Naturalmente,
siccome
la
tomba di
Oreste
era
per
Baldini
semplicemente
veicolo
di
un
significato
allegorico
connesso
con
la
prima
fase
della
Grande
Opera
alchemica,
cioè
la
Nigredo,
e
più
precisamente
con
la
fase
che
corrisponde
al
caput
mortuum
(alla
quale
alluderebbe
il
teschio),
ecco
ora
il
critico
impegnarsi
nell'ardua
impresa
di
attribuire
un
analogo
significato
allegorico
anche
a
questo
dipinto.
Che
Poussin
nascondesse
qualche
importantissimo
segreto
è
altamente
probabile,
come
abbiamo
spiegato
in
un
altro capitolo;
che
questo
segreto
riguardasse
l'alchimia
è
però
tutto
da
dimostrare.
Baldini
riprende
a
questo
punto
la
famosa
lettera,
già
citata, che
l'abate
Louis
Fouquet
scrisse
dall'Italia,
il
17
aprile
1656,
a
suo
fratello
Nicolas,
il
famoso
e
fastoso
sovrintendente
alle
finanze
di
Luigi
XIV,
dopo
aver
reso
visita
a
Poussin
a
Roma
(Archives
de
l'art
français,
2e
série,
1862,
p.266s);
la
ripeto:
"Non
potreste
credere,
Signore,
né
le
fatiche
che
(Poussin)
si
sobbarca
per
il
vostro
servizio,
né
l'affetto
con
cui
lo
fa,
né
il
merito
e
la
probità
che
mette
in
ogni
cosa.
Lui
e
io
abbiamo
progettato
certe
cose
nel
merito
delle
quali
potrei
intrattenervi
a
fondo
tra
poco
tempo,
che
vi
daranno
-
attraverso
il
Signor
Poussin
-
dei
vantaggi
(se
voi
non
vorrete
disprezzarli)
che
i
re
durerebbero
molta
fatica
ad
ottenere
da
lui
e
che,
dopo
di
lui,
nessuno
al
mondo
scoprirà
mai
nei
secoli
a
venire;
e
quel
che
più
conta,
ciò
sarebbe
senza
molte
spese
e
potrebbe
perfino
tornare
a
profitto,
e
si
tratta
di
cose
da
ricercare
così
fortemente
che
nessuno
oggi
sulla
terra
può
avere
una
fortuna
migliore
e
forse
neppure
eguale".
Di
che
cosa
si
trattava?
Nicolas
Poussin,
Autoritratto,
1649-50
Secondo
Baldini
la
descrizione
di
Fouquet
si
attaglia
benissimo
a
quello
che,
all'epoca,
era
indicato
come
"il
massimo
segreto
ermetico":
la
profonda
conoscenza
dei
segreti
della
Grande
Opera
alchemica ed
il
suo
vero
scopo,
ovvero
la
ricerca
dell'immortalità.
Tutto
questo
sulla
scorta
dei
testi
del
Corpus
Hermeticum,
importati in
Occidente
solo
dopo
la
caduta
dell'Impero
Romano
d'Oriente
(1453).
Baldini
fa
notare
come
Félibien,
amico
carissimo
di
Poussin,
in un'opera
intitolata
Entretiens
sur
les
vies
et
sur
les
ouvrages
des
plus
excellents
peintres
anciens
et
modernes
avec
la
vie
des
architectes,
introduca
nel
dialogo
che
verte
su
Poussin
un
personaggio
chiamato
Pymandre,
liquidato
sbrigativamente
dalla
critica
come
"un
amico
di
Poussin".
Baldini
polemizza
(sacrosantamente)
con
gli
"specialisti"
che,
prima
di
lui,
semplice
appassionato,
hanno
citato
questo
dialogo
senza
rendersi
conto
di
"chi",
o
meglio
"che
cosa",
sia
in
effetti
Pymandre:
"Non
capiremo
mai
come
sia
possibile
che
qualcuno
possa
considerarsi
o
esser
considerato
specialista
di
qualsivoglia
autore
del
passato,
sia
esso
uomo
di
lettere,
pittore,
scienziato
o
filosofo,
senza
minimamente
conoscere
la
cultura
di
cui
quegli
si
è
nutrito
e
in
cui
ha
operato.
Ma
noi,
naturalmente,
siamo
solo
poveri
amateurs,
e
non
possiamo
avere
idea
di
tutti
i
sottili
sentieri
che
portano
al
conseguimento
di
una
vera
competenza.
Tuttavia
ci
sia
concesso
di
segnalare
che,
nel
nostro
povero,
rozzo
e
approssimativo
mondo
amatoriale,
"Pymandre"
è
la
francesizzazione
del
titolo
-
e
del
nome
del
protagonista
-
di
uno
dei
dialoghi
attribuiti
a
Ermete
Trismegisto
e
contenuti
nel
famosissimo
-
ma
solo
nel
nostro
mondo,
si
capisce!
-
Corpus
Hermeticum,
portato
in
Italia
da
un
monaco
macedone
e
tradotto,
nel
1460,
da
Marsilio
Ficino.
Ora,
riteniamo
abbastanza
difficile
che
Félibien
potesse
considerare
Pimandro
un
amico
in
senso
letterale,
visto
che
sapeva
bene
-
al
contrario
del
nostro
specialista
-
trattarsi
della
manifestazione
sensibile
del
Nous
supremo."
Come
dare
torto
a
Baldini?
L'errore
è
veramente
grossolano:
qualsiasi
mediocre
studente
di
liceo
sa
(o
dovrebbe
sapere)
che
Poimandres
è
il
titolo
del
primo
e
più
importante
trattato
del
Corpus
Hermeticum
(leggibile
integralmente
qui).
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