Non
sarà fuori
luogo, a questo
punto, soffermarsi
sulla figura del
misterioso
Alfeo che
risulta essere padre
di Giacomo il Giusto
e stranamente omonimo
del fiume dell'Arcadia
divenuto simbolo
del sapere iniziatico,
ritratto ad esempio
nel primo
Et
in Arcadia Ego di
Nicolas Poussin (1629-30).
Sebbene nulla di
sicuro possa essere
affermato in proposito,
particolarmente
suggestiva risulta la
tesi di Luigi
Manglaviti,
che in suo articolo
(leggibile
qui) sostiene
che Alfeo sia
in realtà Giuseppe di Arimatea,
identificando
quest'ultimo non
già
con
Giacomo
il
Giusto,
come
fa
Sabbadini,
bensì
con
suo
padre,
cioè
il
patrigno
di
Gesù.
A suo parere infatti
Alfeo significherebbe semplicemente "capo" o "capostipite", letteralmente l'alfa (aleph in ebraico), la prima lettera di abba, "padre":
quindi capo o padre della famiglia. Chiamare Giacomo il «figlio di
Alfeo» sarebbe quindi l'equivalente greco di «figlio del capo
famiglia», come chiaramente era Giacomo. Sensatamente egli osserva: "Un buon motivo per credere che Giuseppe di Arimatea fosse il marito di Maria
non è solo la sua presenza alla Crocifissione ma anche che avesse
l'autorità per recarsi da Pilato e chiedere il corpo di Gesù per
seppellirlo nella propria tomba. È del resto difficile immaginare come
qualcuno che non fosse il capo della famiglia avesse l'autorità per
chiedere una cosa simile - per tacer del fatto che, abbastanza
sorprendentemente, la sua richiesta fu accolta -."
Comunque
stiano le cose dal
punto di vista storico,
è un dato
di fatto che
il Vangelo di Tommaso
si discosta sensibilmente
dai Vangeli canonici
anche e soprattutto
dal punto di vista
dottrinario.
L'incipit del Vangelo di Tommaso,
come
abbiamo
visto,
recita: "Queste sono le parole segrete che Gesù il
Vivente ha detto e Didimo Giuda Tommaso ha trascritto"; pertanto esso si
configura come una speciale rivelazione che è stata ricevuta dall'apostolo
Tommaso direttamente da Gesù, una dottrina segreta ed esoterica per pochi
eletti
in
grado
di
comprenderla,
in
linea
con
il
pensiero
eretico gnostico.
L'Uroboros,
un
tipico
simbolo
gnostico
Un tema ricorrente nel vangelo di Tommaso è infatti
quello
della dottrina emanazionistica, concezione tipica
dello gnosticismo.
Poiché Dio è l'Essere supremo e Immanente, presso di Lui non vi è alcuna
distinzione tra cose diverse, ma solo la perfezione concentrata in un essere
unico. Dio, punto di origine e vertice di tutto l'Universo, si esprime
attraverso manifestazioni (ipostasi) che sono formate a coppie (sigizie),
ciascuna di un elemento maschile e di un elemento femminile, padre e madre della
sigizia seguente. Dalle prime quattro coppie, spirituali, discendono, sempre a
coppie, gli Eoni inferiori (decade e dodecade) fino a Psyche-Hule (Anima e
Materia) che compongono l'uomo terrestre. Ogni essere è quindi composto da
elementi contrari, a coppie (alto e basso, esterno ed interno, maschile e
femminile) e la perfezione si raggiunge solo attraverso la fusione
di queste coppie di contrari.
Tipicamente gnostico è il Loghion 22,
che recita: "Gesù vide dei bambini
che stavano poppando. Egli disse ai suoi discepoli: - Questi bambini che stanno
poppando sono simili a coloro che entrano nel Regno. Essi allora gli
domandarono: - Se saremo piccoli, entreremo nel Regno? Gesù rispose loro: -
Quando farete in modo che due siano uno, e farete sì che l'interno sia come
l'esterno e l'esterno come l'interno, e l'alto come il basso, e quando farete
del maschio e della femmina una cosa sola, cosicché il maschio non sia più
maschio e la femmina non sia più femmina, e quando metterete un occhio al posto
di un occhio e una mano al posto di una mano e un piede al posto di un piede, un'immagine al posto di un'immagine, allora entrerete."
Il concetto dei bambini che sono degni di entrare
nel regno è presente anche nei sinottici,
precisamente in Matteo 19:13-15, Marco 10:13-15 e Luca 18:13-17. Ma mentre nei
sinottici esso veicola un messaggio semplice, l'invito a farsi bambini, cioè persone semplici e pure
di cuore, qui viene elaborata una teoria molto più sofisticata e complessa: la perfezione, dice in
sostanza
Gesù, è raggiungibile
solamente quando tutte le forze contrapposte che agitano l'animo umano sono
annullate.
Un
vangelo senza dubbio
gnostico,
quindi, quello di
Tommaso, come del
resto
tutti
quelli ritrovati
a Nag Hammadi nel
1945.
A
prescindere dall'ipotesi
della sostituzione
di Gesù in
croce, tutto sommato
secondario,
l'aspetto
più notevole di
tale dottrina consiste
proprio nell'irrilevanza
della crocifissione
e nella negazione
del sacrificio di Cristo
per la redenzione dell'umanità,
convinzione tipica
di tutta una corrente
sotterranea di pensiero
cristiano che, partendo
da
una
base
comune
che
è
l'eresia
gnostica, va
dai càtari
ai
già citati Templari alla setta dei
Rosacroce
al fantomatico
Priorato di Sion.
Come
scrive Enrico Norelli (Le origini del Cristianesimo,
a cura di R. Penna, Carocci, Roma, 2004) a commento del vangelo di
Tommaso: "la salvezza non passa qui per la morte di Cristo, nè si compie definitivamente
in una futura irruzione del regno di Dio, con giudizio finale e risurrezione
dell'essere umano come unità psicosomatica. Conta la storia dell'io, non quella
del mondo. Alcuni studiosi pensano che questa prospettiva sapienziale, priva di
attesa escatologica, corrispondesse al messaggio originario di Gesù, ma ciò pare
difficile; essa può piuttosto (ma è impossibile esserne certi) costituire una
reazione alla delusione dell'attesa del ritorno di Cristo e della fine del
mondo. Il vangelo di Tommaso comprende molte parole di Gesù che si ritrovano nei
vangeli sinottici, ma l'interpretazione che ne viene qui data è molto diversa:
il quadro di riferimento è vicino a quelle che diventeranno le strutture di
pensiero fondamentali dei gruppi gnostici, i quali identificano l'essere umano
con lo spirito divino che è in lui e negano ogni forma di risurrezione che non
sia il risveglio dello spirito e il suo ricongiungimento alla sostanza divina.
In un testo come il vangelo di Tommaso troviamo una lettura di Gesù che non ha
bisogno di raccontare la storia del personaggio, perchè ciò che conta per la
salvezza non è il suo destino, ma il contenuto della sua rivelazione." (Op.
Cit. pag. 200).
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