2.
LA
TESI
ALCHEMICA
"Sembra
abbastanza
certo
-
scrive
Baldini
-
che
il
vecchio
seduto,
intento
a
versare
da
un
orcio
acqua
che
forma
un
ruscello,
rappresenti
il
fiume
Alfeo:
ma
chi
sono
gli
altri
tre
personaggi?
Noi
dubitiamo
fortemente
che
si
tratti
-
come
vorrebbe
la
tradizione
-
di
pastori,
quando
questo
appellativo
venga
preso
in
senso
letterale.
Che
la
tomba
sia
incastonata
nella
parete
di
una
montagna,
è
a
nostro
avviso
la
traduzione
in
immagini
del
nome
Oreste:
in
Greco
Oréstes
vale
appunto
"montanaro",
cioè
"che
abita
in
un
luogo
alto".
Ora,
se
la
tomba
è
quella
di
Oreste,
il
fatto
che
essa
sia
ancora
perfettamente
conservata,
allo
scoperto,
ci
suggerisce
che
la
scena
raffigurata
nel
quadro
si
svolge
in
un
periodo
storico
anteriore
a
quello
in
cui
ha
luogo
la
vicenda
narrata
da
Erodoto,
un
periodo
probabilmente
non
molto
lontano
dalla
data
di
morte
dell'eroe.
Un'altra
cosa
che
ci
colpisce
è
l'atteggiamento
artificioso
della
donna
che,
oltre
ad
esibire
una
scollatura
che
le
lascia
scoperto
un
seno,
tiene
il
leggero
chitone
di
cui
è
vestita
ostentatamente
sollevato
a
scoprire
la
coscia
destra.
Non
possiamo
non
constatare
che
questa
figura
femminile
rispecchia
esattamente
i
caratteri
che
la
letteratura
classica
attribuisce
ad
Ermione,
moglie
di
Oreste:
le
spartane
erano
note
per
indossare
abiti
assai
succinti.
Plutarco,
parlando
della
"legislazione
di
Licurgo,
che
lasciava
una
libertà
totale
e
sconveniente
per
le
donne",
cita
Ibico
che
chiama
le
spartane
"mostracosce".
Euripide
le
descrive
"discinte,
con
le
cosce
nude"
e
Sofocle
parla
proprio
di
"Ermione
la
giovane,
la
cui
veste
non
ricopre,
e
si
apre
sulla
coscia
nuda".
Possiamo
in
effetti
notare
questo
dettaglio
della
gamba
seminuda
di
Ermione anche
in
un dipinto
di
Pierre-Narcisse
Guérin,
risalente
alla
prima
metà
del
XIX
secolo,
intitolato
Oreste
annuncia
ad
Ermione
la
notizia
della
morte
di
Pirro
(=
Neottòlemo),
evidentemente
ispirato
all'Andromaca
di
Euripide.
Come
si
ricorderà,
infatti,
in
questa
strana
tragedia
Oreste,
già
innamoratosi
di
Ermione
(vedi
l'ancor
più
strano
Oreste
del
408), data
però
in
moglie
da
Menelao
a
Neottòlemo,
figlio
di
Achille,
interviene
nel
finale
per
salvarla
da
morte
certa
e
la
porta
via
per
farne
la
sua
sposa.
In
questo
dipinto,
anch'esso
molto
strano, ciò
che
colpisce
non
è
tanto
la
scena
mitologica,
quanto
proprio
il
fatto
che
Oreste
"punta"
in
modo
fin
troppo
vistoso,
e
per
di
più
con
la
spada, la
gamba
sinistra
scoperta (per
essere
precisi
il
ginocchio
sinistro)
di
Ermione:
Baldini
prosegue:
"Ora,
se
la
donna
è
la
moglie
-
o
meglio,
la
vedova
-
di
Oreste,
perché
i
due
personaggi
maschili
non
potrebbero
essere
gli
altri
due
protagonisti
di
questo
mito,
ossia
il
figlio
dell'eroe,
Tisameno,
e
l'inseparabile
compagno
di
tutte
le
sue
avventure,
Pilade?
In
effetti,
la
figura
maschile
vicina
ad
Ermione,
più
pingue
e
dalla
muscolatura
meno
tonica
dell'altra,
sembra
denunciare
un'età
più
avanzata.
Così,
da
sinistra
verso
destra,
identifichiamo
i
personaggi
come
Ermione,
Pilade,
Tisameno
ed
Alfeo."
Questa
ipotesi,
pur
nell'esibizione
di
così
dotti
richiami,
ci
sembra
francamente
assurda.
Abbiamo
già
detto che
a
nostro
parere
ben
difficilmente
Erodoto
poteva
costituire
un
punto
di
riferimento
così
importante
per
pittori
come
Guercino
e
Poussin,
ed
ora
ci
sembra
ancor
più
inverosimile
che
a
questo
risvolto
secondario
e
sconosciuto
del
mito
i
due
grandi
pittori
abbiano
dedicato
tanta
attenzione
(e
questo
pur
volendo
ammettere
che
la
vicenda
di
Oreste
sia
da
intendere
in
senso
allegorico-alchemico,
come
abbiamo
visto).
Probabile,
per
non
dire
sicura,
ci
sembra
soltanto
l'identificazione
del
vecchio
seduto
in
primo
piano,
palesemente
estraneo
alla
scena
(tant'è
vero
che
ci
volta
le
spalle
e
non
guarda
i
personaggi,
che
a
loro
volta
sembrano
non
vederlo) con
l'Alfeo:
esso
è
un "fiume
d'Arcadia
carsico,
che
per
lunghi
tratti
svanisce
sottoterra
per
poi
riapparire
alla
luce
del
sole
in
luoghi
assai
distanti
dal
suo
inabissamento",
come
la
fonte
Aretusa
in
Sicilia,
e
che
"ai
tempi
di
Poussin
era
spesso
impiegato
per
rappresentare
la
permanenza
della
trasmissione
di
una
tradizione
segreta.
In
accordo
con
questo
significato,
Alfeo
volge
il
dorso
agli
spettatori,
non
si
fa
vedere
in
faccia.
Inoltre,
esso
porta
l'alloro
dell'immortalità
accordata
a
una
tradizione
che
sempre
scompare
e
sempre
riaffiora."
Fin
qui ci
sembra
tutto
plausibile.
Ma
poi,
ecco
di
nuovo
una
deduzione
cervellotica:
"Con
l'epigrafe,
è
ora
Poussin
stesso
che
si
rivolge
non
solo
agli
spettatori,
ma
ai
protagonisti
stessi
del
mito,
informandoli
che
anche
lui
-
Poussin
-
è
in
Arcadia,
anche
lui
è
a
conoscenza
della
tradizione
segreta
che
il
quadro
di
Guercino
cifrava.
Un
po'
-
diremmo
-
alla
maniera
del
turista
che
lascia
sul
monumento
archeologico
la
traccia
graffita
del
proprio
passaggio."
Insomma,
Poussin
con
quella
scritta
alluderebbe
proprio
a
se
stesso
(ego
significherebbe
proprio
"io",
"io
Nicolas
Poussin"),
vantandosi
(con
la
famiglia
di
Oreste?)
di
avere
decifrato
il
segreto
del
Guercino!
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