GUERCINO, ET IN ARCADIA EGO

 

 

Per parte nostra non dubitiamo che anche il Guercino, come ogni altro uomo di cultura del tempo, all'atto di accingersi a costruire nella propria mente lo schema di un'opera, doveva avere ben chiaro quel passo del Convivio in cui l'Alighieri dichiara le regole semantiche della scrittura, naturalmente estese anche al dominio delle arti figurative, e che vale la pena di trascrivere:

 

"Dico che, sì come nel primo capitolo è narrato, questa sposizione conviene essere litterale e allegorica. E a ciò dare a intendere, si vuol sapere che le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi.

L'uno si chiama litterale, e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera de le parole fittizie, sì come sono le favole de li poeti. L'altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto 'l manto di quelle favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando dice Ovidio che Orfeo facea con la cetera mansuete le fiere, e li arbori e le pietre a sé muovere; che vuol dire che lo savio uomo con lo strumento della sua voce fa[r]ia mansuescere e umiliare li crudeli cuori, e fa[r]ia muovere a la sua volontade coloro che non hanno vita di scienza e d'arte: e coloro che non hanno vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre. E perché questo nascondimento fosse trovato per li savi, nel penultimo trattato si mostrerrà. Veramente li teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma però che mia intenzione è qui lo modo de li poeti seguitare, prendo lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato.

Lo terzo senso si chiama morale, e questo è quello che li lettori deono intentamente andare appostando per le scritture, ad utilitade di loro e di loro discenti: sì come appostare si può ne lo Evangelio, quando Cristo salio lo monte per transfigurarsi, che de li dodici Apostoli menò seco li tre; in che moralmente si può intendere che a le secretissime cose noi dovemo avere poca compagnia.

Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora [sia vera] eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa de le superne cose de l'etternal gloria, sì come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che, ne l'uscita del popolo d'Israel d'Egitto, Giudea è fatta santa e libera. Ché avvegna essere vero secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente s'intende, cioè che ne l'uscita de l'anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate.

E in dimostrar questo, sempre lo litterale dee andare innanzi, sì come quello ne la cui sentenza li altri sono inchiusi, e senza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale intendere a li altri, e massimamente a lo allegorico."

 

(Convivio, II, cap. 1)

 

Sandro Botticelli, ritratto di Dante (1495 circa), Ginevra, Collezione privata

Non possiamo fare a meno di sottolineare a nostra volta il punto su cui Dante insiste alla fine e nel seguito della citazione che abbiamo riportato ossia che, laddove non s'intenda correttamente il "senso litterale", l'accesso agli altri è precluso, e "massimamente" l'allegorico. Vale ancora la pena di notare che questa tradizione ermeneutica - di cui l'attuale critica d'arte sembra far poco conto - durò imperterrita fino a tutto il Rinascimento.

Qual è dunque la "favola poetica" che può schiuderci l'intera semantica del dipinto?

È noto che la tradizione della critica accademica la indica concordemente nelle Bucoliche di Virgilio, non curandosi affatto di rispondere alle ovvie obiezioni che una tal referenza suscita. Se infatti essa non può essere generica ma deve chiarire con precisione la relazione tra gli elementi assiali del dipinto - ossia due personaggi maschili, delle ossa umane e la regione centrale del Peloponneso denominata Arcadia - allora non si vede proprio come possa consistere in qualche brano delle Bucoliche.

Anche considerando - come si conviene - l'Arcadia quale simbolo generico di un mondo pastorale idealizzato, constatiamo che in nessuna ecloga che in qualche modo vi si riferisce è mai questione di un cadavere o di ossa umane. L'ecloga VII, per esempio - che possiamo considerare di ambientazione arcadica anche se la scena si svolge sul Mincio, perché comunque i suoi due protagonisti principali, Coridone e Tirsi, sono Arcadi - ha come oggetto una semplice tenzone poetica. L'ecloga VIII - in cui lo scenario del monologo cantato da Damone sembra collocarsi vicino al Menalo, montagna d'Arcadia - vede uno dei protagonisti - Damone, appunto - in procinto di suicidarsi per una delusione d'amore: anche se qui si tratta di morte, essa non è ancora avvenuta ma solo possibile. Infine l'ecloga X - unica ad esser chiaramente situata in Arcadia - contiene soltanto il lamento amoroso del poeta Gallo. La sola ecloga in cui si tratta di un morto, cioè Dafni, è la V, ma non è ambientata in Arcadia bensì in Sicilia, teatro notorio della vicenda dello sfortunato poeta-pastore figlio di Ermes e di una ninfa.

Non v'è dunque un solo passo in tutte e dieci le ecloghe che possa essere rispecchiato con buona fedeltà dal dipinto, sicché la referenza, non essendo relativa alla lettera delle Bucoliche, potrebbe semmai rilevare soltanto dallo spirito che si coglie nel loro insieme.

Per far ciò, tuttavia, Guercino avrebbe dovuto incorrere in una violazione delle regole dell'esposizione vigenti al suo tempo: in una citazione, la lettera deve corrispondere alla lettera, non allo spirito di quel che si cita.

In più, a noi pare che non vi sia nemmeno questa pretesa corrispondenza con lo spirito delle Bucoliche, che è notoriamente quello del turbamento indotto dal contrasto tra le varie condizioni - interiori ed esteriori - dell'esistenza umana: infatti, se guardiamo l'opera, non vi troviamo alcuna traccia di ciò, al contrario vi regna una specie di pace incantata culminante nella tranquilla, meditabonda e quasi reverente curiosità con cui i due personaggi osservano il teschio.

Ma, anche ammettendo per un momento che l'interpretazione tradizionale possa tenere, noi vediamo che questa ci schiude semmai soltanto un senso morale, mentre non ci permette minimamente di accedere né al senso anagogico né, soprattutto, a quello allegorico. E se si fosse trattato solo di un'allegoria generica, perché Guercino avrebbe dovuto usare l'artificio dell'iscrizione - sgrammaticata e apparentemente monca - per comunicarci quel senso di enigmaticità che non è mai sfuggito a nessuno degli osservatori del dipinto?

Come recita il vecchio adagio: il diavolo si nasconde nei dettagli."

Baldini ne conclude che "il tema pastorale - quando è affrontato da un artista del primo '600 - non può assolutamente essere evocato come spiegazione, perché è esattamente quello che si tratta di spiegare.

In definitiva - per le ragioni che abbiamo detto e che riteniamo pertinenti e cogenti - noi pensiamo che non si tratti affatto di un'allegoria generica bensì di una precisa citazione, il maggior indizio della quale si trova nella scritta che menziona l'Arcadia ma che, tuttavia, non ha alcun legame con le Bucoliche.

No, non crediamo affatto che in questo caso Guercino si spieghi con Virgilio, il che ci restituisce intatto l'enigma della tela, che può essere così riassunto: "Che rapporto c'è tra due uomini, delle ossa umane e l'Arcadia?" ".