COSA SUCCEDE SE L'ITALIA ESCE DALL'EURO?

 

1. Premessa: come uscirne

 

Contrariamente all’opinione diffusa dai media, il recesso dall’eurozona appare come la scelta ottimale per il Paese non appena si dovesse constatare il rifiuto dei paesi partner a implementare le radicali riforme alle Istituzioni ed alle regole dell'Unione Europea che sarebbero necessarie per rendere desiderabile la nostra permanenza nell'eurozona: ed il rifiuto è pressoché scontato. Ragioni economiche e politiche impellenti inducono a dover pensare al più presto ad una exit strategy, come suggerito dalle analisi di Emiliano Brancaccio[1] e Alberto Bagnai[2].

Il processo di uscita dalla moneta unica può essere realizzato con varie modalità, la cui analisi, in vista della selezione dell’alternativa migliore, non è operazione da sottovalutare. Esiste in teoria il modo di uscire dall’euro in modo legale e senza troppi danni, da noi descritto in questo documento: si tratterebbe della modalità a nostro parere ottimale; poiché però è altamente improbabile che l'Unione Europea ci consenta di metterla in atto, abbiamo sommariamente descritto anche il processo da seguire nel caso in cui si rendesse inevitabile, per cause di forza maggiore, un’uscita unilaterale dall’euro.
Lo stato della questione, per quanto riguarda le "exit strategy" da noi valutate, è riassunto nel suddetto documento; la strategia proposta dal gruppo Epic è invece leggibile qui.

 

2. I vantaggi derivanti dall'uscita dall'euro

 

A nostro parere i vantaggi derivanti dall’uscita dal’euro sono quelli correttamente identificati dagli economisti post-keynesiani, ovvero il riappropriarsi delle leve di politica monetaria e fiscale, la possibilità dello Stato di dirigere l’economia e di regolamentare il sistema economico reale e finanziario.

  • In particolare, la riconquista della sovranità monetaria consentirebbe allo Stato italiano di recuperare la possibilità di spendere in deficit, eliminando l’ostacolo costituito dalla necessità di approvvigionarsi del denaro mediante l’imposizione di tasse o la vendita di titoli di Stato sui mercati.
    Oggi infatti, in quanto utilizzatori e non emissori di valuta, per ogni centesimo che spendiamo dobbiamo contrarre prestiti coi mercati dei capitali, cioè con istituti finanziari, fondi pensione, assicurazioni, banche, fondi sovrani stranieri, governi stranieri, persino individui, i quali però decidono i tassi d’interesse a loro vantaggio, strangolandoci. Questo stravolge la funzione che hanno i titoli di Stato in una situazione di sovranità monetaria (in cui essi fungono in pratica da “libretti di risparmio” e servono a sostenere i tassi d’interesse bancari).
    E' evidente che, in queste condizioni, lo Stato non dispone più liberamente del denaro ed è costretto al pareggio di bilancio, se non addirittura al surplus: a causa degli interessi sul prestito, infatti, il suo debito pubblico tende ad aumentare vertiginosamente, ed è un vero debito, contratto con terze persone; di qui la necessità per gli Stati dell'Unione Europea di mantenere il rapporto deficit/PIL al di sotto dei cosiddetti "parametri di Maastricht" imposti a tutte le nazioni dell'Eurozona.
    Tuttavia è sufficiente un po’ di matematica elementare per comprendere l’assurdità dell’austerità e dei tagli alla spesa pubblica come mezzo per conseguire tale obiettivo[3]. Il rapporto deficit/PIL è il risultato di una frazione e non fa eccezione alla regola di tutte le frazioni: per far diminuire il rapporto posso diminuire il numeratore (la spesa in deficit) oppure aumentare il denominatore (il prodotto interno lordo o PIL). Con il pareggio di bilancio si "congela" il numeratore (la spesa in deficit), con lo scopo di mantenere il più basso possibile questo rapporto. Ma se si blocca il numeratore e si fa diminuire il denominatore (il prodotto interno lordo o PIL), perché l'economia è sempre più in crisi a causa delle tasse e della diminuzione dei consumi, che succede? Succede che il rapporto aumenta, invece di diminuire.
    Nulla è più rovinoso delle politiche di austerity in caso di crisi economiche: esse infatti agiscono prociclicamente, assecondando la crisi e peggiorandola in modo drammatico.
    Per liberarsi da questo circolo vizioso di assurdità, non c’è altro modo che reimpossessarsi del controllo dell’emissione della valuta e della possibilità di spendere in deficit. Si pensi alle terribili devastazioni prodotte dai cataclismi naturali che hanno colpito recentemente la Louisiana e il Giappone: in poco più di un anno e mezzo gli Stati Uniti e il Giappone, grazie alla possibilità di spendere in deficit, hanno ricostruito tutto ciò che era stato distrutto[4], mentre noi italiani, a quasi quattro anni dal terremoto, stiamo ancora contemplando le rovine di una città meravigliosa come L'Aquila, che non verrà mai più ricostruita finché rimarremo nella logica dell'austerity.
  • L’obiettivo prioritario della spesa in deficit dovrà essere il raggiungimento della piena occupazione; come già specificato in precedenza, tale obiettivo sarà da conseguire in settori produttivi ecocompatibili.
    Per quanto siamo favorevoli all’implementazione di programmi di “Job Guarantee” (il progetto è dettagliatamente illustrato nel capitolo 8.2.b del documento di Epic, al quale si rimanda), riteniamo tuttavia che oggi, con una disoccupazione a livelli drammatici e un PIL moribondo, ci sia bisogno prima di investimenti produttivi che creino lavoro pieno, retribuito in maniera completa e non al minimo salariale, soprattutto considerando che i livelli attuali rappresentano già una forma di sfruttamento che non intendiamo avallare.
    Per passare dal quasi 12% di disoccupazione al 2-4%, realtà in cui il JG ci sembra meglio inserito, vogliamo che prima lo Stato spenda, monetizzando, per finanziare veri e propri investimenti produttivi in una serie di settori importanti, quali potrebbero essere, ad esempio:

- miglioramento e efficientamento delle infrastrutture per i trasporti;

- realizzazione capillare delle infrastrutture digitali. L’ottica dev’essere quella di ridurre il “digital divide” che ci separa dal resto dei partner europei;

- produzione diffusa di energia pulita, con una rete in grado di sfruttarla. Serve un vero piano energetico nazionale pluriennale;

- ristrutturazione del patrimonio immobiliare per garantire efficientamento energetico e sicurezza sismica;

- messa in sicurezza idrogeologica del territorio;

- recupero e valorizzazione del patrimonio artistico storico, culturale e paesaggistico per il rilancio del turismo di qualità;

- ristrutturazione del modello produttivo nell'agroalimentare e zootecnico, per smantellare monopoli ed oligopoli legati all'industria chimico/petrolifera e favorire la produzione a ciclo integrato di cibo “naturale” in fattorie a dimensione contenuta e sostenibile, da contrapporre al cibo “industriale”;

- ristrutturazione e limitazione della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) per limitare la dipendenza dai prodotti delle multinazionali e sostituirla con mercati e negozi specializzati nella distribuzione di prodotti del tessuto locale.

  • Ritornare alla sovranità monetaria ci consentirebbe poi di liberarci di un falso problema e di un falso target perseguito strumentalmente dal governo Monti e fatto proprio anche dal suo gemello, l’attuale esecutivo Letta: il debito pubblico. Non ci sembra che sia ben chiaro ai nostri connazionali che le manovre poste in atto con il pretesto di diminuire il debito pubblico hanno in realtà lo scopo di “estrarre dai cittadini italiani risorse da veicolare verso le banche del Nord onde consentirne il risanamento”, come afferma Alberto Bagnai, il quale commenta con amara ironia: “missione compiuta, e intanto il debito pubblico italiano è cresciuto e l’Italia ha avuto la performance peggiore dell’Eurozona”. Tuttavia il Rapporto sulla Sostenibilità Fiscale della Commissione Europea afferma che il debito pubblico italiano non è un problema, anche se “rischia di diventarlo se ci si continuerà ad avvitare sulla strada delle politiche di austerità suicida, che distruggono reddito e gettito fiscale. Ma tutti gli studi sull’uscita dall’euro concordano sul fatto che un default in Italia non sarebbe necessario, dato il forte avanzo primario dei conti pubblici e la forte propensione al risparmio delle famiglie.”[5]
  • Con il ritorno ai cambi flessibili e la prevedibile svalutazione della lira, inoltre, si risolverebbero i problemi relativi al cambio reale, che tornerebbe aderente ai fondamentali della nostra economia, scoraggiando le importazioni ed incoraggiando la produzione interna e le esportazioni.

Dissentiamo dalla prospettiva MMT in particolare su un punto: con qualunque scenario, riteniamo preferibile una ridenominazione d’imperio di tutti i depositi e contratti in essere in lire, seppur consapevoli delle difficoltà tecniche ed economiche che ciò potrebbe comportare. Questo per evitare opportunità speculative favorite dal corso legale di due valute. Ad esempio potrebbe venire a crearsi un sistema di “doppi prezzi”: uno in euro “a sconto” rispetto ai prezzi in lire, poiché chi vende vorrà essere pagato in moneta forte e chi acquista vorrà pagare in moneta debole. Questo potrebbe portare anche a una doppia inflazione, più alta nei prezzi in lire rispetto che nei prezzi in euro, andando a sfavorire chi percepisce i propri redditi in lire (ad esempio i dipendenti e i pensionati).

 

3. Le criticità connesse con l'uscita dall'euro ed il modo di affrontarle

 

Per quanto riguarda le altre criticità, riteniamo di dover evidenziare le seguenti:

 

1) Ridenominazione dei debiti

Ai debiti si applicano gli articoli 1277 e 1278 del codice civile. I debiti contratti in Italia (a prescindere se con controparte estera o italiana) verranno convertiti in lire, con tasso di cambio 1:1 onde evitare abusi. Come consente l'articolo 1281 C.C., occorrerà una legge speciale che stabilisca che il tasso di cambio con cui riconvertire i debiti è quello del giorno del changeover, e non quello della scadenza del debito. I debiti contratti all'estero rimarranno in euro (ammesso che l'euro sopravviva, altrimenti verranno denominati nella nuova valuta dello Stato), salvo differenti accordi bilaterali tra Italia e Paese in questione.

Il capitale di proprietà della Banca Centrale nazionale presso la Banca Centrale europea e le riserve sotto qualsiasi forma (oro, valute estere, eccetera) depositate presso la BCE vengono ritirati o ‘comprati’ dalle altre Banche centrali a saldo (o acconto) di qualsiasi altro debito accumulato (attraverso il sistema Target2) dalla Banca Centrale nazionale verso le altre Banche centrali che formano il SEBC.

Problemi rilevanti potrebbero crearsi a causa del debito PRIVATO di diritto estero (che rimarrebbe denominato in euro), una percentuale piuttosto rilevante secondo uno studio della banca giapponese Nomura[6], mentre il debito pubblico di diritto estero è una quota abbastanza irrelevante (circa il 4%), e pertanto non dovrebbe causare problemi di rimborso.

Come riconoscere i soggetti domestici da quelli esteri? Molti investitori (retail e istituzionali) domestici hanno sottoscritto quote di organismi di investimento collettivo del risparmio di diritto estero che nei portafogli hanno BTP: come opererebbe la conversione per questi soggetti? E come far fronte alle eventuali perdite di valore che questi sopporterebbero?

Si può pensare a una garanzia statale sulle perdite subite dai piccoli investitori. Esempio: è ammessa una perdita max del 10% sul valore della quota, il resto lo rimborsa lo Stato direttamente al piccolo risparmiatore. Per gli investitori istituzionali che necessitassero di aiuti statali, si potrebbe pensare a programmi di sostegno in cambio di azioni della società richiedente.

 

2) Processo di aggiustamento del cambio

E’ necessario per recuperare il differenziale di inflazione nei confronti dei paesi "core" di circa il 20-25%. Questo processo NON deve essere lasciato totalmente nelle mani dei mercati finanziari. Dovrebbe invece essere "gestito" in maniera da evitare incertezze, rischi e fluttuazioni non necessarie.  La conversione iniziale fra nuova lira ed euro può essere fatta 1 a 1, sia per facilità di calcolo, sia per evitare successive manovre sui prezzi interni. Immediatamente dopo, viene pilotato l’indebolimento della nuova lira per portarla verso la nuova parità di circa 1,20 lire per 1 euro, mediante acquisto di valute estere da parte della banca centrale. La stabilità dei prezzi sia esterni che interni viene successivamente garantita dall’obiettivo di pareggio nella bilancia commerciale; il controllo sui movimenti dei capitali; il controllo sui prezzi interni.

 

3) Tutela delle aziende nazionali

A questo punto il cambio, dopo il changeover, a partire dal giorno T+1 inizia a deprezzarsi. Quindi i nostri asset sono potenzialmente preda di capitali stranieri. I nostri asset sarebbero ancora più in saldo denominati in lire, con rapporti di cambio svalutati.

Occorre prevedere una rilevante tassa sulle acquisizioni, in modo da scoraggiare gli investitori esteri dall’acquisire le aziende nazionali (ovviamente temporanea, diciamo 12-24 mesi). Comunque per acquisire un'impresa si guarda alla redditività futura (o al valore del marchio): se i redditi futuri sono in lire svalutate l’acquisizione sarà meno conveniente. Adesso sì che il rischio esiste, ed è serissimo: i prezzi sono stracciati e c'è l'euro che protegge dalla svalutazione: cosa c'è di meglio per un acquirente estero?

 

4) Costituzione di un complesso di banche nazionali

A questo proposito, una delle prime cose da fare, usciti dall'UE, è quella di ricostruire un forte complesso di banche nazionali, controllate dallo Stato e saldamente dedite al finanziamento dell'economia reale. L'idea di una nuova IRI, per coprire i settori strategici nei quali ci siamo fortemente indeboliti, completerebbe il quadro.

 

5) Risanamento del nostro tessuto industriale

Il nostro settore industriale è il fantasma di quello che era 10-15 anni fa: noi ora siamo sulla strada per regredire al livello di Paese in via di sviluppo, specialmente in molti settori strategici (come le energie rinnovabili). Però abbiamo ancora qualche industria di valore e moltissime PMI, che hanno bisogno solo di domanda e di liquidità per ripartire. Politiche che agiscono dal solo lato dell’offerta, come quelle proposte dalla vulgata mainstream odierna, non avranno alcun effetto.

 

6) Programmi di occupazione

Come detto sopra, vediamo con favore il programma JG (Job Guarantee, "Lavoro garantito") della Modern Money Theory (MMT) a regime, una volta che l'occupazione primaria sia tornata a livelli più umani. In una fase iniziale, però, riteniamo necessaria una terapia d'urto per assorbire i 5,9 milioni di inoccupati: davvero troppi.
Andrebbero finanziati programmi specifici di investimenti in diversi settori in grado di creare lavoro a pieno titolo, ma anche beni e servizi vendibili, sia sul mercato interno che estero. Tali programmi, essendo produttivi, influirebbero sull'inflazione in maniera contenuta anche se fossero interamente finanziati con emissione monetaria. Potrebbero prevedere finanziamenti a fondo perduto - o comunque molto agevolati - sia a favore di aziende private (soprattutto se di piccole dimensioni) sia per la costituzione di grosse aziende pubbliche in settori strategici (vedi sotto).

Poniamo l’accento sul tema vista la proposta di reddito di cittadinanza del Movimento: attenzione, sarebbe meglio trasformarla in un programma di Lavoro Garantito (Job Guarantee), mantenendo un reddito/sussidio solo per categorie sociali che non l’avrebbero comunque, come artisti e uomini di cultura di vario genere, che danno un alto valore aggiunto alla società e alla cultura del paese, non monetizzabile. Estendendolo a tutti i disoccupati, avremmo pericolosi effetti sociali e inflazionistici, che ora sono il problema numero uno dell’Argentina, che ci ha preceduti su questa strada.

 

7) Limitazione dei movimenti dei capitali

L'eventuale uscita dall'euro dovrà essere una decisione presa nel minor tempo possibile (sicuramente per decreto legge). Eventuali concertazioni preliminari a livello europeo dovranno rimanere il più possibile "segrete" per evitare speculazioni sui mercati finanziari[7]. Subito dopo l'annuncio dell'uscita dovranno essere limitati il più possibile i movimenti internazionali di capitale, almeno finché il tasso di cambio non si sia stabilizzato.

Un week-end non basterebbe, considerati i problemi informatici, l'enorme mole di transazioni da convertire e la attuale impreparazione del sistema. L'italia non è Cipro e Cipro non è uscita dall'euro, e ciononostante la situazione cipriota è tuttora di allarme rosso: i media vogliono farci credere che le banche sono rimaste chiuse “solo” una settimana, ma  le banche cipriote sono di fatto ancora chiuse: le uniche operazioni possibili attualmente sono versamenti e prelievi con un rigidissimo limite giornaliero. In pratica sono solo dei Bancomat, e il governo ha spostato la data di effettiva riapertura a dopo l'estate[8]. Se necessario, pertanto, le terremo chiuse più a lungo.

Comunque, se il cambio di partenza è 1:1, non dovrebbe essere così problematico riprogrammare i sistemi. E se ci dovesse volere più tempo, faremo alla cipriota: banche chiuse a oltranza, prelievi ammessi fino a un certo limite giornaliero. L’ha fatto la troika, lo faremo anche noi.

 

8) Conio e stampa delle nuove banconote

Alcune proposte:

  • stampare le banconote prima dell'annuncio di uscita;
  • "segnare" gli euro italiani che verranno cambiati in lire con il cambio 1:1 (probabilmente una proposta difficilmente attuabile);
  • limitare il più possibile i pagamenti con circolante finché non sono pronte le nuove banconote, utilizzando gli euro solo per i pagamenti di piccolo e piccolissimo importo. Il resto delle transazioni sarà regolato in moneta elettronica (in nuove lire). Questo periodo dovrebbe essere limitato il più possibile per evitare "assalti agli sportelli" alle banche che non potranno restituire il denaro dei correntisti.

L'annuncio andrebbe dato di venerdì sera, o comunque a mercati e banche chiusi, impedendo di ritirare dagli sportelli Bancomat fino al giorno di riapertura dei mercati, purché si abbiano già pronte le nuove banconote da far circolare; in caso contrario occorrerebbe limitare i prelievi.

 

9) Defiscalizzazione per le materie prime che risentiranno della svalutazione del tasso di cambio

Per reperire le risorse fiscali necessarie per questa manovra si dovrebbe obbligare quanto prima la Banca d'Italia ad operare nuovamente come acquirente residuale sui titoli di Stato. In alternativa si potrebbe utilizzare spesa pubblica in deficit.

 

10) Rapporti con l'Unione Europea

Non dipende da noi, ma dalle “dimenticanze” dei padri fondatori dell’UE[9], il fatto che l’uscita dall’eurozona comporti necessariamente l'uscita dall'UE: se fosse possibile scegliere, molti di noi preferirebbero “rimanere in Europa” facendo a meno dell’euro, come del resto ha scelto di fare la Gran Bretagna (a tale proposito facciamo notare come ciò configuri una evidente violazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione[10]). Ma poiché questo, non per colpa nostra, non è possibile, e tutto quello che abbiamo è la clausola di recesso inserita nell’articolo 50 del Trattato di Lisbona (si veda il punto 2.III del presente documento), l’unica strada percorribile è l’uscita dall’UE.

Del resto giudichiamo le regole dell’Unione Europea, allo stato attuale delle cose, francamente insensate: solo una volta fuori da obblighi di obbedienza a simili vincoli assurdi i popoli europei potranno e dovranno intraprendere la strada della cooperazione e della solidarietà, piuttosto che della competitività e dell'austerità. Potremmo anzi farci promotori di una nuova comunità europea, fondata sull'external compact (intra ed extra comunità) e sulla solidarietà, non sull'export (intra-zona) e sulla competitività.

Potranno essere mantenute le norme sulla libera circolazione dei capitali e delle merci? Certamente no: dovranno essere protetti alcuni settori che DEVONO svilupparsi, pena la nostra sicura arretratezza tecnologica nel futuro prossimo (abbiamo già fatto l’esempio delle energie rinnovabili). Ricordiamo che uno dei limiti principali dell'Unione Europea è quello di averci imposto i dogmi del neoliberismo: libertà assoluta di movimento di capitali e merci. Il commercio internazionale è utile e necessario, e l'Italia ha una struttura produttiva profondamente inserita in questo scambio multilaterale. Comunque sia, è sicuramente opportuno rivedere profondamente le regole della competizione. Deve essere svolta sulla base di parità:

  • a parità di strutture di costo del lavoro e di rispetto delle esigenze ambientali e sociali, la competizione può effettivamente selezionare i "migliori" produttori;
  • senza quelle condizioni, la competizione selvaggia seleziona solo i modelli produttivi che riescono a sfruttare più pesantemente il lavoro e l'ambiente, negando la fondamentale responsabilità sociale che l'impresa deve assolutamente tornare ad avere.

 

11) Abolizione del divorzio banca d'Italia-Repubblica Italiana

La politica monetaria spetta allo Stato italiano. La Banca d'Italia dovrà tornare acquirente residuale dei titoli di Stato sul mercato primario, per calmierare il tasso d’interesse sul debito pubblico. Essa riavrà i suoi obiettivi ante-euro: stabilità e vigilanza del sistema finanziario, prestatore di ultima istanza per lo Stato, controllo del livello dei prezzi, piena occupazione e vigilanza su eccessivi squilibri nel tasso di cambio.

Si dà per scontato un passaggio che invece è tutt'altro che ovvio, ed è eminentemente politico: il recupero della sovranità monetaria non implica automaticamente che lo Stato finanzi il deficit e il debito. Non vuole dire tornare in modo 'automatico' alla situazione preesistente al 1981. Allora il divorzio fu motivato anche dalla tendenza della classe di governo allo spreco del denaro pubblico o, peggio, dagli arricchimenti di detta classe, direttamente o indirettamente, scaricando sullo Stato tale pratica. Il problema non è banale. Vediamola dunque così:

  • tornare alla lira non assicura niente, né sovranità, né spesa in deficit, né possibilità di reintrodurre dazi su certi tipi di merci e su certe provenienze, né che lo Stato ritorni a dirigere bene e senza sprechi l'economia;
  • restare nell'euro assicura la progressiva cessione di sovranità (sia economica che democratica), il divieto assoluto di spesa in deficit (e l'obbligo di surplus), l'impossibilità di introdurre qualsivoglia forma di dazio che non sia stata decisa a livello UE, l'impossibilità di mettere in discussione le “quote” (la forma di protezionismo più dura) sui prodotti agricoli e in generale il divieto dello Stato di intervenire in economia.

 

12) Regolamentazione bancaria

La regolamentazione internazionale di Basilea 3[11] è sicuramente un passo in avanti, ma occorrerà ri-affiancare alla vigilanza prudenziale la vigilanza strutturale. Va reintrodotto l'obbligo per le banche italiane di investire una quota degli impieghi in titoli di Stato italiano (vincolo di portafoglio). Inoltre, va ESCLUSA CATEGORICAMENTE la possibilità di distribuire quote di utile dovute alla valutazione al fair value. Sarebbe auspicabile anche un ritorno alla vecchia legge bancaria, con divieto assoluto di effettuare servizi d’investimento[12] da parte delle banche commerciali, al massimo concedendo di effettuare solo le attività meno rischiose, nonché una severa legislazione in merito di conflitti d’interesse tra società finanziarie, soprattutto nei loro rapporti con i piccoli risparmiatori[13]. Ciò che era chiaro nel  1929, deve tornare chiaro oggi: l’attività bancaria, in virtù della sua importantissima funzione pubblica, deve essere strettamente regolamentata.[14] Siamo consapevoli della complessità della materia, che abbiamo trattato più diffusamente al Punto 2, paragrafo I, proposte 1 e 2, e nelle note 50,51 e 52 pag. 36 e sgg.  Rimandiamo la trattazione completa e relative proposte ad un successivo documento.

 

13) Bilancia delle partite correnti

Obiettivo economico dello stato deve essere il PAREGGIO della bilancia delle partite correnti, non l'accumulazione persistente di surplus.

 

14) Tassazione degli utili sul cambio

Eventuali "utili su cambi" dovuti a posizioni aperte nei 18-24 mesi antecedenti all'uscita verranno tassati. Non possiamo permettere agli speculatori “puri” di diventare ancora più  ricchi con il ritorno alla lira. Tale misura dovrà restare in vigore solo per un periodo di tempo ben definito (12-18 mesi).

Le posizioni aperte sui cambi sono posizioni di hedging delle imprese che magari si riforniscono in dollari e bloccano il prezzo. Una misura del genere potrebbe far saltare l’intero sistema finanziario. Molte imprese sono esposte tramite derivati sul cambio; poi, se un privato o una banca possiede titoli americani, come si opererebbe?

Occorre cercare dei discriminanti: tassa solo sulle persone fisiche, le società fiduciarie, sgr, sim e simili. Esclusione dalla tassa per le persone giuridiche che effettivamente fanno operazioni di hedging; e solitamente le imprese che hanno bisogno di determinati beni da pagare in dollari (o in generale in valuta straniera) fanno futures e contratti forward direttamente sul bene. Comunque la tassazione avverebbe solo al momento della vendita (se la posizione è stata aperta nei 18-24 mesi antecedenti all’uscita dall’eurozona). L’investitore può sempre tenerli in portafoglio per 12-18 mesi e lucrare il capital gain quando l’imposta non sarà più in vigore.

Cosa succede ai Credit Default Swaps su debiti italiani? La ridenominazione del debito è un “credit event” che farebbe scattare i CDS?

Questa è la lista dei credit event dei cds secondo l’ISDA: "The listed events are: reduction in the rate of interest or amount of principal payable (which would include a "haircut"); deferral of payment of interest or principal (which would include an extension of maturity of an outstanding obligation); subordination of the obligation; and change in the currency of payment to a currency that is not legal tender in a G7 country or a AAA-rated OECD country".

L’italia è un Paese del G-7, la lira sarebbe una valuta di un Paese del G-7: i CDS non dovrebbero attivarsi.

 

15) Meccanismi di protezione per i redditi fissi

Bisogna prevedere una misura protezionistica una tantum, per arrivare poi alla riattivazione della scala mobile o meccanismi d’indicizzazione simili, a protezione della quota salari. Gli effetti inflazionistici di simili misure sono un falso empirico clamoroso.

 

4. Previsioni economiche per il "post-exit"

 

Molti studi e simulazioni dello scenario di rottura dell’Eurosistema sono disponibili in rete. Citiamo ad esempio l’analisi di dettaglio del sito di divulgazione scenarieconomici.it[15], ma soprattutto il più autorevole studio dell’istituto Merryl-Lynch[16] basato sulla teoria dei giochi.

Non riportiamo in questo testo le loro conclusioni numeriche, perché dipendono fortemente dai modelli usati, e rientrano comunque nel campo delle speculazioni. Lo studio di scenarieconomici.it ad esempio ignora volutamente molte condizioni a contorno difficilmente predicibili, mentre la teoria dei giochi prevede il comportamento razionale degli operatori, sul quale ci sarebbe MOLTO da discutere in questa fase storica.  L’eventuale dissoluzione dell’eurosistema è un evento su cui non ha senso esprimersi al millimetro, ma riportiamo comunque le conclusioni macro sui Key Performance Indicators (KPI = parametri di valutazione) che abbiamo raggiunto.

  • Crescita del PIL: il PIL riprenderà a crescere  nel breve periodo grazie al rilancio delle esportazioni, dovuto alla svalutazione del tasso di cambio. Nel medio-lungo periodo saranno essenziali misure di politica economica atte a favorire lo sviluppo  e la sostenibilità della domanda interna. Le previsioni di Merryl Lynch, in caso di uscita ordinata dall’euro, sono ad esempio le seguenti. Come si nota dai dati, Italia e Irlanda sarebbero le nazioni a trarne maggiori vantaggi relativi, mentre la cosa sarebbe piuttosto distruttiva per la Germania:

 

 

  • Spesa pubblica: la spesa pubblica potrà avere le dimensioni necessarie per superare l’attuale stato di recessione, non essendo più vincolata ai vincoli matematici privi di significato imposti dai trattati europei. Inoltre, l’aumento del PIL comporterà un aumento delle entrate fiscali. Infine, se fosse ripristinato l’intervento della banca centrale sul mercato dei titoli di Stato, si avrebbe un ulteriore risparmio sulla spesa per interessi, liberando risorse da poter essere utilizzate in attività più produttive.
  • Occupazione/disoccupazione/rassegnati: il rilancio della produzione interna dovuto alla svalutazione del tasso di cambio consentirà un aumento dell’occupazione da parte del settore privato. Un’ulteriore diminuzione della disoccupazione potrebbe poi essere conseguita in caso di implementazione di programmi di job guarantee. 
  • Equità sociale: se la fase di transizione verrà gestita bene dal governo (salvaguardando il potere d’acquisto dei ceti medio bassi), l’equità sociale non potrà che migliorare, sia nell’immediato che nell’evoluzione futura, ricreando la “classe media” che attualmente è una “specie in via di estinzione” in Italia.
  • Impatto su welfare, istruzione e sanità: la gestione del welfare, non vincolata da esigenze “di cassa”, potrà tornare ad essere un obiettivo quasi esclusivamente politico. Rispetto all’attuale situazione, che vede un continuo assottigliarsi dei diritti irrinunciabili solo fino a poco tempo fa (pensione, sanità pubblica, scuola pubblica) vi sarà sicuramente un miglioramento.
  • Bilancia commerciale: sicuro miglioramento direttamente collegato alla svalutazione del tasso di cambio.
  • Debito pubblico: nel breve periodo cesserà di essere un pesante vincolo per le scelte di spesa pubblica dello Stato. Nel medio-lungo periodo si potranno prevedere programmi di rientro dal debito pubblico, finanziati anche tramite la creazione di nuova liquidità. Un piano di rientro graduato nel tempo e non finanziato esclusivamente da tagli della spesa pubblica sarà sostenibile da un punto di vista macroeconomico e determinato da scelte quasi esclusivamente politiche (ad esempio, il voler diminuire l’impatto della spesa per interessi sul totale della spesa pubblica).
  • Debito privato: il debito privato delle famiglie scenderà, in virtù della crescita dei redditi, che consentirà un adeguato livello di consumo senza necessità di indebitamento (ad esempio, credito al consumo). Il debito estero diminuirà, dato che gli investitori esteri torneranno a sostenere il rischio di cambio sui propri investimenti.
  • Dipendenza dai “mercati”: la dipendenza dai mercati nel breve periodo sarà quasi nulla, vista la non obbligatorietà di rifinanziarsi sugli stessi.
  • Emigrazione: il rilancio dell’occupazione consentirà un argine al penoso fenomeno dell’emigrazione, soprattutto quella giovanile.
  • PMI: la ritrovata capacità di spesa del governo centrale e la contestuale abrogazione della legge di stabilità per gli enti locali, consentirà il superamento delle attuali problematiche legate ai pagamenti della P.A. Il rilancio del mercato interno metterà verosimilmente fine all’attuale “emorragia” di fallimenti.
  • Politiche di basso impatto ambientale: grazie alla ritrovata capacità di spesa, potranno essere intrapresi programmi pubblici di ricerca e sviluppo nel settore della green economy, nonché incentivi a produzione a basso impatto ambientale e a comportamenti ecocompatibili da parte delle famiglie e delle imprese (es. incentivi sul riciclaggio dei rifiuti).
  • Democrazia: è il punto “meno economico” ma forse il più importante, per i motivi chiariti nel punto 1. L’Italia tornerà ad avere dignità di Stato sovrano e cesseranno tutte le limitazioni alla sovranità dei cittadini dovute ai trattati europei.
  • Rapporti con l’estero: questo è il punto forse più delicato di questo scenario. L’ipotesi di un’uscita unilaterale implicherà sicuramente una certa tensione nei rapporti tra Stati europei, soprattutto con la Germania e i Paesi dell’ex-area marco. Tuttavia, dubitiamo fortemente che tali tensioni possano sfociare nel rischio di blocchi doganali o addirittura in interventi militari, per il semplice fatto che continueremmo ad essere un mercato da 60 milioni di potenziali consumatori. Sarà comunque cruciale l’attività diplomatica preventiva (cercare il dialogo prima dello strappo) e successiva (volontà di intraprendere reali politiche di cooperazione su base volontaria al di fuori dei trattati europei, soprattutto con gli altri paesi dell’area mediterranea).
    In modo simile occorrerà comportarsi nei rapporti con i grandi investitori internazionali, cercando il dialogo prima di rendere definitive le misure d’urgenza sulla limitazione alla circolazione dei capitali.

 

5. Conclusioni

 

A nostro parere i vantaggi derivanti dall’uscita dall’euro, in particolare il recupero della sovranità monetaria e della possibilità di spendere in deficit con l’obiettivo primario della piena occupazione e del welfare, il riappropriarsi delle leve di politica monetaria e fiscale, la possibilità dello Stato di dirigere l’economia e di regolamentare il sistema economico reale e finanziario, superano ampiamente gli svantaggi, quasi tutti connessi con i contraccolpi che l’uscita dall’euro, se non ben programmata o attuata in modo traumatico, potrebbe provocare sulla nostra economia.

I costi e i benefici dell’uscita saranno determinati in grandissima parte dalla politica. Un’uscita disordinata o mal gestita politicamente causerebbe probabilmente costi devastanti, così come, del resto, il proseguire con politiche liberiste anche una volta fuori dall’eurozona. Va da sé che l’attuale classe politica e l’esecutivo Letta non potranno essere attori di un processo di questo genere. Ma se per incidente dovessero esserlo, data l’impossibilità dell’euro così concepito di perdurare, dovranno tassativamente seguire le misure e i consigli esposti in questo documento. Diversamente, si renderanno responsabili dell’economicidio finale del nostro paese, economicidio del tutto evitabile e controllabile.

Dovrà essere premura del Movimento 5 Stelle mettere di fronte alle sue REALI responsabilità chiunque si trovi a gestire la transizione e fare corretta informazione ai cittadini sull’argomento. Il rischio, che non vogliamo correre, è di essere ritenuti complici delle dissennate scelte politiche compiute dal 1979 ad oggi, prima fra tutte l’ingresso dell’Italia nello SME.

 


 

 

[6]http://www.policyexchange.org.uk/images/WolfsonPrize/wep%20shortlist%20essay%20-%20jens%20nordvig.pdf

[7] A meno che non si siano approntate opportune misure di “sterilizzazione” della nostra dipendenza dai mercati finanziari, come chiarito nel punto 2 del nostro Documento: http://arjelle.altervista.org/Scenari/Scenario2_E5S.htm

[8] http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-22357240

[10] Il Prof. Guarino, rinomato costituzionalista, in una conferenza pubblica a Firenze il 19 maggio 2008, alla presenza di costituzionalisti, esperti e amministratori, ha dichiarato: "Il trattato di Lisbona viola almeno due articoli della Costituzione italiana, l'articolo 1: "La sovranità appartiene al popolo" e l'articolo 11: “l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie": e le condizioni di parità sono violate dal fatto che paesi come la Gran Bretagna e la Danimarca, membri dell'Unione Europea, sono esonerati dalla partecipazione all'Euro. Così possono, per esempio, fissare il tasso d'interesse in modo vantaggioso per loro, ma svantaggioso per gli altri firmatari del trattato.

[11] http://www3.unisi.it/ricerca/dip/dir_eco/Appunti%20Integrativi%20II%202011%20-%20Basilea%203_Note%20di%20sintesi%20%20.pdf

[12] Come definiti dall’art. 1 del T.U.F.

[13] A tal proposito giudichiamo poco efficaci le attuali norme, come ad esempio l’obbligo di dichiarare nel contratto se la banca sia o meno in condizioni di conflitto d’interesse sui prodotti finanziari offerti al clienti.

[14] “Quante delle decine di liberalizzazioni di sistemi finanziari nazionali avvenute negli ultimi trent’anni si sono realizzate senza innescare crisi finanziarie più o meno gravi? La casistica è ormai tanto ampia da permetterci di rispondere portando una lista veramente esigua di esempi.” TROPEANO D. (2001), Liberalizzazioni e crisi finanziarie - Lezioni dalle crisi degli anni Novanta in Asia Orientale, Roma, Carocci Editore, pag. 11.