USCIRE DALL'EURO IN MODO "SOFT": I CCF DI MARCO CATTANEO

 

 

Chi si illude che l'euro "si autodistrugga" o che l'uscita dall'Unione Europea e dall'euro sia dietro l'angolo, si sbaglia di grosso: troppi interessi economici e politici sono in ballo, anche senza tener conto delle ipotesi di coloro che, a nostro avviso sensatamente, vedono dietro la creazione dell'UE la realizzazione di un progetto totalitario volto alla distruzione degli Stati nazionali e ad una neo-feudalizzazione dell'Europa [1]. I nostri politici appaiono tutti, più o meno senza eccezione, collusi con questo stato di cose, in particolare la cosiddetta "sinistra", ed i media da essi controllati spacciano quotidianamente una visione completamente falsata e distorta della realtà (si veda il caso esemplare della triade Gruber, Scalfari, Floris stigmatizzato qui).

Tutto questo rende altamente improbabile l'ipotesi di una imminente liberazione dall'euro.

E' dunque necessario prevedere delle strategie di sopravvivenza che ci consentano di far fronte all'emergenza che ci attende; e fra queste strategie rivestono particolare importanza le ipotesi di "moneta complementare".

Sia ben chiaro: si tratta di palliativi, che hanno senso se visti come provvedimenti-salvagente. Diversamente si teme che concentrarci su queste proposte ci faccia perdere di vista l’obiettivo principale, cioè l’uscita dall’eurozona come unica alternativa. 

Esiste tuttavia una proposta che, oltre a configurarsi come un'alternativa alla "moneta unica", tiene conto di questo obiettivo: si tratta dei CCF (Certificati di Credito Fiscale) di Marco Cattaneo (affini per molti versi ai "tax-backed bonds" di Warren Mosler [2]), che possono configurarsi anche come strumento propedeutico all’uscita dall’eurozona.

Con questa soluzione  [3] si riducono di 100 miliardi le tasse sulle aziende e di 50 miliardi le tasse sul lavoro, agendo direttamente sul cuneo fiscale [4] e creando 150 miliardi di potere d’acquisto immediatamente. Questo senza uscire (per ora) dall’Euro, senza bisogno di cancellare o rinegoziare (per ora) i trattati europei, utilizzando solo i poteri attuali del governo italiano nell’ambito dell’Eurozona.

Vediamo come.

 


Riforma Morbida del sistema monetario e dell’economia italiana:

principali caratteristiche e vantaggi rispetto al break-up dell’euro


 

Le controindicazioni di un processo di break-up dell’euro derivano dal fatto che una serie di rapporti contrattuali e di posizioni di debito e credito subiscono una conversione della valuta in cui sono espressi. Stipendi, pensioni, contratti d’affitto, contratti di fornitura, contratti di finanziamento, in caso di break-up trasformano la loro valuta di denominazione in una moneta di minor valore.

Confusione, complicazioni, contenziosi legali, effetti redistributivi, incertezza sulle reazioni delle controparti, turbolenze sui mercati finanziari, instabilità del sistema bancario, sotto TUTTE in un modo o nell’altro conseguenze derivanti dalla ridenominazione dei contratti in essere al momento del break-up. Sono prevedibili forti ostilità a qualsiasi ipotesi di questa natura da parte di gruppi d’interesse molto influenti quali le aziende tedesche e degli altri paesi dell’area ex-marco, che si troverebbero immediatamente a operare con una moneta rivalutata, e i mercati finanziari, dove gli operatori che detengono crediti verso l’Italia subirebbero una perdita sui loro crediti.

Tuttavia anche i cittadini italiani, compresi molti di coloro che stanno sempre più capendo la relazione tra disfunzionalità del sistema monetario e problemi economici del Paese, vivono comunque con disagio la possibilità di vedere i loro risparmi, le loro retribuzioni e le loro pensioni trasformate in un’unità monetaria di minor valore.

Queste ultime preoccupazioni sono di natura prevalentemente psicologica, in quanto non c'è da aspettarsi l'emergere di fenomeni inflattivi (in seguito al break-up) se non su scala molto inferiore all’entità della svalutazione. Ma costituiscono comunque un forte freno all’emergere di un netto consenso della pubblica opinione in favore del break-up.

Ci sono poi le difficoltà tecniche di gestire un processo di break-up senza che si producano fughe di notizie, turbative di mercato, corse agli sportelli bancari e fughe di depositi, eccetera.

Controproponiamo una riforma del sistema monetario che permetta di conseguire TUTTI i risultati che ci si propongono in seguito al break-up; e cioè:

  1. PRIMO, eliminazione degli squilibri di competitività tra paesi appartenenti all’eurozona;
  2. SECONDO, sviluppo di politiche economiche di pieno impiego;
  3. TERZO, finanziamento del settore pubblico senza emettere debito in una moneta che lo stato non gestisce e non controlla.

Questo senza che si ridenomini nessuno dei rapporti contrattuali pregressi. Una riforma del genere è nettamente più efficace e meno rischiosa di un break-up, suscita di gran lunga meno ostilità, meno inquietudini e dubbi nella pubblica opinione, e ha difficoltà di esecuzione enormemente inferiori.

Tra l’altro, la Riforma Morbida è attuabile SENZA che debbano essere effettuate richieste di alcun tipo ad altri stati membri dell’Eurozona e in particolare alla Germania (richieste quali eurobond, trasferimenti finanziari o qualsiasi altra forma di sostegno).

La strada da seguire non è quindi di rottura, ma di affiancamento e sostituzione (come suggerito anche da Warren Mosler in una sua ipotesi di "exit strategy"). Fermo restando che tutti gli effetti benefici del recupero di sovranità monetaria possono, e devono, essere conseguiti immediatamente.

Tutto quanto sopra esposto è ottenibile con un processo articolato nei seguenti passaggi:

  1. UNO: Certificati di Credito Fiscale (CCF) vengono assegnati gratuitamente a cittadini e aziende, e utilizzati dallo stato per finanziare provvedimenti di spesa. Le assegnazioni annue sono adeguate, in quantità, a riportare l’economia italiana al pieno impiego (stima attuale: 200 miliardi annui). Una quota è assegnata alle aziende in funzione dei costi di lavoro sostenuti, per riportare la loro competitività al livello dei paesi più efficienti dell’Eurozona (principalmente la Germania: stima attuale 80 miliardi annui) ed evitare il formarsi di sbilanci commerciali (l’obbiettivo è un saldo import-export tendenzialmente in pareggio).
  2. DUE: I CCF, che possono anche essere denominati Lire Fiscali, saranno negoziabili tra gli assegnatari e il sistema bancario (gli assegnatari potranno cioè convertirli in euro) e anche utilizzati in transazioni tra privati. Sicuramente tramite supporti elettronici / informatici; eventualmente potranno essere emessi titoli bancari cartacei al portatore rappresentativi di Lire Fiscali (in pratica sarebbero banconote: da valutare le esigenze di compatibilità con l’art. 105 del trattato di Maastricht).
  3. TRE: con effetto immediato, lo Stato italiano cesserà di emettere titoli di debito pubblico in euro. Le emissioni saranno esclusivamente denominate in Lire Fiscali: daranno quindi diritto al rimborso di capitale e interessi in moneta utilizzabile per pagare obbligazioni finanziarie verso lo Stato italiano.
  4. QUATTRO: nessun rapporto di debito/credito, nessun contratto, nessun rapporto di lavoro, nessun impegno per pagamento di pensioni (eccetera) verrà convertito da euro a Lire Fiscali.
  5. CINQUE: tuttavia è prevedibile che i NUOVI contratti di lavoro, finanziamento eccetera vengano sempre più spesso stipulati in Lire Fiscali e non in euro.
  6. SEI: nel giro di qualche anno con ogni probabilità l’utilizzo della Lira Fiscale (moneta sovrana) risulterà predominante rispetto a quello dell’euro (moneta non sovrana).

Riguardo ai rapporti con l’Unione Europea, va precisato che quanto sopra deve essere messo in atto SENZA trattative o richieste di autorizzazioni, in quanto non viola nessun trattato ed è, d’altra parte, ESSENZIALE per il ripristino di adeguate condizioni di occupazione e sviluppo.

Potrà eventualmente essere tenuto un referendum per stabilire la completa cessazione dell’utilizzo dell’euro da parte della pubblica amministrazione italiana (in luogo del quale verrebbe, in questo caso, esclusivamente utilizzata la Lira Fiscale). Tutto questo però SUCCESSIVAMENTE a quanto esposto ai precedenti punti UNO, DUE, TRE e QUATTRO (e senza che il referendum sia precondizione per metterli in atto).

 


COME FUNZIONANO I CERTIFICATI DI CREDITO FISCALE (CCF)


 

 

Come funziona il meccanismo?
Molto semplicemente, il dipendente riceve un’integrazione di reddito sotto forma di Certificati. La misura proposta è il 10%. Se il tuo netto mensile è 2.000 euro, continui a percepire 2.000 euro e, in aggiunta, un Certificato dell’importo di 200 euro (ogni mese).

Il datore di lavoro riceve a sua volta un contributo, sotto forma di CCF, pari al 10% del suo costo totale. Per dare 2.000 euro netti a un dipendente, l’azienda sostiene un costo totale di circa il doppio, 4.000 euro (netto + tasse + contributi sociali ecc.): l’azienda continua a versare 4.000 euro al mese, parte al dipendente, parte al fisco, parte all’INPS. Gli viene però nello stesso tempo assegnato un Certificato di 400 euro di importo.

I CCF assumono valore per chi li percepisce perché sono un equivalente della moneta statale. Lo Stato si impegna ad accettarli, a partire da due anni dopo la loro emissione, per qualsiasi tipo di pagamento dovutogli: tasse, imposte, ticket sanitari, multe ecc.

 


 

E se ho bisogno di monetizzarli in anticipo? Il progetto prevede di emettere ogni anno circa 150 miliardi di CCF, che verranno poi utilizzati due anni dopo l’emissione. Ci saranno quindi costantemente in circolazione circa 300 miliardi di CCF: quelli emessi nell’anno in corso e quelli dell’anno precedente. Hanno un valore di utilizzo finale certo, in quanto lo Stato li accetterà illimitatamente. Potranno essere monetizzati in anticipo perché si verrà a creare un mercato, esattamente come per i titoli di Stato: vado in banca e li vendo con un piccolo sconto calcolato con tassi analoghi a quelli di un BOT a due anni.

Il compratore sarà un soggetto che li utilizza, alla data finale, per soddisfare oneri che avrà nei confronti dello Stato.

 


 

Ma perché è previsto un utilizzo differito, dopo due anni? Perché se l’utilizzo fosse immediato, sarebbe come attuare subito una forte riduzione delle imposte. Questo graverebbe sul deficit pubblico. Con il differimento, invece, lo sgravio fiscale produce, a parità di condizioni, un aumento del deficit solo dopo due anni: ma a quel punto, proprio grazie alla maggiore disponibilità economica, si è prodotta una forte ripresa e quindi maggiori entrate fiscali, che compensano l’utilizzo dei CCF.

Si produrrà una forte ripresa dell’economia perché circolerà molto più potere d’acquisto, da un lato, e i costi delle aziende si abbasseranno fortemente, dall’altro. Quindi più domanda interna, più competitività nelle esportazioni, possibilità di proporre beni e servizi a condizioni migliori ai clienti sia italiani che esteri.

Soprattutto, i Certificati emessi non sono un incremento del debito pubblico perché non esiste un impegno di rimborso. Lo Stato italiano non darà, alla scadenza, euro a rimborso dei CCF: li accetterà a pagamento delle sue spettanze, esattamente come avviene per la moneta.

 


 

I certificati proposti da Cattaneo puntano al fatto che in due anni il reddito nominale dell’Italia cresca di almeno 300 miliardi circa, per cui, anche se lo Stato perde 150 miliardi di tasse, a regime lo si compensa con l’incremento di reddito (di cui quasi metà finisce in tasse). Semplificando, dopo due anni lo Stato si ritrova 150 miliardi in meno di incassi (tasse): Cattaneo calcola che l’iniezione choc di 150 miliardi l’anno nell’economia produca un reddito nominale addizionale anche di 400 miliardi (in ogni caso più del doppio dei 150 miliardi annui persi di tasse).

Questo discorso sulla riduzione di tasse tramite i CCF va integrato con una adeguata strategia per quanto riguarda i titoli di Stato: infatti il mercato finanzario può ugualmente attaccare l’Italia, poiché vede lo Stato italiano rinunciare a 150 miliardi su 714 di entrate "scommettendo" sul rimbalzo dell’economia per recuperarli in due anni. Si può dunque avere un attacco speculativo sui BTP.

Bisogna dunque smettere, per un certo periodo (indicativamente due anni), di emettere BTP, sostituendoli con BOT, e stipulare un accordo con le banche italiane perché li acquistino all’1% o ad un rendimento leggermente superiore al loro costo medio di raccolta. Questo riduce automaticamente il costo dell’indebitamento e taglia fuori il “mercato”, perché per due anni sono le banche italiane ad acquistare i BOT.

Possono farlo? Certo che sì: i BOT non richiedono capitale addizionale, secondo gli accordi di Basilea.

Per ovviare al potenziale problema di mancanza di fondi per finanziare il rimborso dei CCF dopo 2 anni, potrebbe essere previsto un meccanismo "revolving", che consentisse un "premio" sul nominale in caso di rinnovo del CCF anziché di richiesta di rimborso. In parole povere, a scadenza si può offrire l'opzione di utilizzare i CCF oppure rinnovarli "a premio" (esempio: invece di "incassare" un CCF di 100 €, si può dare l'opportunità di scegliere tra il rimborso o il rinnovo a 110 €, con un premio del 10% sul nominale nel caso in oggetto).

 


 

A detta dello stesso Marco Cattaneo, che di recente ha avuto un interessante e costruttivo confronto con Warren Mosler in proposito[5], il ricorso ai CCF non è da considerare un semplice palliativo, ma una vera e propria alternativa all'uscita dall'euro ove questa non risultasse praticabile, quasi altrettanto efficace sul piano economico. Infatti, "grazie al fatto che una parte significativa delle emissioni di CCF riduce il costo del lavoro effettivo per le aziende italiane, è possibile riportarne la competitività ai livelli della Germania. Più in generale, l’emissione di CCF può essere effettuata da tutti i Paesi appartenenti all’eurozona la cui competitività è oggi peggiore rispetto a quella dell’ex area marco. In questo modo, otteniamo effetti di riequilibrio analoghi a quelli che, in un regime di cambi flessibili, sono conseguiti mediante un riallineamento valutario.

I CCF sono quindi uno strumento che:

I. dà alle economie in situazione di domanda depressa la possibilità di espanderla, e quindi di produrre una forte ripresa dell’attività economica, mediante emissione di uno strumento di natura monetaria;

II. consente di eliminare le differenze di competitività dei vari Paesi appartenenti all’eurozona, senza passare tramite manovre di deflazione salariale e compressione dei redditi."

In tal senso, osserva ancora Cattaneo, essi sono "una soluzione sostenibile nel tempo, appunto in quanto rimuovono le due principali cause di inefficienza del sistema euro.

E’ vero che, successivamente all'introduzione dei CCF, saranno necessarie azioni di “fine tuning” per tener conto dell’evoluzione delle variabili economiche - tra cui future ulteriori differenze di competitività che venissero a determinarsi all’interno dell’eurozona: per esempio modificando la dimensione delle emissioni di CCF, l’allocazione tra imprese e lavoratori, le caratteristiche di progressività, eccetera; ma questo rientrerà in un normale processo di gestione della politica economica italiana (e degli altri Paesi che adotteranno lo strumento CCF).

 


 

Resta peraltro aperta anche la possibilità che, nel giro di qualche anno, l’utilizzo dei CCF si incrementi (ad esempio, quote di spesa pubblica potrebbero essere pagate con CCF di nuova emissione, via via che aumenterà la consuetudine e l’accettazione del pubblico). I CCF possono quindi anche essere uno strumento propedeutico all’uscita dall’eurozona, mediante un meccanismo graduale e senza le complicazioni organizzative, tra cui la necessità di procedere in segretezza, che un break-up “secco” necessariamente implica."

La conclusione di Cattaneo è che "il progetto CCF risolve entrambi i problemi fondamentali dell’attuale assetto dell’eurozona: permette di attuare, nei Paesi in difficoltà, politiche di sostegno della domanda finanziate da espansione monetaria; e riallinea la competitività dei vari Paesi con un’efficienza simile a quella consentita da un regime di cambi flessibili.

Inoltre, lascia aperta la strada dell’uscita dell’eurozona, e consente di attuarla in forma “morbida” e non caotica."

 

Fonti:
http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2014/02/riforma-morbida-del-sistema-monetario-e.html

http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2013/01/certificati-di-credito-fiscale-per.html



 

[1] Si veda ad esempio Alain Parguez, For Whom Tolls the Monetary Union: The Three Lessons of the European Monetary Union”, oppure http://economiaepotere.forumfree.it/?t=61022468

 

 

[3] http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2013/01/certificati-di-credito-fiscale-per.html

 

[4] Il cuneo fiscale o cuneo contributivo è rappresentato dalla differenza tra l'onere del costo del lavoro e il reddito effettivo percepito dal prestatore d'opera o lavoratore. In pratica è la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto incassato effettivamente dal lavoratore, essendo il restante importo versato al fisco e agli enti di previdenza e pensionistici (INAIL, INPDAP, INPS) tramite imposte contributive.