1.
PREMESSA
Il
primo
dipinto
che
Nicolas
Poussin
dedicò
alla
scritta
epigrafica
Et
in
Arcadia
Ego è
un
olio
su
tela
di
cm.
101
x
82,
intitolato
Les
bergers
d'Arcadie
-
Et
in
Arcadia
Ego,
eseguito
pare
intorno
al
1629-30,
ora
alla
Devonshire
Collection
a
Chatsworth
(cliccando
sull'immagine
è
possibile
vederla
ingrandita):
Stando
agli
storici
dell'arte,
l'ispirazione
gli
sarebbe
venuta
dall'aver
visto
il
quadro
di
Guercino,
quadro
che
all'epoca
si
trovava
già
a
Roma.
Nulla
di
più
probabile,
a
mio
parere;
ma,
a
parte
questa
deduzione
piuttosto
ovvia,
tutto
il
resto,
nell'interpretazione
di
questo
altrettanto
misterioso
dipinto,
sfugge.
Prevedibilmente,
ciascun
critico
segue
la
linea
interpretativa
da
lui
già
impostata
con
l'esegesi
del
dipinto
del
Guercino:
ed
ecco
quindi
Franco
Baldini,
autore
del
brillante
ma
a
tratti
azzardato saggio
sul
Guercino
già
citato,
produrre
un
secondo
saggio
dedicato
alla
rivisitazione
poussiniana
del
tema
Et
in
Arcadia
Ego,
leggibile
integralmente
qui.
Come
si
ricorderà,
Baldini
è
persuaso
che
quella
dipinta
dal
Guercino
sia
la
tomba
di
Oreste, e
ciò
sulla
base
di
un
brano
delle
Storie
di
Erodoto;
noi
ci
siamo
già
detti
poco
convinti
della
cosa.
E'
ovvio
che
egli
prosegua
ora
sulla
stessa
linea,
ed
affermi:
"A
nostro
avviso
il
fatto
che
egli
[Poussin]
abbia
ripreso
l'enigmatica
epigrafe
può
voler
dire
una
sola
cosa:
egli
ne
aveva
compreso
-
o
creduto
di
comprendere
-
il
significato.
Se
è
così,
il
suo
quadro
deve
in
qualche
modo
esprimere
questa
comprensione,
esibendo
un
significato
almeno
contiguo
a
quello
del
quadro
di
Guercino."
Questo
sembra
molto
probabile
anche
a
noi:
non
casà
certo
"per
caso"
che
Poussin
ha
ripreso sia
il
tema
che
la
scritta
del
dipinto
guerciniano.
E'
abbastanza
evidente
che
egli
attribuiva
alla scritta
Et
in
Arcadia
Ego
un
significato
preciso,
connesso
con
il
quadro
del
Guercino:
il
problema
è
capire
quale.
Baldini
nota
però
giustamente
che,
sebbene
l'ispirazione
guerciniana
sia pressoché certa,
"la
scena
che
(Poussin)
presenta
è
quasi
totalmente
diversa.
Il
cranio
è
ancora
visibile,
posato
però
sopra
un
sepolcro
scolpito
nella
parete
stessa
di
un
monte,
dimodoché
l'epigrafe
incisa
su
uno
dei
suoi
lati
si
offre,
questa
volta,
non
solo
allo
sguardo
dello
spettatore
ma
anche
a
quello
di
tre
personaggi,
una
donna
e
due
uomini,
uno
dei
quali
-
con
espressione
tra
il
sorpreso
e
l'attento
-
ne
sta
accompagnando
la
lettura
con
l'indice
della
destra,
fermo
per
sempre
alla
lettera
D."
Non
ci
troviamo
quindi
in
presenza
di
un
semplice
cippo
funerario,
come
nel
quadro
del
Guercino,
ma
di
una
vera
e
propria
tomba
di
pietra,
un'arca:
e
questo,
come
vedremo,
è
tutt'altro
che
un
dettaglio.
Fin
qui
le
osservazioni
di
Baldini
ci
paiono
esatte
e
pertinenti.
Il
problema
sono
le
conclusioni
che
egli
ne
trae
subito
dopo,
coerenti
con
la
tesi
alchemica
da
lui
abbracciata
in
precedenza.
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