema mediatico ufficiale. Di conseguenza li si sente spesso invocare “più Europa” o parlare di “Stati Uniti d’Europa”, nella convinzione che il sistema dell’UE sia riformabile e che quanto sta accadendo a livello economico sia la conseguenza di un’imponderabile serie di “errori” commessi in buona fede, e come tali rimediabili.

Ovviamente s’illudono.

Tuttavia, pur consapevoli di questo, accettiamo la sfida: infatti proporre di cambiare le regole aiuta a capire (e a far capire) i limiti di quelle attuali e mette a nudo la buona fede dell’interlocutore.

Proponiamo quindi:

 

  • La riforma della BCE per metterla al servizio dei bisogni dei cittadini.
  • La riforma del sistema bancario italiano ed europeo, con provvedimenti rivolti al controllo del moral hazard delle rispettive gestioni e a garanzia della normale attività di intermediazione creditizia.
  • La riforma dei parametri di Maastricht per sottrarci dall’austerità e vietare altri tipi di comportamenti sleali e dannosi.
  • La riforma del bilancio dell’UE, per permettere investimenti produttivi e la piena occupazione.
  • La revisione o l’abolizione del Fiscal Compact[1] e del M.E.S.[2], per sottrarre i popoli dell’Europa alla spirale mortifera del crescente indebitamento.
  • L’armonizzazione delle politiche economiche, del lavoro, fiscali e del welfare, per rendere veramente unito e solidale un sistema che oggi è solo stupidamente competitivo.
  • La scrittura di una Costituzione vera, a tutela delle garanzie fondamentali dei cittadini e della democrazia.
  •  

    Solo di fronte alla (certa al 99.9%) posizione dei partner di NON essere disponibili a cambiare le cose, decideremo di uscire.

    Le conseguenze sono tecnicamente gestibili in maniera NON traumatica dal punto di vista economico, giuridico e politico.

    Condizioni essenziali per una uscita controllata, rimanendo dalla parte della ragione, sono:

     

            seguire la via legale (descritta al punto III);

            agire sempre in buona fede e trasparenza per preservare rapporti costruttivi;

            rendere evidente che non si esce per pregiudizio antieuropeo, al contrario: l’uscita dall’Unione Europea (Europa dei mercanti di denari) è l’unica strada che rende possibile la costruzione della futura Europa dei cittadini, l’unica accettabile.

     

    I - Le nostre proposte per riformare l’Unione Europea

    Partiamo da qui: gli Italiani (a torto o a ragione) non vogliono uscire dall’Unione Europea, ma vogliono (e sperano) che possa essere cambiata.

    Questa “domanda politica” ha radici profonde in tre driver fondamentali:

     

    1.       Le regole del gioco NON sono mai state illustrate all’opinione pubblica, che non conosce le Istituzioni e le regole dell’Unione Europea. Fino ad appena due o tre anni fa l’Europa politica era lontanissima, immaginata incapace di modificare la nostra esistenza quotidiana.

    2.      Nella mente e nel cuore di molti cittadini l’idea dell’Europa è sicuramente “migliore” rispetto alla congenita incapacità (reale o percepita) della classe politica italiana di esprimere una politica buona.

    3.      I guasti dell’economia vengono attribuiti ad una lunga serie di cause, senza che sia individuato un ordine di importanza: corruzione, sprechi, assistenzialismo, mafie, evasione. Che sono fenomeni, beninteso, la cui esistenza è reale e ben chiara nella testa di tutti, ma totalmente irrilevanti rispetto alla devastante portata di misure di vero e proprio economicidio come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio. Chi non ha ben chiaro questo (ed è un “difetto” tipico dell’approccio economico/comunicativo del M5S) si preclude completamente la possibilità di decifrare con successo la situazione che stiamo vivendo.

     

    Questi condizionamenti, realizzati con la colpevole complicità dei media e della classe politica, sono talmente forti da rendere difficile anche solo riuscire a far percepire i limiti oggettivi delle attuali Istituzioni dell’Unione Europea (contrarietà a forme elementari di democrazia) e l’assurdità delle sue regole economiche (funzionali ad interessi diversi da quelli dei cittadini).

    Partendo da questa consapevolezza, l’unica cosa da fare è provare ad avanzare proposte che siano semplici, ragionevoli, comprensibili, ma davvero in grado di rivoluzionare l’Unione. Da contrapporre nettamente al generico invito, che pure risuona nell’aria, al “più Europa”.

    Se poi le proposte non saranno accettate dai partner, le responsabilità di ogni Paese e di ogni posizione diventeranno più chiare, e le conseguenze più scontate e naturali.

    Ecco dunque le nostre proposte:

     

    1.         Porre la BCE al servizio dei cittadini e non più delle banche private (modifica art. 123 Trattato Consolidato UE, art. 130 e Statuto del SEBC):

            Invertendo l’attuale disciplina dell’art 123, che oggi vieta alla BCE di finanziare gli Stati e li obbliga a pietire risorse dal sistema finanziario privato e internazionale - così che il solo pagamento di interessi reali positivi esageratamente alti finisce per assorbire qualsiasi sforzo di risanamento dei conti - la BCE deve essere obbligata a dare risorse direttamente agli Stati (ed alle loro banche pubbliche), nella misura fissata dal Parlamento e comunque tale da garantire l’ordinato collocamento dei titoli di Stato. La BCE dovrà rigidamente supervisionare, e in casi estremi vietare l’erogazione di risorse alle banche private che operano sul mercato dei capitali con attività finanziarie (titoli e strumenti derivati). La garanzia dell’attività creditizia del sistema economico è un qualcosa di imprescindibile e occorre ad ogni costo proteggere la normale attività bancaria da conflitto di interesse e moral hazard delle rispettive amministrazioni.

            Invertendo l’attuale disciplina dell’art. 130, che oggi pone il divieto agli organi pubblici di influenzare la BCE, la BCE dovrà sottostare alle direttive indicate dal Parlamento.

            Rivedendo gli obiettivi statutari (che dovranno essere fissati dal Parlamento), prioritariamente la BCE dovrà operare per realizzare la piena occupazione, mantenendo in un range del 2-5% la disoccupazione tollerabile. Il margine è gestito in maniera tale da contenere l’inflazione al consumo in un range del 3-7%. Secondariamente, la BCE garantirà la stabilità del sistema finanziario: assicurando la netta separazione fra soggetti che svolgono attività di credito e risparmio al servizio dell’economia reale e soggetti dediti alle attività finanziarie (titoli e strumenti derivati) che dovranno essere rigidamente disciplinati. Il controllo e la disciplina andranno estesi al settore del cosiddetto sistema bancario ombra.

            La nomina dei Governatori in rappresentanza degli Stati nazionali sarà ratificata da parte del Parlamento.

            In virtù della riforma della BCE il MES non ha più ragione d’esistere: viene pertanto abrogato. O al limite pesantemente riformato, in un qualcosa che funzioni per l’Eurozona come fondo del tesoro o camera di compensazione, in modo simile a ciò che avrebbe dovuto essere il Fondo Monetario Internazionale nell’idea di Keynes.

     

    2.    Riforma complessiva del sistema bancario europeo (riforma dei trattati di Basilea 3). Dallo sdoganamento del moral hazard alla stretta regolamentazione dell’attività finanziaria.

            Ciò che proponiamo per riformare la BCE non è sufficiente. Anche il resto del sistema bancario deve essere strettamente regolamentato, e con grande cautela. E’ indubitabile che gli eccessi della finanza creativa abbiano consentito di accumulare perdite significative all’interno del sistema, trasferimenti occulti di rischi e risorse finanziarie, ed abbiano infine causato una manifesta dicotomia fra un eccesso di risorse sui mercati finanziari - che rischiano di alimentare bolle speculative - mentre il finanziamento delle attività produttive a famiglie e aziende è sempre più rarefatto e difficoltoso. La materia è estremanente complessa e la sua trattazione esula dallo scopo del presente documento. Ci limitiamo a consigliare, sulla base di pareri professionali di esperti del nostro gruppo, la separazione fra banche commerciali (che raccolgono risparmio privato ed effettuano prestiti) e banche d’affari (che si occupano di attività su titoli azionari, obbligazionari e strumenti derivati). La separazione è indispensabile per isolare la funzione di preminente interesse pubblico della tutela del risparmio e del finanziamento delle attività produttive, dai rischi derivanti dall’attività finanziaria propriamente detta (attività di investimento e intermediazione su titoli azionari, obbligazionari e strumenti derivati) che comportano rischi di natura e intensità profondamente diverse. Le banche commerciali dovranno comunque mantenere in portafoglio Titoli di Stato Italiani, sia allo scopo di garantire le indispensabili disponibilità liquide, sia con l’intento di favorire il collocamento degli stessi. L’attività puramente finanziaria deve essere attentamente valutata, al fine di salvaguardare la sua parte sana e di vietare drasticamente gli eccessi, le situazioni di conflitto d’interessi, indebiti trasferimenti occulti di rischi e risorse.

    Ci ripromettiamo, peraltro, di tornare prontamente sul tema con un apposito documento che approfondisca i molti aspetti coinvolti, con l’obiettivo di chiarire meglio quali funzioni deve svolgere un sistema bancario posto al servizio preminente dell’interesse pubblico, quali responsabilità comportino le diverse funzioni, quali limiti debbano necessariamente incontrare, nel rispetto dell’interesse pubblico.

    Siamo infatti consapevoli che non è detto che questa sia una misura esaustiva per mettere in sicurezza il settore bancario, anzi se applicata alla lettera potrebbe anche comportare rischi, dal momento che l’attività finanziaria sui mercati di capitali è oggi un introito importante per le banche stesse, che serve loro per il mantenimento di liquidità e riserve indispensabili alla concessione di credito. Possiamo certamente imporre la separazione di ambiti, ma tenendo ben presente che questo potrebbe causare grosse ripercussioni sul patrimonio delle banche e sulla loro possibilità di onorare i propri obblighi, sia sul mercato del credito che su quelli finanziari. E' una mossa da valutare attentamente e da attuare nel tempo ma, soprattutto, impossibile da effettuare senza una capacità di spesa pressoché illimitata da parte dello Stato.

     

    3.    Revisione dei parametri di equilibrio finanziario (parametri di Maastricht e Fiscal Compact). Dalla competizione interna alla solidarietà.

            Il recupero della sovranità monetaria trasforma il debito pubblico da minaccia in opportunità: strumento a disposizione delle scelte di politica economica. I parametri di contenimento dei deficit annuali di bilancio e degli stock di debito pubblico devono essere analogamente trasformati nella sostanza e rivisti nella dimensione. Subordinati agli obiettivi delle politiche economiche, trasformati in guideline e cioè obiettivi di massima, devono essere collegati al ciclo economico in maniera che possano operare quali strumento di correzione del ciclo.

            Vengono introdotti parametri stringenti sugli squilibri delle bilance dei pagamenti fra gli stati membri e sui saldi dell’Unione nei confronti dell’estero. Obiettivo prioritario è il pareggio tendenziale. Il mancato rispetto dei vincoli interni comporta l'obbligo automatico di compensare le eccedenze con trasferimenti da parte dei Paesi in avanzo verso i Paesi in disavanzo[3].

     

    4.    Un Bilancio dell’Unione per la piena occupazione.

    La dimensione del bilancio dell’Unione, reso funzionale alla piena occupazione ed al mantenimento di un livello quali-quantitativo dei servizi sociali adeguato alla migliore tradizione europea, deve essere almeno decuplicata (ma sarebbe meglio un 20% del PIL dell’Eurozona).

            Gli investimenti funzionali al raggiungimento della piena occupazione, da conseguire in settori produttivi ecocompatibili di dimensione contenuta ad alto assorbimento di lavoro, vengono sostenuti da emissione monetaria. La produzione di nuovi beni reali e servizi vendibili garantisce l’equilibrio con l’incremento della circolazione monetaria.

            Il programma di lavoro garantito necessario ad assorbire le percentuali di lavoratori non occupati con i programmi produttivi, analogamente al costo dei servizi sociali non produttivi, viene finanziato anche con tasse ed eventualmente prestiti, in funzione delle esigenze di assorbimento di tensioni sui prezzi o di disponibilità di risparmio privato.

            Gli investimenti necessari alla realizzazione di infrastrutture verranno finanziati con un mix delle diverse fonti, in funzione dei tempi necessari alla loro implementazione e fruibilità.

    Ciò che rende irrealizzabile e puramente accademica questa riforma è che in questo momento la Germania di fatto dovrebbe essere l’unico paese contribuente (e si parla di circa 250 miliardi secondo J.Sapir). Ovviamente nessuno Stato europeo potrebbe sborsare una cifra simile senza collassare.

     

    5.    Armonizzazione dei sistemi produttivi.

    Le politiche economiche ed industriali nei Paesi dell’area devono essere coordinate e trasparenti. Sono previsti trasferimenti necessari a riequilibrare verso l’alto le economie dei paesi svantaggiati.

    La normativa sul lavoro è resa uniforme.

    La politica fiscale è resa uniforme.

    Le norme del welfare sono rese uniformi.

     

    6.    Revisione Costituzionale.

    Il Parlamento viene investito del compito di predisporre una Costituzione Democratica basata sulla separazione chiara e trasparente tra poteri legislativo, esecutivo e giudiziario; la previsione di garanzie costituzionali inviolabili per i cittadini; la previsione di organi costituzionali di garanzia e strumenti di partecipazione e democrazia diretta efficaci; la definizione chiara e trasparente della ripartizione delle competenze per materia fra Unione e Stati membri.

    L’approvazione della Costituzione avviene attraverso referendum popolari negli Stati membri.

    Nella fase transitoria, vengono eliminate la Commissione, il Consiglio ed il Consiglio Europeo, e sostituite da un Governo che ottiene la fiducia del Parlamento.

     


     

    II - E se le proposte non vengono accettate?

     

    Per quanto si ritenga possibile e desiderabile una Europa completamente diversa da quella disegnata nelle attuali Istituzioni dell’Unione Europea, bisogna fare i conti con la realtà:

            dopo aver convinto il Governo Italiano, si dovrebbero convincere anche e principalmente i cittadini ed i Governi dei paesi partner: obiettivo che, oggi, appare eccessivamente ambizioso. Esistono infatti interessi costituiti molto forti al mantenimento di una situazione che garantisce evidenti vantaggi - in termini economici e di potere - sia al sistema industriale della Germania e dei paesi core, sia al sistema finanziario internazionale, che tramite i meccanismi perversi delle regole dell’Unione sta trovando un modo per obbligare i cittadini europei a finanziare forzosamente le voragini aperte dalle proprie follie speculative;

            abbiamo a che fare con poteri molto forti, che hanno operato efficacemente per condizionare l’opinione pubblica nei Paesi del nord Europa, presso la quale è ormai radicata la convinzione che i problemi dell’economia nell’Unione derivano dagli sprechi e dalla corruzione nei Paesi del sud. Ne consegue che sia ritenuta cosa buona e giusta far pagare a questi Paesi il costo del risanamento, percepito come necessario, senza rendersi conto che i flussi finanziari prelevati forzosamente con le manovre pubbliche di aggiustamento non risanano i conti pubblici ma - indebitamente - quelli privati;

            come si diceva, con tutta la buona volontà del caso, le condizioni necessarie ala sopravvivenza dell’Eurozona non sono in nessun modo sostenibili per la Germania, né economicamente né socialmente né soprattutto elettoralmente;

            l’obiettivo di riformare le attuali Istituzioni dell’Unione Europea resta quindi talmente improbabile da rendere assolutamente necessario prevedere il percorso di uscita.

     

    Prepararsi è fondamentale, e bisogna farlo con grande consapevolezza delle difficoltà e dei rischi, disegnandolo nelle sue linee essenziali ed avendo ben chiaro in mente il seguente triplice obiettivo:

            raggiungere nella maniera più rapida ed indolore possibile un nuovo diverso equilibrio interno;

            preservare SE POSSIBILE rapporti non conflittuali con gli altri Paesi europei, con i quali il nostro sistema produttivo e culturale ha scambi intensi ed essenziali;

            costruire o pianificare comunque un livello sovranazionale (controllato democraticamente) in grado di porre le Istituzioni a difesa degli interessi dei cittadini, contro lo strapotere delle multinazionali. La dimensione statale è decisamente inadeguata allo scopo.

     

    Questo obiettivo è possibile ma non è facile; neppure è scontato. Sottovalutare i rischi è il modo migliore per far aumentarne la probabilità che il danno si realizzi, mentre conoscerli bene aiuta a dominarli. La storia dei popoli europei è lastricata di guerre, e le nostre generazioni sono fra le pochissime fortunate che ancora non ne hanno vissuta una sulla propria pelle, il che porta inevitabilmente a sottostimare se non ad ignorare la possibilità che la cosa si ripeta (e per questo, di fatto, aumentandone la probabilità).

    Dobbiamo essere molto consapevoli del fatto che l’esito di un processo gestito male potrebbe essere esattamente questo. Per non parlare del fatto che a qualcuno potrebbe fare comodo.

    Chi propone di stracciare i trattati, inconsapevolmente sottostima il rischio. Ma anche chi sogna di una magica notte in cui possa avvenire il changeover cogliendo di sorpresa i mercati ed i nemici del cambiamento, probabilmente non si rende conto che i mercati hanno antenne lunghe ed affinate. Non considera che le élite che si oppongono al cambiamento sono decisamente più organizzate, preparate e determinate dei cittadini che desiderano un mondo diverso.

    IL PROCESSO DEVE INVECE ESSERE INTESO E VISTO DA TUTTI COME SERIE DI PASSAGGI CONSEQUENZIALI INEVITABILI. UNICA VIA DELLA RAGIONE. D’ALTRO CANTO, VISTA L’EMERGENZA, ANCHE UMANITARIA, OCCORRE ESSERE PREPARATI A SCELTE DRASTICHE. NON INTENDIAMO AVALLARE IN ITALIA UNA SITUAZIONE COME QUELLA CHE SI STA DRAMMATICAMENTE VERIFICANDO IN GRECIA.

      


     

     

    III - Uscire dall’euro in modo legale e senza troppi danni

     

    Per evitare il pericolo di conflitti, sono necessari accorgimenti importanti:

    1.       Seguire la via legale: esiste ed è percorribile.

    2.      Rendere chiaro che l’obiettivo non è il nazionalismo, ma una diversa Europa (quella descritta al punto I del documento); facendo emergere in maniera inequivocabile che se ciò non si realizza è per mancanza di volontà da parte di altri, non certo da parte nostra.

    3.      Far capire che, a quel punto, l’uscita dall’UE (Europa dei mercanti di denari) è l’unica strada percorribile anche per la costruzione di una Europa dei cittadini.

    4.      Gestire il processo salvaguardando sempre la corretta e completa informazione verso tutti, spiegando bene le cause dei problemi, gli obiettivi da raggiungere, i percorsi da seguire. Fare emergere con chiarezza chi vuole davvero cambiare e chi no.

    Partiamo dal presupposto che già ottenere il consenso interno sulla comprensione del problema e sui cambiamenti da realizzare sarà tutt’altro che facile. Ma facciamo finta che ci siamo riusciti, e che il Governo Italiano si sia convinto ad avanzare le proposte ragionevoli indispensabili a rendere l’Europa un luogo desiderabile.

    L’articolo 48 del Trattato Consolidato sull’Unione Europea (Trattato di Lisbona) disciplina la modifica dei trattati. La via più semplice sarebbe infatti quella di pensare direttamente ad un nuovo Trattato, la cui disciplina superi la precedente, esattamente come il Fiscal Compact ha superato (potenzialmente) i precedenti accordi di Maastricht ed il patto di stabilità. Affermare che il cambiamento non è tecnicamente possibile è affermare il falso. Di cambiamenti ce ne sono stati eccome,  purtroppo nella direzione sbagliata. Non richiedono neppure l’unanimità: i recenti accordi, se ratificati da un certo numero di stati aderenti, avranno valore fra tutti gli stati membri dell’Unione.

    Ad ogni modo, di fronte alla constatazione della assai verosimile mancanza di volontà di nuovo accordo nel senso desiderato, non resterà che cambiare strada.

    Soccorre allora l’articolo 50 del medesimo Trattato Consolidato sull’Unione Europea, che disciplina l’uscita unilaterale di uno Stato membro. Prevede un percorso non semplice, probabilmente ideato per rendere estremamente sconveniente la prova. E’ infatti necessario, affinché i Trattati in vigore cessino di produrre effetti fra le parti, che si raggiunga un accordo sulla gestione dei rapporti che rimarrebbero senza disciplina giuridica. La negoziazione dura per un massimo di due anni, dopodiché i Trattati cessano comunque di produrre effetti giuridici.

    La “notte” del changeover può nel peggiore dei casi durare mesi: è bene prepararsi.

    Questo ostacolo pone il problema di sopravvivere in questo periodo che può essere lungo e complesso, durante il quale il nostro potere negoziale è minato nelle radici dall’esposizione del nostro debito pubblico agli attacchi speculativi da parte dei mercati finanziari. I mercati finanziari sono assolutamente in gradi di ricattarci.

    Poche coincidenze potrebbero scatenare il putiferio: un declassamento del rating, ormai prossimo allo stato di "investimento spazzatura", che potrebbe obbligare una lunga serie di investitori istituzionali a vendere i nostri titoli indipendentemente dal giudizio del singolo investitore, ma solo per rispetto di obblighi statutari; una modifica nelle regole contabili (come quella avvenuta nell'autunno del 2011) che obbliga le istituzioni creditizie a considerare in maniera diversa i propri investimenti di portafoglio; la decisione da parte della BCE di limitare la possibilità di utilizzo dei TDS al di sotto di determinate caratteristiche nelle operazioni di rifinanziamento nel sistema: sono tutte situazioni non controllate da noi, che ci farebbero trovare da un momento all'altro in crisi di liquidità.

    Questo prosciugamento di liquidità può avvenire in una qualunque delle tre aste che ogni mese vengono tenute per collocare i titoli di Stato in scadenza. Una sola asta che non viene sottoscritta, sarebbe più che sufficiente a scatenare reazioni a catena pericolosissime. Il “salvataggio” esterno diviene inevitabile e prevede l’intervento della BCE, condizionato alla richiesta di aiuti al MES ed al FMI, condizionati a loro volta dalla nostra accettazione dello stato di schiavitù. I termini appariranno forse brutali, ma lo sarebbero meno della realtà.

    La circostanza che il processo non sarebbe gestito da un Governo “amico”, rende quello scenario quasi inevitabile, se non si pensa, prima, a qualche soluzione alternativa.

    Esistono due possibilità per porsi nelle condizioni di poter affrontare il delicato processo di uscita e di negoziazione da una posizione di maggiore forza e capacità di tenuta.

     

    1.         La prima consiste nel predisporre, prima di iniziare il procedimento di richiesta di modifica/annullamento dei trattati, misure necessarie a ridurre al minimo il rischio di attacchi speculativi, sterilizzando il potere di ricatto dei mercati. Quindi, precostituire possibilità di assorbimento dei titoli che rischiano di non essere collocati, è una condizione necessaria ad acquistare potere negoziale, senza il quale ogni azione è precaria ed inefficace.

            La trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in una banca a tutti gli effetti, è una soluzione altamente auspicabile in tal senso. Sarebbe allora in grado di finanziarsi presso la Banca Centrale al tasso di riferimento e di acquistare massicce quantità di titoli di Stato, al momento del bisogno. Ricordiamoci che i TDS possono essere consegnati alla Banca Centrale in cambio di nuova liquidità: le munizioni sarebbero quindi consistenti.

            Anche il MPS può essere ragionevolmente inserito in questo disegno, dando almeno un senso ai miliardi pubblici spesi per colmare le voragini dei suoi errori[4].

            Ancora. Va trasformato il regime giuridico dei titoli di Stato con l’obiettivo di rendere di nuovo conveniente per famiglie e aziende italiane impiegare la loro liquidità in BOT, CCT, BTP, anche per evitare che tale liquidità finisca inconsapevolmente ad alimentare bolle speculative sui mercati finanziari, tramite i prodotti per l’investimento offerti dal sistema bancario e perfino postale. Le recenti modifiche, collegate alle disposizioni introdotte con il trattato istitutivo del MES, vanno nella direzione opposta: prevedono che i titoli di Stato di nuova emissione possano essere “ristrutturati” nelle scadenze e negli importi con maggior semplicità. La prospettiva ne scoraggia evidentemente il possesso. Quello che non è scritto nei documenti del MES e neppure nelle nuove clausole dei TDS, è che nel caso sventurato in cui si dovesse arrivare ad una ristrutturazione del debito, le perdite che inevitabilmente si abbatterebbero nei conti del sistema finanziario verrebbero coperte da prelievi forzosi sulla ricchezza privata delle famiglie italiane (vedi Punto 1). Ricchezza privata, è bene ricordare, che nonostante il declino iniziato dal 2007, resta una fra le maggiori al mondo. Ricchezza che fa terribilmente gola al sistema finanziario internazionale privato, che deve in qualche modo risolvere il suo problema della non sostenibilità dei suoi debiti privati (altro che debiti pubblici) e dei valori gonfiati degli asset su tutti i principali mercati finanziari mondiali (vedi lo studio del Boston Consulting Group “Back to Mesopotamia”[5]).

            La disciplina va invertita. Lo Stato deve rendere esplicito che la tutela del risparmio delle famiglie (così come imposta dalla Costituzione) è il principale motivo per cui è utile il sistema finanziario. Se, con lo scopo di preservare il sistema finanziario, si dovesse rendere necessario distruggere il risparmio delle famiglie, si avrebbe il tradimento della tutela costituzionale. Quindi, va disposto che in caso di ristrutturazione del debito pubblico italiano, le famiglie italiane dovranno essere privilegiate nel rimborso rispetto agli investitori istituzionali, specialmente se esteri. Questi investitori, che oggi ipotizzano la ristrutturazione dei debiti pubblici quale possibile via di soluzione ai loro problemi, debbono - invece - temere l’ipotesi come distruttiva e contraria ai loro principali interessi economici.

            Si potrebbe arrivare ad ipotizzare (ma solo in una fase transitoria e solo in casi realmente estremi di necessità, visto il pericolo che correrebbero i nostri asset e le possibili reazioni dei mercati) che il Patrimonio Pubblico, anziché essere svenduto ai privati (come il grande capitale privato internazionale desidera e come l’Unione Europea richiede), debba essere messo a garanzia del rimborso dei TDS italiani, solo se posseduti dal sistema Italia. A chi obietta idealisticamente che il patrimonio pubblico non si può ipotecare, rispondiamo realisticamente che le "policy" della BCE, fedelmente interpretate da Monti prima e da Letta adesso, hanno come obiettivo proprio la svendita del patrimonio pubblico. Mille volte meglio tutelarlo, mettendolo a garanzia degli investimenti finanziari del sistema Italia. Quello che avviene tramite modifica della natura giuridica del debito, una volta che intervengono gli aiuti della BCE del MES e del FMI, è esattamente il contrario: verranno privilegiati gli investitori istituzionali esteri. Vogliamo avallare questa scelta?

            Sempre con il fine di rafforzare il potere negoziale del Paese, e dotare il tessuto sociale e produttivo del paese di una diversa capacità di resistenza, è utile prevedere da subito (prima dell’inizio dei negoziati) un intervento volto a  dotare per legge i Comuni singoli o associati del potere di utilizzare una “Moneta Complementare” (La Moneta dei Cittadini), da affiancare all’Euro.

    Di tale argomento si parlerà diffusamente nel punto 4b del presente documento.

     

    2.        La seconda possibilità è di natura giuridica. La Convenzione di Vienna disciplina nel diritto internazionale i trattati multilaterali, quindi i Trattati dell’UE. L’articolo 60 della Convenzione di Vienna[6] prevede che se uno degli Stati membri ha violato accordi sostanziali, le altre parti o anche una sola di esse che ne abbia subito in conseguenza gravi pregiudizi, possano ritenersi non obbligate dalle disposizioni del trattato.

    E’ facilmente dimostrabile la circostanza che la Germania, e non solo essa, abbia sostanzialmente e ripetutamente violato l’obbligo di coordinare le sue politiche economiche con gli altri Stati membri dell’Unione; come è facilmente dimostrabile il grave pregiudizio che gli altri hanno subito da tale violazione. Questo obbligo di coordinamento rappresenta sicuramente una parte sostanziale del Trattato, anche se poco discusso e pubblicizzato. Questo vuol dire che, nel momento in cui ci si siede al tavolo negoziale, sarebbe possibile appellarsi alla Convenzione di Vienna e dichiarare decaduti gli accordi di Maastricht e Lisbona e, a cascata, Fiscal Compact, MES, Velsen.

    Questa azione consente di recuperare la sovranità monetaria, necessaria ad affrontare con armi ben più potenti gli attacchi speculativi.

    In tal senso, è estremamente utile, dettagliato e documentato, un documento pubblicato sul blog di Luciano Barra Caracciolo[7], che riepiloga in maniera chiara ed evidente i comportamenti della Germania in sostanziale e grave violazione dello spirito e la lettera degli accordi fondamentali che impongono la collaborazione ed il coordinamento nella determinazione delle politiche economiche, sociali e del lavoro.

    Altrettanto utile sarà condividere l’azione con i Paesi dell’Europa del sud che hanno ricevuto gravi pregiudizi da tali violazioni. Non siamo soli nei bisogni e negli intenti.

    E’ anzi estremamente opportuno che il Movimento 5 Stelle si faccia promotore di una campagna di informazione sistematica su quanto è avvenuto e sta ancora avvenendo in Grecia e negli altri paesi Piigs, per evidenziare con forza che le azioni correttive imposte dall’Unione hanno provocato l’aumento drammatico dell’indebitamento pubblico, e non già il suo risanamento. Affiancare le informazioni tecniche ed economiche con quelle relative all’impatto violento, vigliacco e inaccettabile che le manovre di “aggiustamento” producono sulla popolazione è di grande forza emotiva. La solidarietà con le popolazioni - che tristemente manca, ma solo per mancanza di informazione - può e deve essere stimolo ad una diversa comprensione dei reali significati delle “manovre” di salvataggio.  Deve servire a smascherare il tentativo evidente di scaricare sulle popolazioni dei Paesi più ingenui i problemi del sistema finanziario privato ed internazionale, anche tenendo presente che la fragilità del nostro Paese dal punto di vista politico, accompagnata all’enorme ricchezza privata delle famiglie italiane, fanno dell’Italia un target privilegiato di tali mire.

     


     

    IV - Ipotesi di “exit strategy” unilaterale dall’euro

     

    Pur con tutti gli sforzi umanamente possibili, tuttavia, potrebbe risultare impossibile mantenersi nel solco della piena legalità, data l’inesistenza di un percorso giuridico da intraprendere per realizzarla (un elemento scientemente omesso dai padri della moneta unica al fine di impedire la rottura dell’unione monetaria, come chiaramente ammesso da Jacques Attali[8]): non esiste infatti alcun articolo del trattato di Lisbona che preveda l’uscita di uno Stato dall’euro senza uscire contemporaneamente dall’UE.

    Pertanto, qualora tutti gli sforzi posti in essere dall’Italia per uscire legalmente dall’Unione Europea dovessero rivelarsi vani, il recesso dalla moneta unica deve necessariamente configurarsi come un atto unilaterale del Paese, che resti per quanto possibile nel solco di rispetto reciproco e legalità. Scegliere se farlo o meno è questione di volontà politica, e molti commentatori la ritengono la soluzione migliore. Occorrerà valutare i costi economici del percorso legale, che ha il chiaro svantaggio di esporci più a lungo al fuoco incrociato dei mercati, in condizione di grave incertezza.

    Tale ipotesi, evidentemente densa di criticità, è stata da noi analizzata nel punto 5 (“Pro e contro dell’uscita del nostro Paese dall’euro”), al quale pertanto si rimanda.

     

     


     

    V -  L’ipotesi del referendum sull’euro

     

    Volutamente abbiamo lasciato per ultima quella che, secondo logica, avrebbe dovuto essere la prima ipotesi, dal momento che è l’unica proposta avanzata dal M5S nella persona dello stesso Beppe Grillo: il referendum sull’euro. I motivi per cui l’abbiamo finora ignorata sono presto detti: si tratta di un’ipotesi non solo irrealizzabile, ma anche oltremodo pericolosa.

    Paolo Becchi[9] aveva spiegato chiaramente lo stato della questione già nel novembre del 2012: “Cominciamo con il chiarire una cosa: dall’Euro l’Italia non potrebbe certo uscire tramite un referendum abrogativo. Non soltanto, infatti, l’art. 75 della Costituzione vieta esplicitamente che possa svolgersi un simile referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali ma, secondo una consolidata interpretazione della Consulta, non sarebbe mai possibile interferire, attraverso referendum, con l’ambito di applicazione delle norme comunitarie e con gli obblighi assunti dall’Italia nei confronti dell’Unione Europea. Si dirà: Grillo ha proposto un referendum “propositivo”, non abrogativo. Nel nostro ordinamento, però, non è possibile proporre lo svolgimento di referendum consultivi, al di là delle espresse previsioni della costituzione (articolo 132, ai sensi del quale tali consultazioni riguardano unicamente modifiche ai territori delle Regioni).”

    E tuttavia, come fa notare lo stesso Becchi, la proposta di Grillo sembra richiamare espressamente  un precedente, ossia “quanto avvenne nel 1989, quando, con legge costituzionale (3 aprile 1989, n. 2), fu indetto un “referendum di indirizzo” (ossia consultivo) sul conferimento di un mandato al Parlamento Europeo per redigere un progetto di Costituzione europea. Fu necessaria, allora, una legge di iniziativa popolare promossa dal Movimento federalista europeo – successivamente sostituita dalla proposta di legge costituzionale presentata dal Partito Comunista – la cui approvazione richiese la doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento, secondo l’iter necessario per le leggi costituzionali. La Costituzione non prevede, nella sua lettera, un’ipotesi simile, ma nell’89 i partiti furono concordi nell’approvare questo strumento atipico (il “referendum di indirizzo”) mediante una legge costituzionale ad hoc, formalmente “in deroga” o “rottura” di quanto previsto dall’art. 75 della Costituzione, per legittimare con il ricorso al voto popolare l’accelerazione del processo di integrazione europea. Ma, limitandosi semplicemente all’indizione di quella singola consultazione, la legge costituzionale non ha introdotto nel nostro ordinamento il referendum di indirizzo, il quale è per così dire, una volta svoltesi le operazioni di voto, uscito dallo scenario costituzionale, facendo così svanire la temporanea “rottura della Costituzione”. Grillo, però, non può non sapere che questa ipotesi non si ripeterà, salvo una vittoria che, al momento, sembra andare al di là di ogni realistica previsione e che porti il Movimento 5 Stelle a diventare, da solo, partito di maggioranza assoluta in Parlamento.”

    Poiché, come ben sappiamo, le previsioni del prof. Becchi si sono purtroppo avverate, il M5S non ha i numeri per far approvare una legge costituzionale che permetta di istituire un referendum di questo genere sull’Euro. Oltre tutto, tale referendum sarebbe – come scrive lo stesso Grillo – puramente consultivo, privo di effetti vincolanti, cioè sostanzialmente inutile.

    A nostro parere, tuttavia, il problema principale non è nemmeno quello della natura velleitaria dell’iniziativa, bensì quello della sua assoluta NON AUSPICABILITA'.

    In effetti, annunciare pubblicamente ai mercati, alle banche e alla grande speculazione la nostra intenzione di uscire dalla moneta unica porterebbe, in assenza di difese adeguate e limitazioni alla circolazione dei capitali, a gravi problemi di fuga dei residui capitali e vendite massicce di titoli di Stato italiani prezzati in euro (per tema della loro svalutazione, che viene data dal 20% al 30%), con conseguenze potenzialmente pericolosissime per la nostra economia. Ne sono convinti tutti i più insigni commentatori, che infatti raccomandano segretezza assoluta e uscita a borse chiuse e per apposito decreto governativo.

    Citiamo l’esempio di Roger Bootle, vincitore del “Wolfson Economics Prize[10], concorso indetto fra 425 economisti per la miglior strategia d’uscita dall’Eurozona, con il suo paper “Leaving the euro: A practical guide”[11]:

            The early stages of planning for a euro exit should be conducted in secret, although it will be difficult to maintain the secrecy for long.

            Capital controls and similar measures will need to be implemented fairly early in the preparation stage in order to limit the disruption likely to be caused by the disclosure of the exit plans.

            Once such measures are in place, exit plans should be implemented swiftly.”[12]

    Preparativi SEGRETI, pericolo di fuga informativa ALTO e DISTRUTTIVO, uscita VELOCE. Lo stesso Bootle comunque consiglia, come il nostro gruppo, di eseguire la manovra in collaborazione se possibile con gli altri governi europei, per mantenere rapporti amichevoli.

    C’è poi un grave problema di disinformazione della cittadinanza sull’argomento. Infatti un popolo come quello italiano, sottoposto dai primi anni ‘70 ad un condizionamento mediatico che lo obbliga ad ascoltare sempre e solo la stessa campana (oppure a distrarsi con i casi giudiziari di Berlusconi, in modo da lasciar agire indisturbati i veri registi della cosiddetta “crisi” europea), non dispone neppure delle informazioni minime per poter comprendere che cos'è l'euro e quali sono i suoi effetti sull'economia reale. Anzi, esso subisce quotidianamente il terrorismo dei giornalisti a proposito degli effetti devastanti di un’uscita dalla moneta unica e viene sistematicamente convertito, soprattutto dai politici della cosiddetta “sinistra” e dai media da essi controllati, a quella che Alberto Bagnai[13] definisce "la mistica del 'ce lo chiede l'Europa'": una nuova religione che, come tutte le religioni, si esercita in paralogismi che appaiano persuasivi per la ragione, ma che sono in realtà totalmente destituiti di fondamento razionale. Come osserva il prof. Bagnai, la macchina infernale del condizionamento mediatico sta precludendo "la riflessione sugli scopi stessi dell'organizzazione politica umana, sul ruolo delle Costituzioni, sul senso dell'economia sovrastata ormai dalla finanza."

    Come si può dunque immaginare che una massa eterodiretta e disinformata, e che oltretutto si ritiene mediamente colpevole della crisi corrente dopo il reiterato bombardamento mediatico su corruzione, evasione fiscale e malcostume diffuso, possa deliberare in modo assennato su una materia così complessa, che implica fra l'altro conoscenze economiche di livello medio-alto?

    Come si può anche solo ipotizzare di consegnare una decisione di tale importanza per la vita di tutti a chi, seppur non per colpa sua, "non sa"?

    Per tutte queste ragioni riteniamo che chiedere un referendum sull'euro sia un atto pericoloso oltre che inutile, per quanto meritevole in linea di principio. Atto dal quale prendiamo risolutamente le distanze.

     

     


     

    L’andamento dei Key Performance Indicators

     

    Impossibile a dirsi con certezza, dal momento che dipenderebbe da quali e quante riforme di quelle elencate verrebbero implementate. Di sicuro un Euro perfettamente riformato e democratico ci consentirebbe di tornare a crescere in armonia, risolvendo tutti i problemi denunciati. Una situazione ibrida porterebbe invece pochi vantaggi mantenendo gli svantaggi dell’attuale, ed è altamente probabile che a medio-lungo termine la crisi si riproporrebbe esattamente nella stessa forma. E allora cosa faremmo? Aggiungeremmo una “marcia” in più al nuovo euro?

     


     

     

    La risposta di Economia 5 Stelle

     

    Riteniamo che le riforme qui proposte siano quasi tutte assolutamente velleitarie e che sarà del tutto impossibile o altamente improbabile che vengano implementate, per la fortissima opposizione politica del centro Europa, specie della Germania. Il motivo, al di là dell’impossibilità economica sottolineata in precedenza, è spiegato da A. Bagnai molto efficacemente[14]:

    “Il fatto è che queste proposte di “più Europa”, quelle che passano attraverso l’idea di una maggiore “unione” fiscale, in particolare nel senso sopra specificato di “integrazione fiscale”, sono palesemente irrealizzabili, pur non essendo insensate teoricamente. Certo, lo sappiamo, e lo sapevamo anche prima: l’integrazione fiscale è uno dei motivi di tenuta dell’unione monetaria statunitense. Ce lo avevano detto fin dal 1991 Sala-i-Martin e Sachs, dai cui studi risulta che negli Usa il bilancio federale compensa in media per più di un terzo, mediante riduzioni di imposte o aumenti di trasferimenti, gli shock avversi ai redditi individuali, contribuendo così a bilanciare gli squilibri fra gli Stati dell’Unione. Ma meccanismi di questo tipo, che intervengano “a valle” degli squilibri, mancavano e mancano in Europa per un semplice motivo: anche essi sono politicamente improponibili, in un contesto condizionato dall’atteggiamento falsamente moralistico dei paesi del centro. Per la classe politica di questi paesi è ormai impossibile richiedere all’elettorato atteggiamenti cooperativi con chi finora è stato additato, per motivi di bottega politica interna, come responsabile della crisi: i fannulloni del Sud.

    Del resto, pensateci: se ci fosse una volontà politica di cooperare, questa potrebbe tradursi in pratica immediatamente, senza alcuna modifica istituzionale. Basterebbe che la Germania coordinasse le proprie politiche economiche con quelle degli altri paesi membri: un coordinamento che, del resto, è esplicitamente richiesto dal Trattato di Maastricht  (art. 3 e 103), ma che è stato regolarmente disatteso.”

    Ma soprattutto sottolineiamo, tratta dallo stesso articolo, una fondamentale questione di principio democratico sulla necessità di opporsi al MODO in cui ci stanno imponendo il processo di “integrazione monetaria europea”:

    “Ma ora ci viene detto dagli stessi autori del progetto europeo (uno per tutti: Jacques Attali) che questo percorso, quello suggerito dalla teoria economica, è stato accantonato di proposito, scegliendo la strada sbagliata sulla base della convinzione che solo spinti dall’urgenza dell’inevitabile crisi gli elettori europei si sarebbero risolti a fare la cosa giusta, il fatidico “più Europa”. Sta ora a questi elettori decidere se accettare o meno un simile ricatto, se avallare un metodo politico paternalistico che li costringe ad affrontare riforme politiche di ampia portata e di lungo periodo sotto la mannaia dello spread e nell’urgenza di una crisi economica globale. Sarebbe follia, se non vi fosse in essa il metodo che i suoi autori confessano.

    E allora, forse, la conclusione è che la cosa più onesta e meno distruttiva da fare è riconoscere l’errore, pagare per esso, sopportando i costi dell’uscita dall’euro, per poi eventualmente riprendere su basi più corrette il percorso verso di esso. Posto che se ne abbia nostalgia.”

     

     


     

     

    [3] Si potrebbe obiettare che questo porta alla “mezzogiornificazione” dei Paesi in disavanzo: i Paesi in avanzo dovrebbero essere invece spinti ad aumentare i propri salari (e di conseguenza l'inflazione) per ribilanciare export e import. Questo è vero in linea di principio, ma in pratica proporre alla Germania di aumentare la sua inflazione è pura utopia. L'inflazione, in Germania, è un tabù enorme, e non solo per il ricordo di Weimar, ma anche e soprattutto perché la classe dirigente tedesca ha convinto il popolo che il contenimento dell'inflazione costituisca il più potente strumento di "competizione" interna all'Unione. Ammesso che la Germania si decida a collaborare, potrebbe convincere i suoi cittadini della necessità di sopportare contributi e trasferimenti, non certo della necessità di accettare una maggior livello di inflazione (almeno in una fase iniziale). In ogni caso, trasferimenti perequativi esistono in tutte le realtà nazionali (in Italia, fra regioni e comuni; negli USA, fra Stati; in Germania, fra i Länder tedeschi; etc. etc.).

    [4] Non illudiamoci: i soldi per salvare il sistema bancario privato li tireranno fuori dalle nostre tasche, in un modo o nell'altro. Tanto vale pretendere, almeno, che in cambio di quei soldi lo Stato ne acquisisca il controllo.

     

    [12] “Le prime fasi di pianificazione per una uscita dall’euro dovrebbero essere condotte in segreto, anche se sarà difficile mantenere il segreto a lungo. I controlli sui capitali e misure analoghe dovranno essere attuati abbastanza presto nella fase di preparazione, al fine di limitare i disagi che potrebbero essere causati dalla divulgazione dei piani di uscita. Una volta che tali misure sono in atto, i piani di uscita dovrebbero essere attuati rapidamente."

     

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