Uno dei maggiori problemi legati all’uscita dall’euro è l’inesistenza di un percorso giuridico da intraprendere per realizzarla: un elemento scientemente omesso dai padri della moneta unica al fine di impedire la rottura dell’unione monetaria, come chiaramente ammesso da Jacques Attali
[5]. L’articolo 50 del Trattato di Lisbona sopra citato, infatti, consente l’uscita unilaterale dall’Unione Europea, ma non esiste alcun articolo che preveda l’uscita di uno Stato dall’euro. Pertanto il recesso dalla moneta unica deve necessariamente configurarsi come
un atto unilaterale del Paese. A maggior ragione, per i Paesi PIIGS è necessario delineare un’efficace “exit strategy” dalla moneta unica. È fondamentale, come si diceva sopra, che un’ipotesi di recesso dall’eurozona sia accuratamente pianificata in tutti i suoi punti, onde evitare esiti disordinati e disastrosi per la nostra economia già pesantemente indebolita. Tale “exit strategy” prevede le seguenti tappe e criticità: ● il governo italiano, disattendendo il Trattato di Maastricht e tutte le altre norme collegate all’istituzione dell’euro, dovrebbe innanzitutto ridenominare la sua spesa e il suo gettito fiscale nell’unità di conto che definiremo “newlira”. ● Secondo molti commentatori, una simile eventualità decreterebbe al contempo un crollo dell’unione monetaria in toto, siglando la fine dell’euro. Le istituzioni centrali che governano la circolazione della valuta, in primis il Sistema Europeo delle Banche Centrali, sarebbero destinate allo scioglimento e gli istituti creditizi nazionali dei 17 Paesi membri tornerebbero ad utilizzare un’unità di conto propria. In tal caso, il problema principale che il nuovo governo dovrebbe fronteggiare sarebbe costituito dall’insieme dei contratti denominati in euro, che non essendo più legato ad istituzioni di governo subirebbe un crollo pesante del suo valore: come ad esempio rapporti debitori, prestiti e mutui bancari, titoli obbligazionari ed azionari. La strada più efficace potrebbe essere allora l’utilizzo della Lex Monetae, ovvero una ridenominazione statale dei contratti esistenti nella nuova unità di conto. La ridenominazione in newlire delle imposizioni fiscali innescherebbe naturalmente una domanda minima di moneta nazionale che il sistema bancario troverebbe comunque profittevole da soddisfare mediante prestiti. ● Nel caso in cui invece il recesso dell’Italia dall’Eurozona non comportasse la rottura dell’unione monetaria, che continuerebbe ad esistere e ad essere governata dalle sue istituzioni centrali, il nuovo governo dovrebbe affrontare una situazione diversa. In questo caso potrebbe essere più efficace la proposta avanzata da Warren Mosler, secondo la quale i contratti ed i depositi denominati in euro non dovrebbero essere convertiti forzosamente nella nuova valuta, ma si potrebbe lasciare ciò alla discrezionalità dei singoli. ● Un altro problema è legato alle potenziali fughe di capitali che potrebbero verificarsi in seguito all’uscita: anche in questo caso a determinare il fenomeno sarebbero i timori di unasvalutazione eccessiva della moneta, magari aggravata da una trasmissione di questi effetti alle dinamiche inflattive (ciò che viene comunemente definito pass through dalla letteratura economica). Una crescita dell’inflazione, erodendo il valore della moneta tesaurizzata ancor più velocemente rispetto al valore della moneta circolante, incentiverebbe i correntisti, i risparmiatori e gli investitori a preferire altre valute. Analisi empiriche mostrano come in realtà i Paesi europei siano molto meno soggetti all’insorgere di questo fenomeno - di cui invece soffrono, per varie ragioni, molti Paesi emergenti - e che in realtà per essi la determinante principale dell’inflazione di un dato periodo di tempo sia costituita dall’inflazione rilevata nel periodo precedente. Pertanto, l’idea comunemente suggerita dai media secondo cui una svalutazione di un’ipotetica moneta nazionale porterebbe ad un’automatica esplosione dell’inflazione appare improbabile.
[1] http://arjelle.altervista.org/Economiaascuola/mes/fiscalcompact_microsintesi.htm
[3] “Adottando l'Euro, l'Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera, con tutti i danni che ciò im plica” afferma Paul Krugman, Premio Nobel 2008 per l'Economia; ed è un’affermazione che condividiamo in pieno, dalla quale non ricaviamo certo l’impressione di dover proseguire su questa strada trovando tutti gli escamotage possibili per riuscirci.
[4]
http://www.ilmessaggero.it/abruzzo/terremoto_bruxelles_aquila_ue/notizie/297042.shtml
Ingeborg Grassle, componente dell'ufficio di presidenza del gruppo Ppe, presidente dell'audizione, ha chiuso i lavori così: "La ricostruzione dell'Aquila è un compito nazionale dell'Italia. Non esiste un diritto alla ricostruzione a livello europeo. Il problema è grave ma lo dovete risolvere voi".
[5] http://tuttouno.blogspot.it/2012/03/attali-abbiamo-minuziosmente.html
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