La risposta di Epic (Economia per i cittadini)
Analisi della situazione economica
A poco più di un decennio dalla sua introduzione,
l’euro presenta un bilancio disastroso. Lungi dall’aver contribuito alla convergenza
delle 17 economie dell’eurozona, o tantomeno averne accelerato una unione politica,
la moneta unica ha amplificato gli squilibri macroeconomici dell’area Euro,
portando ad un sostanziale peggioramento
del tenore di vita prevalentemente dei cittadini dell’Europa meridionale.
La rottura del trait d’union fra il Tesoro di ogni
Paese membro e la sua Banca Centrale (e quindi la mancanza del legame stesso
con la BCE) ha portato le politiche fiscali dei Paesi ad essere interamente
determinate dalle decisioni di portafoglio degli istituti finanziari che
intervengono sul mercato primario (Mosler, 1998), dal momento che il fabbisogno
dei governi non può essere coperto in via residuale da moneta della Banca
Centrale.
Ne consegue che, in
mancanza di interventi difensivi da parte della BCE, la sfiducia degli investitori nei titoli di Stato di alcuni Paesi può
determinare un incremento del rischio di insolvenza per i Paesi stessi, i
quali hanno a disposizione esclusivamente la possibilità di offrire rendimenti
superiori ai mercati di capitali. La famigerata impennata dello spread
nelle battute finali dell’anno 2011 è stata innescata proprio da questo
meccanismo.
Figura 2: L’impennata dello spread fra BOT italiani e BUND tedeschi
nel 2011
(fonte: http://maxsomagazine.blogspot.it/2012/01/landamento-dello-spread-nel-2011.html).
La perdita della sovranità monetaria per i Paesi membri non
li espone soltanto al pericolo della crescita esponenziale dei rendimenti
pagati sulle proprie obbligazioni, ma li vincola al perseguimento di politiche economiche disgiunte da obiettivi
sociali. Ne sono un esempio le procedure di riduzione del rapporto
debito/PIL operate mediante tagli alla
spesa pubblica, aumenti della pressione fiscale ed eventuali dismissioni del
patrimonio pubblico; con la speranza di incrementare la fiducia degli
investitori stessi nella solvibilità del Paese, la quale si pone
necessariamente come massima priorità per qualunque governo nazionale.
Ciò provoca un totale
congelamento delle funzioni della politica fiscale; l’impossibilità di
effettuare piani d’investimenti pubblici o di detassare redditi d’impresa e da
lavoro; la continua riduzione dei fondi a disposizione di tutti i sistemi di
erogazione dei servizi pubblici (come sanità ed istruzione). In conclusione, la struttura dell’Unione Monetaria Europea
non permette ai paesi membri di rispondere in maniera anti-ciclica alle crisi
periodiche della domanda, incrementando una spirale deflattiva di cui stiamo
vedendo le conseguenze.
Un’altra importante
criticità dell’architettura monetaria dell’Eurozona è rappresentata dalla cessione della gestione della politica
monetaria da parte delle Banche Centrali nazionali alla Banca Centrale Europea.
Una gestione discrezionale dei tassi di cambio da parte dei Paesi europei
potrebbe essere utilizzata dagli stessi in reazione a shock asimmetrici, per
evitare che essi si scarichino sui redditi ed eventualmente dare impulso alla
competitività esterna senza penalizzare fortemente i salari.
Figura 3: Saldi della bilancia commerciale dei principali Paesi membri
in % del PIL al 1997 (fonte: S. Bell Kelton)
Figura 4: Saldi della bilancia commerciale dei principali Paesi membri in % del
PIL al 2001 (fonte: S. Bell Kelton).
Figura
5: Saldi della bilancia commerciale dei principali Paesi membri in % del PIL al
2002 (fonte: S. Bell Kelton).
Figura
6: Saldi della bilancia commerciale dei principali Paesi membri in % del PIL al
2011 (fonte: S. Bell Kelton)
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Al
contrario, le istituzioni economiche
europee hanno indotto i Paesi membri a praticare politiche di deflazione
salariale per favorire la competitività, premiando chi, come la Germania, è riuscito a far crescere i
salari meno velocemente rispetto alla crescita della produttività[1].
Venuto meno lo strumento della
svalutazione monetaria per i Paesi della “periferia”, tale meccanismo di
abbattimento dei costi industriali ha garantito ai Paesi del “centro” una
condizione persistente di esportatori netti.
Figura 7: L’andamento dei salari reali europei (prezzi del 2000).
Fonte: OECD.
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Ciò
ha quindi generato incrementi della
disoccupazione in tutta l’area euro (Germania esclusa), come mostra il
seguente grafico:
Figura 8: L’andamento del tasso di disoccupazione in Europa e
successive previsioni operate dal Fondo Monetario Internazionale.
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Di conseguenza, vi è
stata una contrazione della produzione
industriale che non ha però coinvolto la Germania (se si escludono gli
effetti della crisi dei mutui subprime
USA), come indicato dalla Figura 9:
Figura 9: Produzione industriale nell’Area dell’euro (fonte: ISTAT ed
EUROSTAT).
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Il fatto che la stessa
Germania sia quasi esclusa da ogni accadimento precedentemente descritto,
deriva dal forte impulso che hanno avuto
le sue esportazioni nette all’interno dell’area euro.
L’andamento dei Key Performance
Indicators restando nell’UME
Ciò che accadrebbe ai
vari KPI (Key Performance Indicators) non
è di semplice determinazione, ma dato il trend
delineato nelle figure precedenti, non c’è da ritenere che questo possa
migliorare, alla luce, soprattutto, dell’aggravarsi delle situazioni debitorie
dei vari paesi del sud dell’Unione Europea (PIIGS) nei confronti di quelli del
nord Europa, che hanno rappresentato, e rappresentano, gran parte dei saldi
positivi delle bilance dei pagamenti di quest’ultimi.
- Debito Pubblico. Le ultime previsioni
governative, datate 10 aprile 2013, rivedono al rialzo la stima circa il
livello del debito pubblico nel 2013, che si attesterebbe sul 130.4% del PIL,
mentre forniscono un dato del 129% del PIL per il 2014, contro la precedente
stima del 123.1%.[2]
-
Debito Privato. Peggioramento in
funzione della necessità di sopperire a diminuzioni del risparmio privato,
causate da prelievi fiscali crescenti e dismissioni di beni pubblici[3].
- Welfare, istruzione e sanità: data la minor
presenza dello Stato nell’economia, queste dimensioni sono le prime a
risentirne in maniera tangibile. Del resto, ricordando le parole di Mario
Draghi, presidente della BCE e probabilmente fra i policy makers più influenti
d’Europa, il Welfare State è “superato”[4].
-
Spesa pubblica: la componente
prevalente delle uscite pubbliche, ovvero la spesa in salari, è destinata ad
essere compressa, mentre potrebbe aumentare la spesa dovuta agli interessi
crescenti qualora vi fosse una crisi debitoria simile a quella avvenuta nel
2011.
-
Bilancia commerciale: a causa del crollo
delle importazioni, dovuto al collasso della domanda interna, e l’incremento
atteso della domanda esterna dei Paesi extra-UE, le istituzioni europee
prevedono un assottigliamento del deficit di partite correnti, con una
sostanziale tensione verso il pareggio.
- Inflazione: a causa degli
aumenti nel prezzo del petrolio e degli incrementi della tassazione, l’indice
dei prezzi al consumo è aumentato nel corso del 2012, ma per la fine del 2013
si prevede un calo del tasso d’inflazione fino al 1.5%.
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Occupazione: il crollo continuato
della domanda aggregata non può che continuare a deprimere la capacità delle
imprese di assumere. Secondo le ultime previsioni OCSE[5], per il 2014
è previsto un aumento del tasso di disoccupazione fino all’11.8%; e una
variazone del -0.4% del tasso di occupati.
-
Green economy: data la depressione
in cui la domanda aggregata verrà ancor di più spinta, i mercati emergenti,
come quello relativamente nuovo della green economy, potrebbero subire gli
effetti nefasti una seria bolla speculativa, che ne rigonfierebbe i prezzi
generando perdite per gli investitori (tra cui anche potenziali risparmiatori)
aggravando ulteriormente la situazione delle famiglie italiane.
-
Democrazia: ....? Dopo il caso
Napolitano, e i vari trattati sovranazionali che stuprano la costituzione
nazionale, non riteniamo si possa ancora
parlare di democrazia nei paesi dell’area euro, ricordando, infine, che,
così come dice il prof. Alain Parguez sopracitato, l’euro altro non è che una moneta che serve ad instaurare un nuovo
ordine totalitarista ed aristocratico in Europa.
La nostra risposta
Dovendo, quindi,
rispondere al punto 1) tra quelli richiesti dalla committenza “Movimento 5
Stelle”, riteniamo che sia evidente e indiscutibile l’impercorribilità della strada che mantenga il nostro Paese
all’interno della moneta unica europea (€).
[3] “la diminuzione di spesa
pubblica comporta minor risparmio privato”, W. Mitchell, Teoria dei profitti di
Kalecki.
Fonte: http://bilbo.economicoutlook.net/blog/?p=12003.
[5] OECD Economic Outlook, Volume 2012 Issue 2 - No. 92
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