A.
TEOCRITO
E
IL
"CIRCOLO
DI
COS"
Se
ci
si
domanda,
com'è
inevitabile,
chi
per
la
prima
volta
abbia
introdotto
il
tema
dell'Arcadia
nella
letteratura
mondiale,
i
sospetti
convergono
immediatamente
sui rappresentanti
del
genere bucolico,
la
poesia
pastorale
per
eccellenza,
ed
in questo senso
il primo letterato
chiamato in
causa è
senz'altro il
siracusano Teocrito
(310-260
a.C.),
ritenuto
(non
si
sa
se
a
ragione)
l'inventore
del
genere.
Pur
collocato nell’ambito
alessandrino
e accomunato
da varie importanti
caratteristiche
a molti dei
poëtae docti
suoi contemporanei,
Teocrito presenta
tratti fortemente
personali,
già solo
per il fatto
di essere un
"poeta
puro" e
di non essersi
mai dedicato
all'attività
filologica.
La sua raccolta
comprende una
trentina di
Idilli, su alcuni
dei quali pende
però
un giudizio
di incertezza
(che per la
verità
molto spesso
muove da argomenti
molto discutibili
o estremamente
soggettivi)
circa la paternità.
Il termine "idillio", che
verrà
poi ripreso
in letteratura
con significati
molto diversi
(si pensi agli
"Idilli"
di Giacomo
Leopardi)
deriva dal termine
εἶδος
(= "forma",
"aspetto",
ma anche "genere
letterario") che
unito
alla desinenza
-υλλιον,
indicante diminutivo,
sembra significare semplicemente
"piccolo componimento";
un termine quindi
quanto mai generico,
che non significa
affatto "componimento
pastorale"
e non designa
quindi la poesia
bucolica: ed
infatti solo
una parte (e
non la maggiore)
degli Idilli
di Teocrito
è di
tipo pastorale
(o bucolico
che dir si voglia).
E' impossibile
dire se già
Teocrito designasse
con questo nome
i suoi componimenti:
infatti il termine
idillio s’incontra
per la prima
volta in
una lettera
di Plinio il
Giovane a
Paterno (IV
14), in cui,
dedicando una
piccola raccolta
di endecasillabi
all’amico, l’autore
afferma tra
l’altro: sive
epigrammata
sive idyllia
sive eclogas
sive, ut multi,
poematia seu
quod aliud vocare
volueris, licebit
voces: ego tantum
hendecasyllabos
praesto.
Dal che risulta
con ancor maggiore
evidenza che il termine
idyllion non
era sinonimo
di ecloga (termine
che in latino
designa la
poesia pastorale)
e
che la terminologia
era allora estremamente
fluttuante;
anche ai tempi
di Plinio (I-II
secolo d.C.)
l’idillio non
si presentava
ancora con caratteri
fortemente individuati,
tali da distinguerlo
con sicurezza
da altri tipi
di brevi componimenti
in metro vario,
prova ne sia
che Plinio
considera possibile
definire così
i suoi endecasillabi.
Ritratto
di Teocrito
Quanto poi Teocrito,
nel creare o
quanto meno
nel diffondere
e perfezionare
questo genere
nuovo di poesia,
sia debitore
di Sofrone (V
secolo a.C.)
e
del mimo siceliota,
è difficile
precisare; veri
e propri mimi
sono alcuni
dei suoi Idilli
(il II, il XIV
e il XV), fra
l'altro fra
i più
belli, e dal
mimo siceliota
egli poté
assumere l’amore
per la forma
dialogica; ma
è probabile
che l’insieme
dei caratteri
che contraddistinguono
l’idillio teocriteo
da altri generi
poetici sia
dovuto allo
stesso Teocrito.
A
noi qui tuttavia
interessa esclusivamente
la sua produzione
pastorale,
l'unica che
potrebbe essere
stata responsabile
del sorgere
del mito
dell'Arcadia.
Dei
carmi pervenuti
sotto il nome
di Teocrito,
quelli di
ambientazione
pastorale sono un
terzo (dieci
in tutto: il
primo e tutti
quelli dal III
all'XI); è
evidente che
proprio
a questi
Idilli, e non
agli altri,
guarda il Virgilio
delle Bucoliche,
dal momento
che esse sono
esattamente
dieci e tutte
di ambientazione
pastorale; e
proprio al
tramite di Virgilio
Teocrito dovette
la sua fama
nell’Occidente
latino, legata
esclusivamente
al versante
bucolico della
sua poesia,
nonché
l'erronea identificazione
del termine
"idillio"
con quello di
"poesia
pastorale".
E'
notevole che
Virgilio trasferisca
in ambiente
pastorale anche
componimenti
che in origine
non lo erano:
si veda l’VIII
ecloga virgiliana,
la cui fonte
principale è
costituita
dal II idillio
teocriteo, Le
incantatrici,
che è
un "mimo
cittadino".
Ma
è
vero che Teocrito
è
l'inventore
della "musa
bucolica"?
Su questo
sussistono
dubbi:
la letteratura
greca non sembra
avere precedenti
di rilievo,
ma la pratica
delle gare poetiche
o di canto è
sempre stata
in voga presso
i pastori,
ed in alcune
zone dell'Appennino
(Toscana, Emilia-Romagna)
lo è
tuttora: Teocrito
quindi, secondo
alcuni, non avrebbe
fatto altro
che trasferire
tali gare di
canto nella
sua poesia.
Altri hanno
voluto cercare
in Oriente la
fonte di questo
genere letterario,
ma con scarsa
fortuna; altri
ancora hanno
additato l'ideatore
del genere nel
primo poeta-filologo
della storia,
Filita di
Cos (talora
chiamato anche
Fileta), vissuto
tra il 340 e
il 285 a.C.
circa e profondamente
stimato da tutti
gli Alessandrini,
che lo consideravano
il loro precursore; ma
non sussistono
prove che possano
suffragare la
tesi della sua
paternità (anche
perché
la sua opera
è andata
quasi totalmente
perduta).
Degna
di nota, a tale
proposito, l'ipotesi di
Reitzenstein
(Epigramm und Skolion, Giessen
1893), il quale ritiene che
Teocrito ed
i suoi amici
di Cos facessero
parte di un
circolo a sfondo
iniziatico (detto
appunto "Circolo
di Cos"),
riunitosi proprio
intorno a Filita,
organizzato
ad imitazione
di un gruppo
di bovari (boukòloi)
devoti
ad Artemide
(originariamente
una
delle
innumerevoli
dee-madri
della
tradizione
matriarcale),
e che la poesia
bucolica abbia
avuto origine
in questo contesto
religioso. Il
gruppo in seguito
avrebbe abbandonato
la sua connessione
formale con
il culto, conservando
la
mascherata
bucolica.
Portando
alle estreme
conseguenze
questo discorso,
non è
mancato chi
ha pensato di vedere
nei "boukòloi"
gli adepti di
qualche setta
segreta,
la cui attività
poetica
potrebbe essere
una copertura
di altri interessi
non meglio definiti;
ad
essa si aveva
presumibilmente accesso,
come nell'Arcadia
cinque-seicentesca
e
nell'attuale
Massoneria,
dopo un rituale
di iniziazione
che comportava
la morte e rinascita
simbolica e
perciò
la rinuncia
alla propria
identità ed
al proprio nome
e l'assunzione
di un'identità
diversa: quella
di un pastore-poeta,
appunto.
Di
tutto ciò
vi sarebbe traccia
nel controverso
Idillio VII,
Le Talisie,
che da sempre i
critici leggono
in chiave allegorica,
ravvisando in
esso una vera
e propria dichiarazione
di poetica da
parte di Teocrito:
il quale infatti, in
questo contesto,
si presenta
a noi con la
sua "maschera"
bucolica, quella
di Simìchida,
mentre resta
da capire chi
sia Lìcida, con
cui egli ingaggia
una gara e
dal quale
riceve una evidente
investitura
poetica; senza
addentrarci
in questa spinosa
questione, ricordiamo l'ipotesi
a nostro parere
più convincente: quella
che vede in
Lìcida
il poeta Esiodo,
dal momento
che l'investitura
avviene mediante
la consegna
di un bastone
e con modalità
che ricordano
da vicino l'investitura
di Esiodo stesso
da parte delle
Muse nel proemio
della Teogonia,
incluso il fondamentale
riferimento
alla Verità
(doricamente
ἀλάθεια).
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