POUSSIN: LES BERGERS D'ARCADIE, 1629-30

 

 

2. LA TESI ALCHEMICA

 

"Sembra abbastanza certo - scrive Baldini - che il vecchio seduto, intento a versare da un orcio acqua che forma un ruscello, rappresenti il fiume Alfeo: ma chi sono gli altri tre personaggi? Noi dubitiamo fortemente che si tratti - come vorrebbe la tradizione - di pastori, quando questo appellativo venga preso in senso letterale.

Che la tomba sia incastonata nella parete di una montagna, è a nostro avviso la traduzione in immagini del nome Oreste: in Greco Oréstes vale appunto "montanaro", cioè "che abita in un luogo alto". Ora, se la tomba è quella di Oreste, il fatto che essa sia ancora perfettamente conservata, allo scoperto, ci suggerisce che la scena raffigurata nel quadro si svolge in un periodo storico anteriore a quello in cui ha luogo la vicenda narrata da Erodoto, un periodo probabilmente non molto lontano dalla data di morte dell'eroe. Un'altra cosa che ci colpisce è l'atteggiamento artificioso della donna che, oltre ad esibire una scollatura che le lascia scoperto un seno, tiene il leggero chitone di cui è vestita ostentatamente sollevato a scoprire la coscia destra. Non possiamo non constatare che questa figura femminile rispecchia esattamente i caratteri che la letteratura classica attribuisce ad Ermione, moglie di Oreste: le spartane erano note per indossare abiti assai succinti. Plutarco, parlando della "legislazione di Licurgo, che lasciava una libertà totale e sconveniente per le donne", cita Ibico che chiama le spartane "mostracosce". Euripide le descrive "discinte, con le cosce nude" e Sofocle parla proprio di "Ermione la giovane, la cui veste non ricopre, e si apre sulla coscia nuda".

Possiamo in effetti notare questo dettaglio della gamba seminuda di Ermione anche in un dipinto di Pierre-Narcisse Guérin, risalente alla prima metà del XIX secolo, intitolato Oreste annuncia ad Ermione la notizia della morte di Pirro (= Neottòlemo), evidentemente ispirato all'Andromaca di Euripide. Come si ricorderà, infatti, in questa strana tragedia Oreste, già innamoratosi di Ermione (vedi l'ancor più strano Oreste del 408), data però in moglie da Menelao a Neottòlemo, figlio di Achille, interviene nel finale per salvarla da morte certa e la porta via per farne la sua sposa.

In questo dipinto, anch'esso molto strano, ciò che colpisce non è tanto la scena mitologica, quanto proprio il fatto che Oreste "punta" in modo fin troppo vistoso, e per di più con la spada, la gamba sinistra scoperta (per essere precisi il ginocchio sinistro) di Ermione:

 

 

Baldini prosegue:

"Ora, se la donna è la moglie - o meglio, la vedova - di Oreste, perché i due personaggi maschili non potrebbero essere gli altri due protagonisti di questo mito, ossia il figlio dell'eroe, Tisameno, e l'inseparabile compagno di tutte le sue avventure, Pilade? In effetti, la figura maschile vicina ad Ermione, più pingue e dalla muscolatura meno tonica dell'altra, sembra denunciare un'età più avanzata. Così, da sinistra verso destra, identifichiamo i personaggi come Ermione, Pilade, Tisameno ed Alfeo."

Questa ipotesi, pur nell'esibizione di così dotti richiami, ci sembra francamente assurda. Abbiamo già detto che a nostro parere ben difficilmente Erodoto poteva costituire un punto di riferimento così importante per pittori come Guercino e Poussin, ed ora ci sembra ancor più inverosimile che a questo risvolto secondario e sconosciuto del mito i due grandi pittori abbiano dedicato tanta attenzione (e questo pur volendo ammettere che la vicenda di Oreste sia da intendere in senso allegorico-alchemico, come abbiamo visto).

Probabile, per non dire sicura, ci sembra soltanto l'identificazione del vecchio seduto in primo piano, palesemente estraneo alla scena (tant'è vero che ci volta le spalle e non guarda i personaggi, che a loro volta sembrano non vederlo) con l'Alfeo: esso è un "fiume d'Arcadia carsico, che per lunghi tratti svanisce sottoterra per poi riapparire alla luce del sole in luoghi assai distanti dal suo inabissamento", come la fonte Aretusa in Sicilia, e che "ai tempi di Poussin era spesso impiegato per rappresentare la permanenza della trasmissione di una tradizione segreta. In accordo con questo significato, Alfeo volge il dorso agli spettatori, non si fa vedere in faccia. Inoltre, esso porta l'alloro dell'immortalità accordata a una tradizione che sempre scompare e sempre riaffiora."

Fin qui ci sembra tutto plausibile. Ma poi, ecco di nuovo una deduzione cervellotica:

"Con l'epigrafe, è ora Poussin stesso che si rivolge non solo agli spettatori, ma ai protagonisti stessi del mito, informandoli che anche lui - Poussin - è in Arcadia, anche lui è a conoscenza della tradizione segreta che il quadro di Guercino cifrava. Un po' - diremmo - alla maniera del turista che lascia sul monumento archeologico la traccia graffita del proprio passaggio."

Insomma, Poussin con quella scritta alluderebbe proprio a se stesso (ego significherebbe proprio "io", "io Nicolas Poussin"), vantandosi (con la famiglia di Oreste?) di avere decifrato il segreto del Guercino!